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Il referendum “antipolitico”

camera dei deputati
In caso di sì al referendum, 230 degli attuali 630 seggi della Camera dei deputati rimarranno vuoti. In Senato, invece, il numero di seggi elettivi passerà da 315 a 200. Keystone / Ettore Ferrari

Al referendum dei prossimi 21 e 22 settembre gli italiani si pronunceranno sulla riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, da 945 a 600. Come prevede la legge di modifica costituzionale scritta dal Movimento 5 stelle e approvata con ampia maggioranza in parlamento ad ottobre del 2019. Tuttavia, in Senato i voti favorevoli sono stati inferiori ai due terzi come necessario alle modifiche costituzionali offrendo la possibilità di richiedere la consultazione popolare. Opportunità raccolta a gennaio da 71 senatori contrari alla riforma.

Complice la pandemia, scoppiata di lì a poco, il referendum costituzionale è finito in soffitta con tutti i propositi di una campagna referendaria.

In forte ritardo a ridosso del voto, sono partite le campagne di sensibilizzazione e si è scatenato il dibattito. Si sono moltiplicate le iniziative del fronte del No mentre i partiti che dovrebbero difendere le ragioni del Sì si spendono molto meno, sintomo forse di un certo disagio.

Il Sì alla riduzione del numero dei parlamentari è dato in schiacciante vantaggio dai sondaggi mentre al fronte del No, cresciuto solo man mano che le informazioni sono filtrate sugli organi di stampa, restano ormai pochissimi giorni per una rimonta.

Gli esperti si sono schierati su posizioni diametralmente opposte tra chi considera la legge lesiva della democrazia e chi al contrario trova proficuo un tale ridimensionamento delle Camere parlamentari, anche se nessuno si è espresso in modo convincente sui presunti benefici della riduzione del numero dei parlamentari sul funzionamento del parlamento. Anche la questione del risparmio sui costi della politica, stimata in un caffè all’anno per ogni cittadino italiano, sembra essersi smontata.

L’opinione di alcuni cittadini:

Il parere del costituzionalista

Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del PD descrive le ragioni che hanno portato il suo partito a schierarsi per il Sì alla riforma dopo essersi opposto in parlamento per tre delle quattro votazioni che hanno portato all’approvazione della legge e al conseguente referendum.

Aldilà dei delicati equilibri interni alla maggioranza – il PD ha cambiato strategia solo dopo la nascita del governo giallo-rosso – i dem rivendicano che il tema della riduzione del numero dei parlamentari è nel programma del partito già da tempo e che questa modifica, con alcuni correttivi, può essere il primo passo di una stagione di riforme costituzionali in direzione di una auspicata differenziazione del ruolo delle Camere ed il conseguente superamento del bicameralismo paritario. Una strada diversa per arrivare gradualmente all’obiettivo mancato da Renzi nel 2016.

La lotta impari del fronte del No

A ben vedere tutte le maggiori forze politiche sono state in qualche modo acquiescenti all’iniziativa dichiaratamente antipolitica dei pentastellati. Basti pensare alla propaganda populista del “taglio delle poltrone” che ha accompagnato l’iter parlamentare della legge per culminare con un festoso Di Maio, contornato dai suoi colleghi parlamentari, intento a tagliare uno striscione raffigurante delle grosse poltrone.

Più Europa, la piccola formazione politica rappresentata in Senato da Emma Bonino, è da sempre fermamente contraria alla riduzione del numero dei parlamentari e non solo. Bonino in questa legislatura è stata una delle poche voci, talvolta l’unica, a opporre una ferma e costante critica al populismo del Movimento 5 stelle, al sovranismo leghista e in ultimo all’operato del Conte bis. Esecutivo che agli occhi della senatrice non appare molto diverso dal governo precedente. Da “quota cento” al “reddito di cittadinanza”. Dai “decreti Salvini” sull’immigrazione all’abolizione dell’istituto della prescrizione in tema di giustizia. Eredità del governo giallo-verde su cui il Conte bis non ha dato alcun segnale di discontinuità.

Il 20 e il 21 settembre si apriranno le urne e in sei regioni il voto sarà congiunto alle elezioni regionali rendendo in quei casi le cose maggiormente complicate.

A meno di sorprese il Movimento 5 stelle dovrebbe incassare la riforma e un tornaconto politico.

Il colpo di coda di un Movimento nato sull’onda del sentimento populista, ora in caduta di consensi, considerato al termine del suo ciclo politico, oppure sarebbe meglio dire in questo caso “antipolitico”.


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