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COP25, “un’occasione persa”

Si è deciso di non decidere, per ora. Possono essere riassunti anche così i risultati della Conferenza sul clima COP25 svoltasi a Madrid e terminata domenica, due giorni dopo il previsto. Molte decisioni importanti sono state rimandate (almeno) all'anno prossimo. Il Segretario generale dell'Onu si dice "deluso".

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Quella che doveva essere la Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici all’insegna dell’ambizione, svoltasi a Madrid,  non ha messo a segno gli obiettivi. Con due giorni extra ha evitato il disastro ma non il fallimento, secondo gli ambientalisti.

Nonostante il severo monito della scienza e le proteste della società civile in tutto il mondo, alla COP25 non c’è stato accordo e la soluzione di alcuni nodi è rinviata al 2020.

Schermo
“È tempo di agire”. La Cop25 non è stata all’altezza del suo slogan. Keystone / Juan Carlos Hidalgo

Nelle oltre due settimane di negoziati a Madrid, in quella che è stata la Conferenza delle parti (COP) più lunga di sempre (cominciata il 2 dicembre), una vittoria c’è, seppure a metà, ed è quella dei Paesi vulnerabili, vittime degli eventi meteo estremi e di cui alcuni rischiano di sparire, come le piccole isole del Pacifico. 

Hanno costretto i Paesi più ricchi a indicare entro l’anno prossimo di quanto aumenteranno (quindi non è più un’opzione) gli impegni entro il 2030 per tagliare i gas serra, all’origine del riscaldamento globale e dei disastri ambientali.

Era un punto non così formulato nell’Accordo di Parigi del 2015. Ora, è scritto chiaro e quindi alla COP26 di novembre 2020 a Glasgow nessun Paese potrà più sottrarsi dall’indicare di quanto aumenterà il contributo nazionale (Ndc) sul clima. Solo così si potrà capire se c’è un un scarto fra gli impegni presi e quelli necessari per contenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi entro il 2100 rispetto al periodo preindustriale. Aumento che, secondo la scienza, può evitare fenomeni climatici estremi. L’anno prossimo sarà perciò cruciale per salvare l’Accordo di Parigi.

Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che aveva aperto la Conferenza dei 196 Paesi più l’Ue pronunciando tre volte la parola “ambizione” si è detto “deluso” del risultato affermando che “la comunità internazionale ha perso una opportunità importante per mostrare maggiore ambizione”. In un tweet ha esortato: “Non dobbiamo arrenderci, e io non mi arrenderò”.

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Dello stesso tenore il tweet di Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che aveva anche partecipato ad alcuni eventi della COP sottolineando che i governi non sembrano percepire l’urgenza e chiedendosi come possano non avere panico: “La scienza è chiara, ma la si sta ignorando. Qualunque cosa accada non ci arrenderemo. Abbiamo appena iniziato”.

Nel braccio di ferro fra i Paesi ricchi e quelli vulnerabili, il risultato a favore dei più poveri e deboli è comunque frutto di un compromesso arrivato dopo trattative estenuanti di 14 giorni (nell’ultima plenaria era chiara la stanchezza tra errori e fretta di prendere l’aereo).

L’altro punto cruciale era quello della revisione degli aiuti per le perdite e i danni (Loss and damage) che subiscono i Paesi vulnerabili (peraltro i meno responsabili dei gas serra) per cui si chiede ancora uno sforzo di risorse ai Paesi ricchi. Si è deciso di rinviare al 2020 come è stata rinviata anche la definizione delle regole sul mercato globale delle emissioni di anidride carbonica.

Per il WWF, “i Paesi più inquinanti – fra cui Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Brasile, Arabia Saudita – si sono sottratti alla responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra” continuando ad “anteporre i propri interessi alla crisi planetaria”.

L’esito di questa COP “è completamente inaccettabile” secondo Greenpeace anche per “l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena”.

Nel servizio della Radiotelevisione svizzera, le considerazioni della responsabile del Dipartimento federale dell’ambiente Simonetta Sommaruga.

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