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“Wir schaffen das” cinque anni dopo: la Germania ce l’ha fatta?

persone sedute a un tavolo con in primo piano un libro di tedesco
Al loro arrivo solo l'1% dei migranti aveva una buona conoscenza del tedesco. Oggi la metà lo parla bene o molto bene. Keystone / Julian Stratenschulte

Nell'agosto del 2015 Angela Merkel apriva le frontiere a centinaia di migliaia di richiedenti l'asilo. Una scommessa che almeno sul piano dell'occupazione sembra riuscita.

Ci sono frasi che passano alla storia e quella pronunciata il 31 agosto di cinque anni fa da Angela Merkel è sicuramente una di queste: “Wir schaffen das”, “Ce la faremo” affermò la cancelliera tedesca dopo aver aperto le frontiere a centinaia di migliaia di richiedenti l’asilo, in particolare siriani.

Una frase che negli anni successivi l’ha messa in difficoltà, anche perché è stata spesso ridotta alle ultime tre parole, dando l’impressione che tutto sarebbe stato facile. In realtà, il discorso di Angela Merkel era ben più articolato: “Lo dico molto semplicemente: la Germania è un paese forte. Il motivo per cui ci accingiamo a fare qualcosa deve essere: siamo già riusciti a fare tante cose, possiamo farcela! Ce la faremo e qualunque ostacolo che si metterà sulla nostra strada, dovrà essere superato. Il Governo federale farà tutto ciò che è in suo potere, assieme ai Länder e ai comuni, per attuare tutto questo”.

Tensioni

A cinque anni di distanza, il bilancio non è né bianco né nero, anche se secondo diversi esperti per quanto concerne il mercato del lavoro è piuttosto positivo.

L’arrivo di centinaia di migliaia di persone di cultura diversa da quella tedesca non è naturalmente stato assorbito senza contraccolpi. La stessa Merkel ammette un anno dopo che la Germania non era pronta a una simile ondata e cambia politica: l’accordo che l’Unione Europea firma con la Turchia frena l’esodo e la Germania torna ad applicare le regole per la distribuzione dei richiedenti.

A pochi mesi dall’apertura ai profughi, i gravi fatti del Capodanno di Colonia rimettono in discussione la “Wilkommenspolitik” e il dibattito sull’immigrazione in Germania si fa più teso. Una tensione a cui contribuisce anche l’attentato rivendicato dallo Stato islamico al mercatino di Natale di Berlino il 19 dicembre 2016 e che si esprime in particolare nell’ascesa del partito di estrema destra Alternative für Deutschland e nelle manifestazioni anti-immigrazione nella città sassone di Chemnitz, nel settembre 2018.

La metà ha un lavoro

Tuttavia, cinque anni dopo circa la metà dei nuovi arrivati provenienti dalla Siria, dall’Iraq o dall’Afghanistan – oltre un milione di persone tra il 2015 e il 2016 – ha oggi un lavoro, ha indicato all’Agence France Presse Herbert Brücker, specialista di migrazione presso l’istituto di ricerca sul mercato del lavoro IAB.

Lavorano in particolare nei settori della gastronomia, dei servizi di sicurezza o sanitari, ad esempio nelle case di riposo, dove la Germania lamenta gravi mancanze di personale.

In uno studio recente, l’istituto economico di Berlino DIW traccia pure un bilancio globalmente positivo. Vi sono però dei punti deboli.

Ad esempio, le donne, che devono spesso occuparsi di bambini piccoli, o immigrati con scarse qualificazioni, restano ai margini.

“Mentre i tedeschi sono generalmente meno preoccupati per l’immigrazione, tra i migranti aumentano i timori per il razzismo” e quest’ultimi hanno anche poca fiducia nelle forze dell’ordine, osserva il DIW.

Un fattore decisivo è l’apprendimento della lingua. Al loro arrivo “solo l’1% dei migranti aveva una buona o ottima conoscenza del tedesco”, spiega Brücker. Oggi, la metà lo parla bene o molto bene, e un altro terzo ha raggiunto “un livello medio”.

La scheda del TG e l’analisi del corrispondente della RSI a Berlino Walter Rauhe:

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tvsvizzera.it/mar con RSI (TG del 31.8.2020)

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