Frontiere chiuse al turismo della spesa? Affari d’oro per il Ticino
Dopo molti mesi, i ticinesi possono tornare a fare compere in Italia. Ma quanto ci hanno guadagnato i rivenditori elvetici con la chiusura dei valichi agli acquisti transfrontalieri?
Il Governo italiano ha deciso negli scorsi giorni di dare seguito alla richiesta dei Comuni che si trovano sulla fascia di confine e di seguire gli esempi francese e tedesco concedendo, a chi vive a ridosso della frontiera, la possibilità di sconfinare anche senza dover presentare un test negativo al coronavirus. Le condizioni che continuano a dover essere rispettate riguardano invece il formulario di localizzazione (da compilare onlineCollegamento esterno), il limite di 60 chilometri percorribili senza test (da calcolare a partire dal proprio domicilio) e un massimo di 24 ore di permanenza sul territorio italiano (per andare in vacanza, per esempio, la prova della negatività invece serve).
Ad essere interessati da questa modifica sono quindi principalmente coloro che si recano in Italia per motivi privati e familiari, oppure chi intende tornare a fare acquisti al di là della dogana. Una battaglia, quella per eliminare quanti più ostacoli possibili al transito transfrontaliero, fortemente combattuta in particolar modo dai sindaci dei Comuni adiacenti al Ticino. In sostanza, quelli che, nei decenni, hanno sviluppato un’offerta commerciale anche in funzione della vicinanza con la Svizzera, e che si sono ritrovati, con la chiusura intermittente dei valichi, in forti difficoltà.
Cifre più che raddoppiate per la distribuzione ticinese
L’impossibilità dei ticinesi di recarsi in Lombardia o Piemonte per il cosiddetto turismo degli acquisti ha però anche fatto la fortuna di qualcun altro. Tra le immagini che hanno simboleggiato l’inizio della pandemia da coronavirus, ci sono infatti quelle della corsa alle provviste e degli scaffali vuoti. Dal lato elvetico del confine, il colosso svizzero del commercio al dettaglio Migros (l’unico a fornire le cifre) ha fatto numeri d’oro nel corso dello scorso anno. L’utile d’esercizio, nel 2020, è aumentato addirittura del 167% rispetto al 2019 (andato particolarmente male nel confronto con i precedenti) e dell’82% rispetto a due anni prima (si veda il grafico). Per lo scorso anno, si parla infatti di un utile pari a ben 3,62 milioni di franchi, mentre i dati 2019 e 2018 si limitano rispettivamente a 1,35 e 1,98 milioni: il 2020, da solo, ha quindi fatto incassare tanto quanto il biennio precedente e anche di più.
“Ogni tre mesi raccogliamo i dati di circa 2’000 aziende lombarde, ma non possiamo dire con esattezza quanto la chiusura della frontiera abbia inciso sul commercio regionale. Anche perché, un eventuale calo riscontrato nei punti vendita di confine, potrebbe essere stato compensato da un consumo accresciuto dei clienti italiani”, ci spiega Sergio Valentini, dirigente di Unioncamere Lombardia, al quale abbiamo domandato se sono disponibili numeri relativi alle cifre d’affari nel 2020 dei negozi vicini ai valichi svizzeri. Valentini, tuttavia, precisa che i dati raccolti da Unioncamere riguardano la Regione e considerano quindi tutto il territorio lombardo, fino a Mantova. La Lombardia, insomma, comprende un territorio troppo eterogeneo per poter spiegare con i propri dati i fenomeni di frontiera.
Varese, Como e Sondrio ai primi posti
Rivolgendoci alla Camera di commercio di Como-Lecco, abbiamo però ottenuto anche l’indice del volume d’affari del commercio nelle varie province. Tra il 2019 e il 2020, le flessioni più importanti si sono effettivamente registrate nelle province confinanti con il Ticino: il Varesotto è al primo posto, ma cali significativi ci sono stati anche a Como e Sondrio.
Contrariamente alla politica attuata da Migros – e così come fanno anche gli altri rivenditori ticinesi – la grande distribuzione italiana non rende noti i propri utili alla stampa in modo da permettere un paragone con le cifre alla mano. Tra i grandi del commercio al dettaglio presenti a ridosso della frontiera, Iper ha preferito non commentare l’andamento delle vendite e gli effetti della chiusura dei valichi, ma Bennet ci ha confermato che il blocco del transito degli acquisti “ha generato perdite importanti sui tre punti vendita Bennet vicini alla Svizzera”, ossia quelli di Tavernola, Montano Lucino e Lavena Ponte Tresa. Intanto, il tempo a disposizione è stato utilizzato per ammodernamenti strutturali e tecnici, spiega una portavoce dell’azienda: “Abbiamo investito sulle ristrutturazioni dei punti vendita di Tavernola e Lavena Ponte Tresa e sul miglioramento del sito web”.
Malgrado la mancanza di numeri precisi, i dati contenuti nella tabella qui sopra danno tuttavia ragione ai commercianti della fascia di confine che, nelle scorse settimane, hanno alzato la voceCollegamento esterno chiedendo al Governo di Roma di prevedere per i territori di frontiera regole ad hoc. Regole che permettessero di tornare quindi ad aprire al turismo della spesa, così come era già stato fatto in Francia e in Germania. Sempre che i ticinesi non si siano ormai abituati a spendere sul proprio territorio, per la gioia dei rivenditori locali e dei loro bilanci annuali.
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