Giovanni Andrea Scartazzini, il “barbaro” dantista
La sua edizione commentata della Divina Commedia, pubblicata da Hoepli a Milano, ha accompagnato generazioni di studenti. Oggi pochi lo ricordano. Sulle tracce di una singolare figura di teologo e intellettuale.
Ai margini di Bondo, a poche decine di metri dal tracciato della gigantesca frana che nell’agosto del 2017 ha reso tristemente famoso il villaggio grigionese, sorge una casa quadrata, dal tetto di piode. Una targa all’altezza del balcone ricorda che qui, nel 1837, è nato Giovanni Andrea Scartazzini, “celebre dantista”.
Oggi il suo nome è noto a pochi, ma nel corso del Novecento, la versione riveduta da Giuseppe Vandelli del suo commento alla Divina Commedia, stampata dall’editore Hoepli di Milano, ha avuto grande fortuna, accompagnando generazioni di lettori nel difficile cammino attraverso il poema di Dante Alighieri.
“Sicuramente il commento più importante e decisivo di tutta l’esegesi dantesca del Novecento, il punto di riferimento obbligato non solo nel campo scolastico, ma anche e soprattutto nel campo scientifico”, ha scritto anni fa l’italianista Michelangelo Picone riferendosi al “glorioso Scartazzini-Vandelli”.
Ma chi era Giovanni Andrea Scartazzini? E come è riuscito a ritagliarsi un posto di primo piano nella schiera degli studiosi dell’opera di Dante, pur provenendo da una regione periferica delle Alpi svizzere e rimanendo lontano dal mondo accademico?
Scartazzini cresce in una famiglia contadina, in cui si legge regolarmente la Bibbia (con ogni probabilità nella traduzione seicentesca di Giovanni DiodatiCollegamento esterno, il testo di riferimento per le regioni protestanti di lingua italiana). Stando ai suoi primi biografi, fin da ragazzo Giovanni Andrea ne manda a memoria interi brani. Negli stessi anni incontra per la prima volta la Divina Commedia. Le due letture non lo abbandoneranno più.
A scuola di teologia
Nel 1855 il parroco protestante di Bondo, accortosi del talento del ragazzo e consapevole delle scarse risorse finanziarie della famiglia, riesce a farlo accogliere nell’Istituto delle missioni evangeliche di Basilea, dove Scartazzini acquisisce le basi della sua formazione teologica, letteraria e linguistica. In seguito, il bregagliotto studia teologia a Basilea e a Berna.
Qui apprende il greco e l’ebraico e studia a fondo non solo la Bibbia, ma anche le opere dei Padri della chiesa, i classici greci e la filosofia di Tommaso d’Aquino. Sono tutti strumenti di cui farà uso nel suo lavoro di interpretazione dell’opera di Dante.
Nel contempo viene in contatto con la teologia liberale e legge le opere di David Friedrich Strauss, autore di una Vita di Gesù venata di profondo razionalismo, e di Ferdinand Christian Baur, fautore dell’applicazione del metodo storico critico allo studio della Bibbia.
Il Museo Ciäsa GrandeCollegamento esterno di Stampa, in Val Bregaglia, presenta fino al prossimo 2 ottobre una mostra dedicata a Giovanni Andrea Scartazzini.
Oltre ai lavori di Scartazzini su Dante e sulla sua opera, l’esposizione mostra le diverse sfaccettature di questo uomo di cultura bregagliotto che nel corso della sua vita si è anche occupato, tra le altre cose, di Torquato Tasso, Giordano Bruno e Petrarca, nonché di teologia e cronaca politica.
Tra Vangelo e Dante
Ordinato pastore nel 1865, Scartazzini esercita per alcuni anni il suo ministero in piccole parrocchie della campagna bernese. Nel contempo partecipa con alcune pubblicazioni ai dibattiti interni alla chiesa protestante bernese, schierandosi dalla parte della corrente liberale.
All’attività teologica e pastorale affianca tuttavia già fin dagli anni dell’università un intenso studio di Dante Alighieri e della letteratura italiana. Nel 1869 pubblica a Bienne un profilo storico-biografico di Dante in tedesco. Nel 1871 inizia una proficua collaborazione con l’editore Brockhaus di Lipsia, curando un’edizione della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
Negli anni successivi è insegnante di italiano alla Scuola cantonale di Coira e poi pastore a Soglio, in Val Bregaglia. In quel periodo cura una prima edizione commentata della Divina Commedia, il cosiddetto “commento maggiore”. È un’opera di grande erudizione, accompagnata da un denso apparato di note filologiche ed esegetiche, che attinge a secoli di commenti al testo dantesco e ne ricostruisce con acrimonia le fonti storiche e bibliche.
