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Caso UBS, “Poche speranze di bloccare l’invio dei dati a Roma”

Keystone

Nuovo capitolo nella vertenza tra fisco italiano, che ha recentemente inoltrato una richiesta di informazioni sui suoi contribuenti titolari di un conto presso l'UBS, e le banche svizzere.

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L’istanza era stata indirizzata a dicembre all’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) ma se ne è avuta notizia solo a inizio agosto dal Foglio ufficiale. 

Tecnicamente si tratta di una domanda raggruppata, Roma non è infatti a conoscenza dei nominativi delle persone fisiche che non hanno dichiarato i loro averi detenuti nella principale banca elvetica tra febbraio 2015 e dicembre 2016 (vale a dire nel periodo che precede lo scambio automatico di informazioni) e vuole accedere a queste informazioni attraverso una richiesta di assistenza amministrativa rivolta a Berna.

È una ricerca mirata: all’Agenzia delle entrate interessano i nomi dei correntisti di UBS che non hanno dato seguito alla lettera nella quale la banca annunciava la chiusura forzata dei conti in caso di mancata prova della loro conformità fiscale con le competenti autorità (in questo caso italiane). Circostanza questa che lascia supporre che essi non abbiano sanato la loro posizione con la Voluntary disclosureCollegamento esterno del 2015 (successivamente prorogata fino al 2017) e che quindi si trovino tuttora in situazione di irregolarità nei confronti delle autorità fiscali del loro paese. 

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Il logo di UBS nella sede di Zurigo.

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UBS sotto la lente del fisco italiano

Questo contenuto è stato pubblicato al Roma chiede a Berna i nomi dei suoi contribuenti con conti presso l’UBS che non hanno regolarizzato la loro posizione con il fisco.

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Berna, attraverso l’Amministrazione federale delle contribuzioni, ha quindi invitato questa categoria di contribuenti italiani a comunicare entro 20 giorni (a partire dal 6 agosto), si legge nel Foglio Ufficiale, il loro indirizzo attuale svizzero o, se risiedono all’estero, a designare un rappresentante autorizzato a ricevere le notificazioni in Svizzera.

È la prima volta che dall’Italia giunge una domanda raggruppata e quest’iniziativa potrebbe inserirsi in una più vasta offensiva di Roma nei confronti delle banche svizzere: sempre nello scorso dicembre erano state infatti chieste informazioni dettagliate alle banche elvetiche sulle loro attività in Italia. E ora vengono chiesti i nomi dei presunti evasori con conti all’UBS, ma tutto lascia presagire che un’analoga iniziativa possa essere presa in un futuro non troppo lontano anche nei confronti dei correntisti italiani di altre banche svizzere.

Sul significato e sulle controversie legali che accompagnano queste procedure attivate all’estero abbiamo interpellato Samuele Vorpe, responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana). 

tvsvizzera.it: Come va interpretata questa nuova offensiva delle autorità fiscali italiane? Fa forse parte di una più ampia strategia collegata con la famosa richiesta di informazioni, tramite formulario inviato lo scorso dicembre a tutte le banche svizzere, sulle attività svolte su suolo italiano?

Samuele Vorpe: No, si tratta di due questioni completamente diverse. I formulari inviati alle banche svizzere dalle autorità italiane lo scorso dicembre miravano ad appurare l’esistenza o meno in Italia di una stabile organizzazione delle banche svizzere, situazione che avrebbe implicato un assoggettamento limitato alle imposte in Italia di queste ultime, con relativi rischi fiscali e penali in caso di mancata risposta/adempimento tempestivo a tali questionari.

Per contro, la richiesta di assistenza amministrativa presentata dalle autorità italiane, pubblicata sul Foglio federale Collegamento esternodel 6 agosto, volta ad ottenere le informazioni di clienti della banca UBS domiciliati in Italia, fa seguito all’accordo amichevole sottoscritto il 2 marzo 2017Collegamento esterno tra l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano (MEF). Questo accordo consente alle autorità italiane di presentare delle domande raggruppate all’omologa autorità svizzera per ottenere informazioni sui contribuenti recalcitranti, ovvero quei clienti italiani che si sono rifiutati di fornire agli istituti finanziari richiedenti le adeguate rassicurazioni sulla regolarità dei fondi depositati presso gli stessi. Le richieste di gruppo generano elenchi nominativi che potranno dare origine ad ulteriori richieste di informazioni più dettagliate.

“Le decisioni del Tribunale federale sono sistematicamente di parere opposto a quelle del Tribunale amministrativo federale.” 

In concreto che tipo di informazioni può ottenere il fisco italiano attraverso questa procedura internazionale?

