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Vaticano, a grandi passi nella lotta al riciclaggio

In un'immagine d'archivio, la sede della Banca Vaticana. Keystone

Nel cuore di Città del Vaticano, la giovane autorità anti-riciclaggio diretta da un esperto svizzero assicura di aver già compiuto passi da gigante per eliminare le operazioni opache della “banca del papa”. Un istituto a lungo infangato dagli scandali.

La sede dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF) è a pochi passi dalla residenza di papa Francesco, che festeggia lunedì quattro anni alla guida della Chiesa cattolica. Nessun dubbio: gli uffici, ornati da crocifissi, sono al servizio del papato, come ricorda il presidente dell’autorità René Brülhart.

Prima della sua missione in terra papale, l’avvocato Brülhart aveva accettato la sfida di allineare alle norme internazionali la piazza finanziaria del Liechtenstein, non necessariamente lieta di accoglierlo. Soprannominato ‘James Bond’ dalla stampa, l’agente svizzero è inoltre riuscito a rimpatriare in Iraq dei fondi di Saddam Hussein depositati all’estero.

È quindi senza batter ciglio che nell’autunno del 2012 è sbarcato in Vaticano, sotto Benedetto XVI, per smuovere l’istituzione ecclesiastica ritenuta votata al segreto.

“Il mio primo lavoro consiste nel capire le sfide”, spiega senza ostentazione René Brülhart. Dopodiché, si è chinato sulla stesura di una nuova legge contro il riciclaggio -consegnata a papa Francesco nel 2013- conforme alle leggi internazionali e non più a una logica puramente interna.

“Ho potuto contare su molte porte aperte in Vaticano”, assicura Brülhart. “Non tutti ne sono stati contenti, ma io sono anzitutto al servizio dell’istituzione della Santa Sede”.

Nemmeno una parola sulla ‘vecchia guardia’ che gli ha messo i bastoni tra le ruote. Papa Francesco aveva deciso, nel giugno del 2014, di destituire l’intero consiglio di direzione dell’AIF, composto da cinque italiani.

Secondo i rapporti d’attività, le transazioni potenzialmente sospette segnalate all’AIF sono state 7 nel 2011 e 2013, e quasi 900 nei tre anni successivi, segno che il sistema ha cominciato a funzionare.

Le segnalazioni riguardano essenzialmente i conti dell’Istituto per le opere di religione (IOR), soprannominato “la banca del papa” e situato in una torre medievale. Una piccola parte dei dossier è indirizzata ogni anno al procuratore vaticano.

La ‘grande pulizia’ è terminata a fine 2015, con la chiusura di quasi 5 mila conti: “Non tutti erano illegali o legati ad attività criminali”, precisa Brülhart. “Alcuni appartenevano a persone che non corrispondono più alla clientela voluta dallo IOR.”

Gli Statuti della banca, che non sono stati modificati, permettono ancora di aprire un conto tramite donazione. L’Istituto torna però a concentrarsi su religiosi, congregazioni e impiegati del Vaticano.

Sulla scala del tempo vaticano, la celerità del gendarme finanziario è sembrata rivoluzionaria. “Nascondersi dietro spessi muri non era più possibile”, sottolinea un osservatore interno.

Era anche ora. Nuovi scandali hanno scosso l’istituzione sotto Benedetto XVI, fondi sospetti sono stati congelati nel 2010 e il direttore della banca costretto a fare i bagagli nel 2012.

Finora, lo IOR poneva poche domande sull’origine dei fondi, come emerge dal processo contro due ex dirigenti silurati nel 2013 e condannati a fine febbraio, per non aver trasmesso sufficienti informazioni.

In passato, anche la mafia è stata accusata di aver approfittato di questo anonimato o di prestanome per ripulire i suoi fondi.

Si può ancora pensare di riciclare del denaro sporco in Vaticano? “Lo sconsiglierei”, risponde René Brülhart. “Se il nostro lavoro non fosse stato preso sul serio, né la Banca d’Italia, né gli organi di sorveglianza americano e tedesco avrebbero firmato dei memorandum d’intesa con noi”.

Nel 2011, il Vaticano ha chiesto le perizie di Moneyval, il Comitato di esperti del Consiglio d’Europa per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. L’ultimo rapporto, nel 2015, ha concluso che il Vaticano ha posto rimedio a molte delle sue debolezze strutturali, ma tarda a intraprendere azioni giudiziarie.

Sono 17 le inchieste che attendono la procura della Santa Sede -di cui tre oggetto di procedura anche in Italia- e 13 i milioni di euro di dubbia origine congelati tra il 2013 e il 2016.



Traduzione: tvsvizzera.it/ri

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