“L’effetto di un finestrone che si spalanchi”
Pur non privo di errori e talvolta appesantito da polemiche contro altri studiosi, il commento di Scartazzini contribuisce a divulgare un’enorme quantità di nozioni sul testo dantesco. Anni dopo il filologo e critico letterario italiano Francesco D’Ovidio scriverà che il commento di Scartazzini “fece l’effetto d’un finestrone che si spalanchi e lasci precipitar dentro molta aria fresca, benché non senza vento né polvere.”
Negli anni in cui lavora al commento, Scartazzini intensifica anche la collaborazione con varie riviste letterarie in Italia e Germania, assumendo un importante ruolo di mediazione tra le due aree linguistiche e culturali. Questo ruolo è ribadito dalla prima opera pubblicata presso l’editore Ulrico HoepliCollegamento esterno a Milano, Dante in Germania (1881-1883), una rassegna critica degli studi tedeschi su Dante.
Altri sviluppi
Hoepli, 150 anni e 5 generazioni di editori-librai
L’incontro con Hoepli, che rende visita a Scartazzini a Soglio, segnerà l’attività editoriale del dantista bregagliotto negli anni della maturità. Nel 1883 l’editore italo-svizzero dà alle stampe i due volumi di Vita e Opere di Dante (ristampati in un volume unico nel 1894 con il titolo di Dantologia, e tradotti anche in tedesco e inglese).
Nel 1893 esce una nuova edizione commentata della Divina Commedia (il cosiddetto commento minore), che fornirà la base per la versione riveduta da Giuseppe Vandelli, pubblicata per la prima volta nel 1903 e ristampata nei decenni successivi almeno una ventina di volte. Sempre Hoepli pubblica tra 1896 e 1905 l’ultima grande fatica di Scartazzini, l’Enciclopedia dantesca, un dizionario dei lemmi utilizzati da Dante Alighieri.
“Il vasto pensiero di studiar tutto”
Quest’ultima opera mette in luce ancora una volta l’approccio positivista ed enciclopedico di Scartazzini. “Mi si lasci almeno quel po’ di gloria di aver io primo fatto un tentativo di mettere da me solo ad esecuzione il vasto pensiero di studiar tutto che si scrisse sulla Divina Commedia“, si legge nell’introduzione al terzo volume, uscito postumo a cura di Antonio Fiammazzo.
La citazione è un efficace ritratto della figura dell’erudito bregagliotto, che trascorre buona parte della sua vita in piccole comunità periferiche, lontano dai circuiti accademici (Scartazzini rinuncia anche a una cattedra universitaria a Zurigo), trascorrendo il suo tempo fra i libri della sua ben fornita biblioteca.
Altrove lo studioso descrive così, usando la terza persona, la sua attività: “Si dedicò tutto allo studio di Dante, raccolse quanti libri danteschi poté, passava le ore del giorno a studiarli, impiegando poi le ore della sera sino alle due o alle tre di notte a scrivere.”
Il relativo isolamento, pur mitigato da un’ampia rete di contatti epistolari, permette a Scartazzini di affrontare un enorme mole di lavoro. Oltre che di Dante si occupa di Petrarca, Torquato Tasso, Giordano Bruno, Galileo Galilei e persino di Charles Darwin. Collabora a giornali ed enciclopedie e stila progetti per una storia della letteratura italiana in tedesco e italiano.
Nel 1880 trova anche il tempo di partecipare al processo sui fatti di StabioCollegamento esterno, un episodio sanguinoso nel conflitto tra liberali e conservatori in Ticino, in qualità di cronista del quotidiano Neue Zürcher Zeitung – la sua presa di posizione a favore dei liberali e il tono polemico delle sue cronache gli costeranno tuttavia l’esclusione dalla tribuna dei giornalisti.
“Uomo di Dio e di Dante, vissuto predicando il Vangelo e commentando il Poema.”
Gabriele D’Annunzio
Cavaliere e barbaro
Ancora durante la sua vita, Scartazzini ottiene numerosi riconoscimenti, tra cui il titolo di cavaliere conferitogli dal re di Sassonia nel 1882. Di lui Gabriele D’Annunzio scrive: “Uomo di Dio e di Dante, vissuto predicando il Vangelo e commentando il Poema.”
La sua collocazione periferica e il suo carattere litigioso, che lo spinge a ingaggiare aspre scaramucce verbali con altri pubblicisti, gli costano però anche numerose simpatie e – in particolare in Italia – finiscono per occultarne a lungo i meriti.
Fra i suoi più feroci avversari c’è lo scrittore Vittorio Imbriani, che non solo ne mette in dubbio le competenze di dantista, ma ne critica duramente anche le competenze linguistiche: “Quando scrive italiano mi par patatucco”. E in una lettera, citata a fine Ottocento dal Corriere della Sera, si chiede: “Ma chi è questo barbaro?”
Un barbaro che con la sua opera solitaria, rimasta insuperata per decenni, ha fornito un modello per buona parte dei commenti successivi della Divina Commedia.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Partecipa alla discussione!