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In pronto soccorso per 1’000 euro a notte

vetro con cartello INGRESSO PRONTO SOCCORSO. dietro al vetro una donna con mascherina chirurgica
Nei pronto soccorsi italiani sono sempre di più i medici "a gettone". Copyright 2020 The Associated Press. All Rights Reserved

A causa della carenza sempre più grave di personale, in alcuni ospedali italiani i medici possono guadagnare fino a 1'000 euro  a notte per coprire un turno dalle 20 alle 8. 

I concorsi ci sono, mancano però candidate e candidati e così, in assenza di altre soluzioni, i pronto soccorso di numerose località italiane ricorrono ai cosiddetti medici “a gettone”. Si tratta di professioniste e professionisti che invece di farsi assumere per un posto fisso o di aprire un proprio studio, scelgono di lavorare per una cooperativa e svolgere il proprio mestiere a turni su chiamata. 

È il caso, per esempio, dell’ospedale Erba-Rinaldi di Menaggio, che deve fare i conti con una carenza sempre più grave di personale. Qui, a parità di lavoro, chi svolge un turno di 12 ore durante il quale si occupa di urgenze di varia natura, viene pagato 1’000 euro a notte. Dottori e dottoresse a gettone hanno diritto di svolgere 12 turni al mese e questo dà loro la possibilità di guadagnare, dopo le diverse deduzioni, fino a 8’000 euro per 144 ore di lavoro. 

Guadagnare di più lavorando in Svizzera

La carenza si fa sentire in particolare nelle regioni di frontiera in particolare, a causa della concorrenza del mercato del lavoro svizzero. Le  condizioni salariali elvetiche vantaggiose sono una delle ragioni che spinge numerose persone  a scegliere di lavorare in  Svizzera. Nel solo canton Ticino, ogni giorno 5’000 operatori e operatrici socio-sanitari attraversano il confine per lavoro. La situazione si è esacerbata durante la pandemia e da tempo ormai Svizzera e Italia si contendono il personale sanitario.

Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Ufficio federale di statistica, risalenti al 2018, i medici specialisti liberi professionisti conseguono un reddito mediano annuo di 257’000 franchi, che possono raggiungere i 697’000 nel settore della neurochirurgia. Il compenso di specialisti e specialiste dipendenti arrivano a 197’000 franchi annui.

La Svizzera, ricorda  una statistica pubblicata proprio in questi giorni, dipende molto dalla manodopera proveniente dall’estero. Oltre al personale infermieristico di ospedali, case di cura, cliniche e case per anziani, dottori e dottoresse che si sono diplomati dall’estero rappresentano il 40% dei 40’000 medici che nel 2022 erano in attività nella Confederazione. Di questi, il 23% è in possesso di un titolo di studio emesso in Italia. 

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Un quadro normativo incerto 

Ma torniamo ai medici a gettone. L’esternalizzazione di questi servizi crea molto malumore: recentemente, sulle pagine del quotidiano ticinese laRegione, la portavoce del Comitato per la difesa dell’ospedale Erba-Rinaldi di Menaggio Giovanna Greco dichiarava: “Continuando a esternalizzare i servizi a Menaggio resteranno solo i muri. Ci chiediamo anche se i medici a gettone sono in possesso della necessaria specializzazione in medicina di emergenza-urgenza o titolo equipollente.”

Con questo sistema si è venuta a creare una situazione paradossale: medici che si licenziano dal settore pubblico e che scelgono il sistema a gettone, per loro più conveniente. Ma non per chi li impiega: le strutture che devono ricorrere ai loro servizi si ritrovano in effetti a dover spendere molto di più per le stesse prestazioni. 

Il quadro normativo incerto, poi, non aiuta: non esistono infatti regole che impongono limiti alle strutture che ricorrono a questo tipo di servizi. 

Il budget che le strutture possono spendere per questi servizi non è definito  e non esiste un periodo massimo nel corso del quale ricorrervi. In teoria, quindi, la situazione si può protrarre a oltranza. I costi però rischiano di diventare insostenibili e, di fatto, i servizi offerti rischiano di essere ridotti all’osso in molte regioni. 

Si sta creando, insomma, una situazione di far west, che nemmeno l’autorità nazionale anticorruzione italiana (ANAC) riesce a controllare, proprio a causa dell’assenza di regole precise. È per questo motivo che, a fine 2022, si è rivolta al Governo, chiedendo ai ministeri dell’economia e della salute, come pure alla Conferenza delle regioni di fissare una serie di criteri generali. Nella lettera, firmata dal presidente dell’ANAC Giuseppe Busia, si parla di “problematica di rilevanza sociale, oltre che di grande impatto economico sulla spesa pubblica”. Le aziende sanitarie sono “indotte ad aggiudicare appalti e a corrispondere compensi particolarmente elevati per ciascun turno, anche prevedendo, come criterio di scelta del contraente, quello del prezzo più basso”.

Chi? Dove? Quanto?

