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Arnold Böcklin, il pittore svizzero con l’Italia nel cuore

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"L’isola dei morti" è forse il dipinto più noto di Arnold Böcklin. tvsvizzera.it

Nato e cresciuto a Basilea, il celebre autore de "L’isola dei morti" scelse l’Italia come casa per gran parte della propria vita: prima Roma, dove riuscì a far sbocciare il suo talento della pittura paesaggistica, poi Firenze dove decise di trascorrere gli ultimi anni.

È il 1854 a Roma. In Via della Vite, nel centro storico dell’Urbe, vive un pittore squattrinato con la moglie in dolce attesa. L’artista è arrivato in città da Basilea solo quattro anni prima con l’idea di trovare ispirazione per i suoi dipinti. Ma le cose erano andate diversamente: il lavoro era poco e le paghe misere. Tanto da prendere in considerazione l’idea di fare come tanti suoi concittadini e presentarsi di fronte alla casa Borbone di Napoli per entrare in uno dei reggimenti svizzeri al soldo del Re delle Due Sicilie. La giovane moglie Angela Pascucci quella decisione la prese male: “Io ho sposato un pittore, non un soldato”, gli avrebbe detto. E così l’artista elvetico riprende i pennelli e continua a dipingere fino a diventare, qualche decennio dopo, uno dei principali esponenti del cosiddetto simbolismo tedesco.

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L’artista protagonista di questa storia è Arnold Böcklin, nato a Basilea nel 1827 e noto soprattutto per il suo capolavoro “L’isola dei morti” di cui dipinse cinque versioni, tre delle quali a Firenze. Roma e Firenze furono due punti di riferimento fondamentali per l’artista elvetico: la prima, perché vi trascorse una buona parte della sua vita adulta e dove sbocciò la sua arte; la seconda perché decise di trovarvi rifugio, fino alla sua morte, dopo i radicali cambiamenti che stavano trasformando l’Urbe in qualcosa di troppo diverso da ciò che lo aveva attratto in un primo momento.

Il primo viaggio a Roma

“A Roma Arnold Böcklin arriva abbastanza presto, a 23 anni, nel 1850”, racconta a tvsvizzera.it la professoressa Maria Grazia Messina, che ha insegnato per anni Storia dell’arte contemporanea all’Università di Firenze. “Prima si era formato come pittore di paesaggio in Germania, all’Accademia di Düsseldorf, dove all’epoca esisteva un’importante scuola fondata sulla paesaggistica. Aveva viaggiato nelle Fiandre, a Bruxelles, ad Anversa. Era stato anche a Parigi nell’anno dei famosi moti del 1848 e lì aveva potuto avere sentore della nuova tendenza che si stava facendo avanti fortemente nell’ambito della pittura, e cioè quella del realismo. La tendenza, cioè, a rappresentare la realtà fenomenica del mondo naturale così come effettivamente lo vediamo o lo esperiamo, al di fuori di convenzioni che erano proprie della storia della pittura. E con questo bagaglio Böcklin viene a Roma. Nel 1850 avrà un primo soggiorno italiano che, con qualche breve interruzione durerà per ben sette anni, fino al 1857”, spiega la professoressa Messina.

A Roma Böcklin ci arriva grazie un suo concittadino: Jacob Burckhardt. Il celebre storico autore de La civiltà del Rinascimento in Italia consigliò al giovane pittore di recarsi in Italia per arricchire e completare la sua formazione. “Il viaggio di formazione a Roma era una conditio sine qua non per gli artisti dell’epoca. Non soltanto per vedere direttamente i capolavori massimi del Rinascimento italiano, cioè la Sistina di Michelangelo e le Stanze di Raffaello in Vaticano, ma anche perché dalla fine del Settecento in poi a Roma si era praticata tutta una campagna di scavi nelle grandi ville degli aristocratici. Questi avevano portato alla luce una grande quantità di reperti dell’antichità: statue, bassorilievi, frammenti antichi. Insomma, si veniva a Roma non soltanto per godere dell’arte del Rinascimento, ma anche per avere una diretta esperienza della scultura, specialmente dell’antichità classica, racconta l’esperta di arte contemporanea Maria Grazia Messina.

Roma, la città-paesaggio di Böcklin

A Roma Böcklin trascorse prima un periodo di sette anni dal 1850 al 1857. E poi di nuovo quattro anni nel decennio successivo. Nonostante diversi periodi di vita trascorsi a Basilea, a Zurigo e a Monaco di Baviera, l’artista elvetico porterà sempre Roma nel cuore. Se non altro perché fu proprio nell’Urbe che poté trovare ampia ispirazione per la sua forma d’arte preferita: la pittura paesaggistica.

“Artisticamente allo svizzero interessava principalmente l’esperienza della natura e come qualcuno la possa restituire in pittura. Da questo punto di vista Roma è stata molto importante perché era una città-paesaggio”, afferma la professoressa Messina. “All’interno delle mura era costituita da un insieme molto esteso, come in parte lo è ancora oggi, di giardini, ville con grandi parchi, grandi spazi verdi estesi dove la vegetazione poteva presentarsi anche incolta, in uno stato quasi selvaggio. Insomma, a Roma era possibile vivere un’esperienza di immersione totale nella natura pur senza allontanarsi troppo da casa”.

Firenze, l’ultima casa di Böcklin

A un certo punto, a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, Arnold Böcklin inizia a volgere il suo sguardo verso un’altra città italiana: Firenze. Il motivo per cui lo svizzero cominciò a voltare le spalle all’Urbe fu legato alla proclamazione, nel 1871, di Roma a capitale del Regno d’Italia.

Perse allora “il fascino di città in decadenza che aveva avuto fino a quel momento. Anzi, in quegli anni Roma viene completamente deturpata agli occhi di Böcklin perché è in atto una speculazione edilizia molto forte: interi quartieri vengono costruiti ex novo, e alcuni dei famosi parchi che erano all’interno di Roma spariscono inghiottiti dalle nuove costruzioni. Villa Boncompagni, nella zona di via Veneto, ad esempio scomparve del tutto”, spiega Messina.

Ma se a Roma non sta più bene, è sempre in Italia che Böcklin cerca il posto del cuore. “Lo svizzero posò il suo sguardo su Firenze, un’altra città che vive proprio del paesaggio che le è intorno”, aggiunge la professoressa.

Per anni, tra il 1874 e il 1885, Böcklin farà la spola tra Firenze e la Germania fino a quando, nel 1893 decide di stabilirsi nel capoluogo toscano definitivamente. Ormai anziano, famoso e ricco decide di rifugiarsi sulle colline di Fiesole dove acquista Villa San Domenico, la sua ultima dimora. Qui morì nel 1901 all’età di 74 anni.

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