L’art. 1 dell’accordo del 2 marzo 2017Collegamento esterno stabilisce che le domande raggruppate italiane possono riguardare qualsiasi conto detenuto da clienti residenti in Italia presso istituti finanziari svizzeri nel periodo intercorso tra il 23 febbraio 2015 e il 31 dicembre 2016. La richiesta raggruppata italiana deve essere relativa ai titolari dei conti, da intendersi, ai sensi dell’art. 2, i cosiddetti clienti recalcitranti; costoro hanno ricevuto un avviso tramite lettera che preannunciava l’eventuale chiusura del conto, qualora non si fossero addotte prove della corretta dichiarazione di quanto presente nel conto. Da tale definizione, è escluso (ex art. 3) chi ha regolarizzato i propri averi mediante gli strumenti di dichiarazione agevolata susseguitisi in Italia (da ultimo la voluntary disclosure), aderendo alla divulgazione volontaria secondo il trattato tra Svizzera e Unione europea sulla fiscalità del risparmio (cd. Euroritenuta) oppure indicando regolarmente gli averi detenuti in Svizzera nelle loro dichiarazioni dei redditi italiane.

La richiesta di assistenza amministrativa in materia fiscale italiana si basa esattamente sui contenuti dell’accordo del 2 marzo 2017 ed è volta all’ottenimento di informazioni di clienti UBS. Occorre, però, tenere presente che l’accordo ha una portata più ampia, rivolgendosi agli istituti finanziari svizzeri, pertanto non si può escludere che seguiranno ulteriori domande di assistenza rivolte a clienti italiani con conti aperti presso altri istituti finanziari svizzeri nel lasso di tempo compreso tra il 23 febbraio 2015 e il 31 dicembre 2016.

In cosa si differenzia questo caso dall’inchiesta condotta in Francia che ha portato alla recente controversa decisione del Tribunale federale?

Nel caso UBS-Francia, l’autorità fiscale francese ha formulato la domanda basandosi  su un elenco di circa 40’000 numeri di conti correnti bancari e altri numeri di presunti contribuenti domiciliati in Francia, sequestrato presso le banche UBS in Germania, tra il 2012 ed il 2013, e trasmessole dall’autorità tedesca. L’amministrazione finanziaria francese ha, nel dettaglio, richiesto all’AFC le informazioni sui titolari dei conti, compresi i saldi per i periodi d’imposta dal 2010 al 2015.

I giudici del Tribunale amministrativo federale hanno statuito che non fosse adempiuto il presupposto secondo il quale una domanda di assistenza amministrativa deve esplicitare i motivi per cui si suppone che i contribuenti avrebbero eluso i propri obblighi fiscali. Infatti, a loro dire, la semplice detenzione di un conto in Svizzera non costituisce un motivo sufficiente per concedere assistenza amministrativa. Di diverso avviso i giudici del Tribunale federale: questi ultimi hanno, infatti, ritenuto legittima la richiesta francese. 

Secondo loro, gli elementi indicati dalla Francia consentivano di sospettare la sussistenza di un comportamento illecito, poiché una parte dei detentori dei conti in questione sarebbero contribuenti francesi che non hanno rispettato i loro obblighi fiscali. Le motivazioni dei giudici non sono, però, al momento ancora note. Sarà, quindi, interessante comprendere i motivi che hanno indotto i giudici federali a non qualificare la domanda francese come fishing expedition.

Quali sono le basi legali per avanzare una domanda raggruppata allo scopo di ottenere i dati di contribuenti ignoti?

Il 17 luglio 2012, il Consiglio dell’OCSE ha approvato all’unanimità, incluso il rappresentante della Svizzera, l’aggiornamento dell’art. 26 del Modello dell’OCSE e del relativo Commentario, con cui sono state esplicitamente incluse nello standard OCSE anche le domande raggruppate. Quest’ultime, secondo l’art. 3 lett. c della Legge federale sull’assistenza amministrativa in materia fiscale (LAAF)Collegamento esterno rappresentano “una domanda di assistenza amministrativa con la quale si richiedono informazioni su più persone che hanno agito secondo lo stesso modello di comportamento e sono identificabili in base a indicazioni precise”.

L’art. 3 dell’Ordinanza di applicazione della LAAFCollegamento esterno specifica, in dettaglio, i numerosi requisiti ai quali deve sottostare una domanda raggruppata affinché le richieste di gruppo non costituiscano una fishing expedition; devono, in particolare, essere rispettati i seguenti requisiti: (i) il contribuente deve aver adottato un tipo di comportamento specifico e precisamente descritto con lo scopo di sottrarsi ad un suo obbligo fiscale; (ii) deve esistere un sospetto concreto che il contribuente sia venuto meno ai suoi obblighi fiscali; (iii) l’autorità fiscale dello Stato richiedente deve rendere plausibile che il detentore delle informazioni o i suoi collaboratori abbiano agito in maniera colpevole.

