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Stop alle auto a benzina e diesel nell’UE, Berna ora cosa fa?

Scene che verosimilmente non si vedranno più neanche in Svizzera
Scene che verosimilmente non si vedranno più neanche in Svizzera. © Keystone / Gaetan Bally

Autorità federali e operatori del settore elvetici sotto pressione per l'accelerazione impressa dall'Unione Europea sulle auto a propulsione ecologica.

La decisione del Parlamento europeo, che con 340 voti contro 279 (e 21 astenuti) ha decretato martedì lo stop alla vendita di auto a benzina e diesel (comprese quelle ibride plug-in) dal 2035 nell’Unione Europea, suscita più di un interrogativo anche in Svizzera. 

In attesa della ratifica indispensabile (ma a questo punto scontata) del Consiglio dell’UE, si moltiplicano le riflessioni sulle ripercussioni che il pronunciamento dell’Eurocamera – sull’accordo raggiunto in autunno sul taglio delle emissioni di CO2 originate dal traffico motorizzato nell’ambito dell’ambizioso piano Fitfor55 – avrà sicuramente nella Confederazione. Innanzitutto va sottolineato che non risulta del tutto lineare la politica adottata negli ultimi anni da Governo e Parlamento in materia.

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La Svizzera non è giuridicamente obbligata

Se da un lato Berna non è dal profilo giuridico direttamente vincolata, non essendo nell’UE, alle decisioni di Bruxelles, dall’altro è inevitabile che sul piano fattuale debba più o meno gradualmente uniformarsi a quanto avviene al di là dei propri confini. In proposito il Governo federale, che condivide con l’Unione Europea l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, finora non ha indicato date precise riguardo alla messa al bando dei veicoli a motore termico.

L’Ufficio federale dell’energia, interpellato recentemente da Revue Automobile, ha avuto modo di precisare che “la Svizzera è formalmente libera di non adottare i valori obiettivo che l’UE si è fissata dal 2035 poiché i regolamenti collegati con la politica climatica non sono coperti dagli accordi bilaterali” sottoscritti da Berna.

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In Svizzera la quota dei veicoli elettrici immatricolati nel 2022 è stata del 17,8%. A essa va ad aggiungersi un 7,9% di auto a propulsione mista (ibride plug-in). Questo significa che una vettura su quattro venduta l’anno scorso aveva propulsione a ricarica elettrica esterna. Sul totale del parco veicoli in circolazione nella Confederazione le auto elettriche o plug-in restano però ancora marginali (4%: 2,5% elettriche e 1,5% plug-in nel 2022Collegamento esterno). A gennaio 2023 si contano 9’132 colonne di ricarica pubbliche. Entro il 2025 Berna intende arrivare a quota 20’000.

Significativa in proposito è la decisione presa dal Consiglio federale di non aderire alla dichiarazione non vincolante in favore dell’abbattimento delle emissioni dei veicoli inquinanti, in occasione della Conferenza sul clima di Glasgow (Cop26) tenutasi nel novembre 2021 (dal 2035 nei mercati principali e dal 2040 in tutti gli altri).

Per certi versi ancora più rimarchevole l’orientamento espresso un mese fa dalla Commissione dei trasporti del Consiglio Nazionale che ha rigettato, con 14 voti contro 11, l’iniziativaCollegamento esterno della deputata socialista Gabriela Suter che chiede alla Confederazione di uniformarsi alle scadenze dell’UE (2035) sul divieto di immatricolazione di nuove auto a benzina e diesel.

Sebbene la questione debba ancora essere esaminata dal plenum, il voto costituisce un segnale inequivocabile riguardo alle resistenze che affiorano nel Paese dove, pur non essendoci grandi costruttori, il ramo automobilistico – con le sue circa 570 aziende produttrici di componenti per le principali case europee (in cui lavorano circa 34’000 dipendenti) – riveste una certa rilevanza dal profilo economico e sociale.

Berna fedele agli obiettivi climatici

Sul fronte opposto è assolutamente chiara la posizione della Berna federale in merito alla politica di riduzione dei gas a effetto serra e questo nonostante gli inciampi procurati dalla votazione popolare del giugno 2021 sulle misure concrete indicate da Governo e Parlamento. In quell’occasione infatti fu bocciata alle urne la revisione della Legge sul CO2, che è stata successivamente corretta dal Consiglio federale.

