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Mafie, una ventina di cosche attive in Svizzera

Il ristorante Bellavista a Muri (AG) visitato il 23 luglio 2020 dagli agenti federali
Il ristorante Bellavista a Muri (AG) visitato il 23 luglio 2020 dagli agenti federali che indagano sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Svizzera. Keystone / Alexandra Wey

La Svizzera, come hanno evidenziato diverse inchieste negli ultimi decenni, non è al riparo dalla criminalità organizzata.

Secondo quanto ha rivelato la polizia federale (Fedpol) al settimanale NZZ am Sonntag sono attualmente almeno 20 le cellule mafiose attive nella Confederazione, per un totale di oltre 400 appartenenti alla Mafia siciliana, alla Camorra campana e, in particolare, alla ‘ndrangheta calabrese. Ma secondo alcune stime la cifra dei membri di organizzazioni criminali che hanno il loro vertice nell’Italia meridionale potrebbe essere molto superiore, oltre le mille unità, come indica il servizio del TG.

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Il fenomeno è avvertito soprattutto nei cantoni confinanti con l’Italia (Ticino, Vallese, Grigioni) e in numerosi agglomerati urbani. La Svizzera funge da retrovia dove può essere investita parte dei guadagni derivanti dai traffici illegali, anche se le norme antiriciclaggio di cui si è recentemente dotato l’ordinamento elvetico rendono molto più difficile il coinvolgimento del sistema finanziario ufficiale.

Gli affiliati alle varie cosche, descrive il rapporto 2019 della Fedpol che riferiva di un centinaio di mafiosi nel paese, mantengono una presenza discreta, sono spesso integrati e svolgono generalmente un’attività professionale che non si esaurisce in un’effimera copertura.

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Periodicamente le cronache locali si occupano del fenomeno, come avvenuto negli scorsi giorni, il 21 luglio, nell’ambito della vasta operazione internazionale che ha portato all’arresto per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, riciclaggio, corruzione e altri reati di 75 persone e al sequestro di 169 milioni di euro appartenenti a cosche di Lamezia Terme e Vibo Valentia.

Perquisizioni e sequestri di armi e denaro sono stati effettuati anche in Ticino, Argovia, Soletta e Zugo per mano degli agenti della polizia federale che hanno proceduto al fermo di una persona, nell’ambito di un procedimento coordinato dal Ministero pubblico della Confederazione.

Le ipotesi di reato nei confronti di sei indagati – tutti cittadini italiani residenti da anni in Svizzera – su cui si stanno soffermando gli inquirenti elvetici sono quelle di sostegno o partecipazione a un’organizzazione criminale, riciclaggio di denaro, ricettazione, messa in circolazione di monete false, importazione, l’acquisizione e deposito di monete false e sospetta violazione della legge federale sugli stupefacenti.

Nella Confederazione svolgono attività in ambito finanziario (prestiti e investimenti) e nella ristorazione, connesse in un qualche modo con gli scopi dell’organizzazione criminale.

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Ma molti commentatori lamentano un limite, in un certo senso culturale, nel contrasto alle mafie nel paese. Gli inquirenti elvetici non hanno esperienza contro questo tipo di minacce e un certo tipo di legislazione permissiva, come quella vigente nel Grigioni, consente l’insediamento senza formalità particolari di società fittizie (le cosiddette società bucalettere) che possono celare attività di ogni tipo.

In Mesolcina, ad esempio, sono registrate circa 2’000 società di questo tipo, a fronte di una popolazione di 8’300 abitanti, che paiono del tutto estranee al tessuto economico locale.

E infine, per l’autrice di un rapporto sulle mafie in Svizzera Madeleine Rossi, le autorità elvetiche fanno troppo poco per informare la popolazione su questo pericolo e manca quindi il controllo sociale necessario per contrastare il fenomeno.

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