Nel caso UBS-Italia la delimitazione del gruppo di contribuenti italiani, che hanno agito secondo un certo modello di comportamento, si fonda sulla lettera di UBS inviata a tutti i clienti nella quale veniva espresso il dubbio circa la loro conformità fiscale. In relazione a tutti i clienti che non hanno dato seguito alla lettera oppure hanno proceduto a chiudere il conto, è scattata la presunzione secondo la quale la legislazione fiscale non sarebbe stata rispettata: diversamente avrebbero fornito prova contraria a UBS. Si può, quindi, ritenere che non si tratti di una fishing expedition.

“La giurisprudenza del Tribunale federale lascia ai clienti italiani poche speranze di bloccare la trasmissione dei dati in caso decidano di adire le autorità giudiziarie.”

Per le banche che hanno già invitato i loro clienti italiani, tramite lettera, a mettersi in regola con il fisco (minacciando la chiusura dei loro conti) quali ulteriori obblighi sono tenute ad adempiere?

Il modello comportamentale definito dalla domanda raggruppata italiana si innesta sulla presunzione dell’esistenza di doveri di sorveglianza e verifica in capo agli istituti finanziari relativamente alla conformità fiscale degli averi dei propri clienti. In realtà, non esiste alcun obbligo legislativo di tale tenore. Il cliente di un istituto finanziario che non ha inviato alcun tipo di comunicazione non rientrerà nel modello di comportamento; per contro – paradossalmente-, il cliente di un altro istituto finanziario che ha trasmesso la richiesta di conformità fiscale (non obbligatoria) resterà, suo malgrado, imbrigliato nella rete lanciata dallo Stato richiedente.

In proposito il Tribunale federale ha autorizzato la trasmissione di informazioni bancarie a Parigi sostenendo che non si trattava di una fishing expedition. È una fattispecie che invece ricorre, a suo avviso, in questo caso e per questo motivo è immaginabile un esito diverso di questa vicenda?

Per quanto concerne i clienti italiani toccati da questa richiesta di assistenza, la giurisprudenza del Tribunale federale lascia loro poche speranze di bloccare la trasmissione dei dati in caso decidano di adire le autorità giudiziarie (Tribunale amministrativo federale prima, Tribunale federale poi). Questo perché l’Alta Corte, con sentenza del 12 settembre 2016 (n. 2C_276/2016Collegamento esterno), ha già avuto modo di chinarsi sulla questione dando ragione all’AFC, la quale aveva ricorso contro la decisione del Tribunale amministrativo federale chiedendo la trasmissione delle informazioni di clienti UBS residenti in Olanda alle autorità fiscali di questo Stato. Anche allora, l’autorità fiscale olandese aveva richiesto all’AFC le informazioni bancarie riferite al periodo dal 1° febbraio 2013 al 31 dicembre 2014 di clienti UBS che, nonostante previa lettera inviata dalla banca, non avevano consegnato alcun elemento di prova sufficiente concernente il rispetto dei loro obblighi fiscali.

È a suo giudizio ravvisabile un atteggiamento un po’ troppo accondiscendente da parte delle autorità amministrative e giudiziarie svizzere nei confronti del fisco estero o le loro decisioni sono in linea con gli impegni giuridici presi?

Si possono formulare due osservazioni: la prima riguarda il ricorso, pressoché sistematico, dell’AFC contro le decisioni del Tribunale amministrativo federale al Tribunale federale. Siccome si tratta di questioni di diritto importanti, l’AFC ritiene corretto che sia l’ultima istanza ad esprimersi in merito, in casu il Tribunale federale, in modo da avere una decisione definitiva che funga da guida per future richieste di assistenza amministrativa.

La seconda, invece, riguarda le decisioni finali rese dal Tribunale federale che, sistematicamente, in materia, sono di parere opposto a quelle del Tribunale amministrativo federale. Infatti, capita sempre più spesso che i giudici del Tribunale amministrativo federale blocchino la trasmissione delle informazioni, per poi essere sconfessati dal Tribunale federale, il quale ribalta il giudizio a fronte del ricorso dell’AFC. Ecco, ci si dovrebbe chiedere perché queste due autorità giudiziarie, chiamate entrambe ad applicare il diritto, la pensino sempre diversamente.

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