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Dentro un ospedale nell’era del coronavirus

Un paziente intubato con assistito da due medici.
“A decidere cosa ci aspetta saranno i ticinesi con il loro comportamento: se sarà completamente irresponsabile, allora il picco arriverà veloce, alto, doloroso”. Keystone / Alessandro Crinari

L’ospedale la Carità di Locarno è diventato la prima linea del fronte contro il virus. Medici e infermieri lavorano giorno e notte per curare i contagiati più gravi. Una squadra di Falò, la trasmissione di approfondimento della RSI, è stata in ospedale qualche giorno per seguire i medici, gli infermieri ma anche i pazienti. 

La troupe di Falò sta seguendo da alcuni giorni medici e infermieri nel loro lavoro, tra fatica e speranze, nel tentativo di salvare delle vite e in quello di preparare la struttura ospedaliera a sviluppi della malattia ancora imprevedibili. Nella puntata di Falò il reportage in presa diretta di questi terribili giorni alla Carità di Locarno.

Ospiti in collegamento dall’ospedale di Locarno la Carità il dottor Michael Llamas e il direttore dell’ospedale Luca Merlini.

Guardate la puntata. Ci sono anche immagini che possono toccare le persone più sensibili.

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Il picco è imminente

Il picco dell’epidemia di coronavirus in Svizzera e ancora di più nel canton Ticino è imminente: questo, tuttavia, cosa significa? Cosa ci aspetta nelle prossime settimane? “È strano ma a decidere cosa ci aspetta sarà la stessa comunità ticinese”, risponde il dottor Michael Llamas, direttore sanitario e viceprimario di medicina intensiva all’ospedale La Carità di Locarno, uno dei centri di riferimento per la cura dei pazienti che hanno contratto la malattia. Llamas con la sua équipe  è in prima linea per far fronte all’epidemia e in collegamento durante la trasmissione Falò (vedi sopra) non ha usato mezzi termini: “A decidere cosa ci aspetta saranno i ticinesi con il loro comportamento: se sarà completamente irresponsabile, allora il picco arriverà veloce, alto, doloroso”.

In Ticino si sono registrati finora (20 marzo) 834 contagi di cornoavirus e 22 decessi, 7 in più rispetto a ieri. 179 persone sono ricoverate, di cui 35 in terapia intensiva. 
In Svizzera i casi sono saliti a 4840. Nelle ultime 24 ore sono stati segnalati 952 nuovi contagi. I decessi sono 43, 10 in più del 19 marzo.

Tuttavia, ha proseguito Llamas, “se il Ticino riuscirà a dimostrare che esiste un bene superiore al proprio egoismo, al proprio io, ovvero il bene della comunità, e la gente seguirà le indicazioni, resterà a casa, farà quello che bisogna fare, allora il picco sarà lento, più dolce e quindi noi potremo curare meglio i nostri pazienti”.

In qualsiasi sistema sanitario, aggiunge, “le risorse non sono infinite. Per ora abbiamo ancora margine e sappiamo che abbiamo altre risorse da impiegare. La collaborazione tra pubblico e privati permette di mettere in campo tutta la potenzialità della sanità cantonale, senza barriere, affinché non debba arrivare il momento di prendere la terribile decisione di scegliere chi curare e chi no”.

A quando il nuovo vaccino?

Il coronavirus è molto resistente e può rimanere per ore nell’aria di una stanza in cui ha respirato una persona infetta. È uno dei motivi che ha portato alla rapida diffusione della malattia sottolineate da Antonio Lanzavecchia, immunologo e direttore dell’IRB di BellinzonaCollegamento esterno, nel corso della trasmissione Falò (vedi sopra).

In particolare, dopo tre ore, nell’aria resta ancora la metà della quantità di virus, che è molto persistente anche sulle superfici.

Un altro fattore che ha portato alla rapida diffusione è il fatto che, all’inizio dell’epidemia, non era chiaro che persone asintomatiche, o con sintomi molto leggeri, potessero infettarne altre.

Per quanto riguarda un nuovo vaccino, secondo Antonio Lanzavecchia, dobbiamo aspettare almeno due anni.

La vita continua

L’ultima parte della trasmissione entra nella vita di noi tutti. Attraverso alcune persone e famiglie, Falò ha cercato di capire come vive la gente questa quotidianità. Dal lavoro a casa alla gestione della famiglia, ma anche la storia di un frontaliere, attivo nel settore sanitario, che vive in un hôtel per non mancare dal lavoro. Ecco tante storie che raccontano un’unica storia. La nostra al tempo del coronavirus.


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