Lo scorso 16 settembre, ad esempio, il Consiglio federale ha trasmesso alle Camere il messaggio sulla politica climatica 2025-2030 che, in sinergia con quanto proposto nell’UE (pur senza fissare date), ha inasprito le norme per gli importatori di veicoli, che dovranno essere più efficienti, attraverso l’ulteriore riduzione (del 5-10%) dei cosiddetti valori obiettivo del CO2.

La revisione delle norme proposta dall’esecutivo contempla anche finanziamenti per oltre 800 milioni di franchi in favore della mobilità elettrica (stazioni di ricarica, acquisto di mezzi di trasporto pubblico a impatto zero, potenziamento dei collegamenti ferroviari internazionali).

E prossimamente, indicano fonti di Berna, il Governo metterà a punto anche le proposte attinenti al periodo successivo (dopo il 2030). L’impressione è che di fronte a un quadro così complesso il Consiglio federale voglia prendere tempo per valutare esattamente tutte le sfaccettature della vicenda ma prima o poi dovrà esprimersi in modo perentorio sui tempi della transizione, come sta facendo l’Europa, per dare certezze all’economia e ai consumatori.

Più in generale è impensabile che la Confederazione possa portare avanti una politica unilaterale sul CO2, anche perché al di là del caso specifico, l’interdipendenza sancita dagli accordi bilaterali stipulati con Bruxelles anche in ambito ambientale non lo consentirebbe.  

Decisione contestata

Restano naturalmente alcune perplessità, come si può osservare in questi giorni ad alti livelli di potere anche nella vicina Italia. Nella Confederazione c’è scetticismo soprattutto del ramo automobilistico. “Non si tratta di una buona soluzione, neanche per la Svizzera”, ha commentato la decisione UE Thomas Hurter, presidente dell’Unione professionale svizzera dell’automobile (UPSA), secondo cui la proibizione di una tecnologia non è mai efficace e impedisce l’innovazione. C’è poi da realizzare tutta l’infrastruttura e la rete di ricariche elettriche, che Berna pensa di poter potenziare fino a 20’000 impianti entro il 2025.

E sullo sfondo resta la questione energetica: in un contesto di estrema incertezza a causa del conflitto in Ucraina e del piano di dismissione delle centrali nucleari elvetiche (Beznau 1 e 2, Gösgen e Liebstadt entro il 2045) l’incremento di elettricità necessario per sostituire i carburanti fossili, secondo le stime dell’esperto Timo Ohnmacht, della Scuola universitaria professionale di Lucerna (HSLU), dovrà essere del 23% rispetto ad oggi. Questo alla luce del fatto che il fabbisogno di cinque milioni di veicoli elettrici e a idrogeno che circoleranno nel 2035 sarà di 12 tWh all’anno.

Dipendenza dall’Asia

Un secondo aspetto che viene ventilato dagli oppositori si riferisce alla possibile dipendenza dall’Asia in cui l’Europa rischia di trovarsi. Oggi il 90% delle batterie sono infatti prodotte in Cina, Corea del Sud e Giappone e proprio i recenti eventi bellici in Europa dell’Est hanno dimostrato gli inconvenienti provocati dalla scarsa differenziazione delle catene di approvvigionamento.

Proprio in queste settimane si sta delineando un vasto piano, cui collaborano anche imprese e istituti elvetici, per costruire grandi fabbriche di batterie in Europa che consentano di scongiurare la dipendenza dall’estero in questo strategico settore.

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Di sicuro la Svizzera, come hanno sottolineato in questi mesi diversi analisti, non potrà continuare a lungo ad avere una posizione isolata, anche perché qualora volesse differire il divieto di veicoli a benzina e diesel è destinata a incontrare difficoltà. Il suo mercato infatti è irrilevante agli occhi di costruttori che non continueranno certo a sviluppare e produrre auto tradizionali per un Paese di 8,5 milioni di abitanti. Costruttori che invece stanno addirittura anticipando le scadenze previste, come ad esempio ha indicato la Opel che intende dismettere la produzione di motori a scoppio dal 2028 e la Ford dal 2030.

Bocciati i carburanti sintetici

Infine, il compromesso proposto da esponenti del settore (e approvato anche da una maggioranza della Commissione trasporti del Consiglio nazionale) di puntare anche su biocarburanti o carburanti sintetici (che hanno un bilancio neutro in termini di CO2) è stato espressamente scartato da Bruxelles.

Il vantaggio di poter continuare a utilizzare motori a combustione, sostiene l’UE, è vanificato dal fatto che emettono comunque gas a effetto serra nell’ambiente e richiedono ingenti quantitativi di elettricità per produrli. In ogni caso per il momento la partita, almeno in Svizzera, resta aperta.

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