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Casellario giudiziale, 251 permessi negati in Ticino dal 2015

Dall'aprile del 2015, quando è stato introdotto l'obbligo di presentazione del casellario giudiziale per gli stranieri che richiedevano un permesso per abitare o lavorare in Ticino, sono stati 251 i casi in cui questi permessi sono stati negati o non rinnovati. 

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Dall’aprile del 2015 e fino alla fine dello scorso anno, l’Ufficio della migrazione ticinese ha esaminato poco più di 95’000 domande di rilascio o di rinnovo di permessi di dimora (permesso B) e per lavoratori frontalieri (G).

Per 579 di queste domande, 0,6% del totale, la presenza di iscrizioni nel casellario giudiziale ha portato le autorità a svolgere ulteriori analisi, si legge in un comunicato del Dipartimento delle istituzioni cantonaleCollegamento esterno

In 251 casi, considerata la gravità delle condanne subite dal richiedente, il permesso è stato revocato o non rilasciato. Per gli altri 328 casi, 219 domande sono state evase positivamente” in quanto non è stato riscontrato un pericolo per l’ordine pubblico”. 66 richiedenti hanno rinunciato spontaneamente e in 34 occasioni è stato pronunciato un ammonimento che non ha quindi comportato revoche. Nove pratiche sono ancora in corso di accertamenti.

Effetto deterrente

Secondo il dipartimento delle istituzioni, la misura si sta rivelando efficace. “Il numero dei casi per i quali si rende necessaria un’ulteriore analisi”, si legge nel comunicato, “sta calando con costanza anno dopo anno: erano 216 nel 2016, 137 nel 2017 e sono stati 92 nel 2018: segno evidente, questo, dell’effetto deterrente intrinseco a una misura che di fatto scoraggia chi sa di non avere un passato irreprensibile oppure di non disporre delle condizioni necessarie all’ottenimento del permesso”.

L’obbligo di presentare l’estratto del casellario giudiziale è stata introdotta come misura temporanea in vigore fino a quando l’accordo fiscale con l’Italia sarà firmato e applicato. 

“Mi permetto di dire che ormai la misura è diventata ‘sine die'”, ha detto il direttore del dipartimento delle istituzioni ticinese Norman Gobbi, dato che sembra che “da parte italiana questo tema non lo si vuole più affrontare”.

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