Stando a una recente statistica di Dataroom, nel 2022 nel Nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna), sono stati appaltati ai medici a gettone oltre 100’000 turni. Principalmente questo personale viene assunto  per coprire i turni in pronto soccorso, anestesia e rianimazione, ostetricia, ginecologia e pediatria. 

macchinari in un ospedale
Liberi professionisti, medici in pensione, stranieri, giovani laureati: un quadro variegato, quello dei medici a gettone. © Keystone / Gaetan Bally

Ma… chi sono? Sempre secondo i dati raccolti da Dataroom, il quadro è variato: neolaureate e neolaureati in attesa di entrare nelle scuole di specializzazione, medici in pensione, liberi professionisti con doppio lavoro, persone che si sono licenziate dagli ospedali pubblici, medici stranieri che, non essendo in possesso della cittadinanza italiana  o di un passaporto dell’Unione Europea, non sono ammessi ai concorsi pubblici. 

Chi ricorre maggiormente alle loro prestazioni sono i piccoli ospedali, che avendo pochi pazienti fanno spesso fatica ad attirare personale medico specialistico.  I sindacati inoltre denunciano un calo della qualità del servizio: “La competenza e la lucidità dei turnisti dipendono solo ed esclusivamente dal livello di serietà delle cooperative che li selezionano”, si legge sul sito sindacalmente.org. Spesso, inoltre, capita che queste persone si ritrovino a dover effettuare operazioni per le quali non sono state formate e a risentirne sono i e le pazienti.  

A farla da padrone, però, alla fine di tutto, sono i soldi. Sempre stando all’analisi di Dataroom, in media un medico ospedaliero assunto da più di 15 anni guadagna 52 euro lordi all’ora, per 6 ore e 20 minuti al giorno da contratto (che però vengono sempre superate) per 267 giorni l’anno, per un salario annuo totale di 85’000 euro. Un medico a gettone guadagna la stessa somma facendo 84 turni da 12 ore, essendo il compenso minimo in pronto soccorso e in anestesiologia di 87 euro lordi. La differenza sta nel fatto che i “gettonisti” devono farsi autonomamente carico di ferie e malattie. In sostanza, per arrivare più o meno allo stesso salario annuo, chi è sotto contratto deve lavorare 267 giorni contro gli 84 turni di chi lavora su chiamata. 

Solo una questione di soldi? Non proprio.

Non è d’accordo con questa analisi Fabrizio Comaita, il direttore sanitario della cooperativa Pedicoop di Domodossola, che riunisce 600 specialiste e specialisti che prestano i loro servizi in 140 ospedali di tutto il Nord Italia in pediatria, neurologia, cardiologia, per citarne solo alcuni. Tutta questa contrarietà ai “gettonisti”, ci dice, “è uno scandalo ridicolo”. Anche perché “i 100 euro all’ora che guadagnano vengono tassati al 60%”. Cosa spinge allora professionisti e professioniste ad affidarsi a una cooperativa piuttosto che a un ospedale, gli chiediamo: “Nel 2004 è entrato in vigore il blocco delle assunzioni nel settore pubblico per contenere la spesa sanitaria. I concorsi sono rari e quando vengono indetti non ci sono candidati a causa dei salari offerti, che sono troppo bassi”. Da Pedicoop l’età media del personale medico è di circa 60 anni, ma si spazia dai 20enni ai 70enni: “Sono pochi gli stranieri. Il 90% sono cittadine o cittadini italiani o dottori e dottoresse iscritti all’albo dei medici stranieri in Italia”.   

Intanto, in attesa di una regolarizzazione da parte del Governo, le Regioni interessate maggiormente dal fenomeno cercano delle soluzioni tampone: Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna hanno aumentato la paga oraria del personale sotto contratto, portandola da 60 a 100 euro.  In Lombardia, invece, vengono promossi accordi grazie ai quali i camici bianchi già dipendenti del servizio sanitario nazionale vengano compensati, per i turni aggiuntivi che vorranno effettuare in pronto soccorso, con 100 euro orari. Un modo per rendere un contratto fisso più attraente e per ridurre la necessità delle strutture di ricorrere alle cooperative. 

Resta ora da vedere se queste misure basteranno per contrastare non solo dottori e dottoresse a gettone, ma anche la fuga di professionisti verso la Svizzera, attrattiva sia dal punto di vista salariale, che della soddisfazione professionale. “In Italia, i giovani medici devono fare gavetta, hanno poca autonomia e dipendono molto dai superiori in tutto quello che fanno”, spiega Fabrizio Comaita. “Non è così in Svizzera – ma nemmeno in Francia o nel Regno Unito – dove sono operativi fin da subito. È sicuramente più soddisfacente”.

Oltre ai compensi più attrattivi, c’è poi la questione della carenza di personale, che non interessa solo l’Italia, ma che è un problema che si fa sentire sempre di più anche nella Confederazione. E la concorrenza tra Ticino e Italia, tra i cantoni francofoni e germanofoni di confine con, rispettivamente, la Francia e la Germania o l’Austria è agguerrita.

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