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“Lavora e chiudi il becco”

operaio dietro a una rete metallica
Ad approfittare del lavoro degli stagionali sono stati soprattutto l'edilizia e il settore alberghiero. Keystone / Hans Baumgartner

Fino al 2002, centinaia di migliaia di persone hanno lavorato in Svizzera con il permesso di stagionale. Uno statuto precario, pensato per fornire braccia all'economia svizzera ed evitare il temuto "inforestierimento" del paese. Ginevra rende ora omaggio a questi lavoratori e lavoratrici.

“All’epoca nel paese di Heidi era in vigore lo statuto di stagionale e mi sono reso conto rapidamente che i nostri figli non solo non erano i benvenuti, ma avevano il divieto di venire qui. Le nostre mogli pure. Vivevo in baracche collettive di legno, dove si ammassavano centinaia di lavoratori con le loro mogli. Clandestine per la maggior parte. Delle lavoratrici sfruttate in nero. […] Qui ho appreso che topi e ratti non erano così cattivi. Con loro si poteva trovare un modus vivendi. Con le autorità non era possibile”.

Di storie come quella di Jésus Gómez Antelo, un galiziano arrivato a Ginevra negli anni ’80, se ne potrebbero raccontare a migliaia. A decine di migliaia. Prima degli italiani, poi degli spagnoli, dei portoghesi, degli iugoslavi…

Nell’esposizione “Noi, lavoratori e lavoratrici stagionali… Ginevra 1931-2019” allestita presso lo spazio culturale Le Commun della città di Ginevra, si possono ascoltare alcune di queste storie. Presentate sottoforma di videolettere aperte, indirizzate a un figlio, a un nipote, a un amico o a una maestra, queste toccanti testimonianze gettano una luce cruda e senza filtri su quella che era la condizione dei lavoratori stagionali.

Dei lavoratori che – come ben ricorda il manifesto dell’esposizione – hanno dato un contributo fondamentale, ma spesso poco conosciuto e valorizzato, alla costruzione di Ginevra e della Svizzera. Ed è proprio per questo che le autorità della città di Calvino hanno voluto rendere omaggio a questi uomini e donne. Un omaggio concretizzatosi con questa mostra, ideata e realizzata dagli Archives contestatairesCollegamento esterno, dal Collège du travailCollegamento esterno e dal collettivo artistico Rosa BruxCollegamento esterno, che ripercorre una storia lunga oltre 70 anni: dal 1931, quando fu instaurato lo statuto di stagionale, al 2002, quando venne abolito.

cartina di Ginevra
“Chi costruì Tebe dalle sette porte?”: in questa cartina sono indicati in rosso gli edifici emblematici di Ginevra costruiti soprattutto grazie agli stagionali. Emilie Gleason, Jeanne Gillard e Nicolas Rivet

Il percorso espositivo si snoda attraverso documenti storici, archivi personali, interventi artistici e, appunto, video-racconti.

Braccia prima di tutto

“Quello che ci ha più colpito preparando questa esposizione è la violenza e l’ipocrisia, in particolare dell’amministrazione; fino a che punto si poteva andare per paura di un cambiamento culturale”, ci raccontano Jeanne Gillard e Nicolas Rivet, del collettivo Rosa Brux.

“Quello che ci ha più colpito preparando questa esposizione è la violenza e l’ipocrisia, in particolare dell’amministrazione”.

Una violenza che iniziava già all’arrivo in Svizzera, con la tristemente famosa visita medica cui erano sottoposti gli stagionali e che in molti di loro ha lasciato un ricordo indelebile per le condizioni in cui veniva effettuata. Il “controllo del bestiame”, come la definiva anni fa in un libro un’immigrata italiana.

In una lettera che un italiano invia candidamente alle autorità ginevrine per chiedere se vi è la possibilità di avere un posto di lavoro – dicendosi anche disposto “a trasferirsi in Svizzera con tutta la famiglia” – un funzionario annota in rosso “e poi cosa ancora?”.

lenzuola con mani che sbucano
Nelle baracche a volte bisognava accontentarsi di questo genere di lenzuola. Rosa Brux

La Svizzera aveva bisogno di braccia, non di persone che si installassero definitivamente. Gli stagionali non avevano il diritto di portare con sé altri membri della famiglia e soprattutto non i figli. A volte, però, questa lontananza era un peso troppo grande da sopportare. Molti di loro fecero così venire i figli, che però dovevano vivere nell’ombra. Erano i cosiddetti ‘bambini nascosti’, costretti alla clandestinità.

+ Per saperne di più sui ‘bambini nascosti’

“Dicevamo sempre di sì”

Sorta di sottoproletariato della seconda metà del XX secolo, gli stagionali non dovevano soprattutto alzare la voce. Il datore di lavoro aveva il coltello dalla parte del manico. Se si veniva licenziati o se il permesso non veniva rinnovato per la stagione successiva, addio Svizzera!

“Facevo molte ore. Quindici al giorno e anche di più […]. E tutte queste ore di fatica non potevo neppure rivendicarle, poiché ero stagionale […]. Gli stagionali erano ricattati. Il nostro padrone minacciava di non rinnovarci il permesso. Allora dicevamo di sì, sempre di sì”, testimonia Gzim Selimi, un kosovaro arrivato anche lui in Svizzera negli anni ’80.

Non tutti però dicevano sempre di sì. In un documento degli anni ’50, la Federazione dei lavoratori edili e del legno (FOBB) si oppone al mancato rinnovo di un permesso di uno stagionale giudicato “troppo vecchio e troppo sordo” dall’impresa di costruzioni in cui lavorava. “Questo operaio – scrive il sindacato – si oppone all’abitudine di portare dei fiaschi e dei salami ai capi cantiere, che in seguito tendono a giudicare con un occhio un po’ meno obiettivo coloro che non accettano di seguire il sistema”.

Il servizio sulla mostra della Radiotelevisione Svizzera:

Una solidarietà assai limitata

Il rapporto tra sindacati e stagionali non era però dei più limpidi. “Ci siamo resi conti che era una relazione piuttosto ambigua – osservano Jeanne Gillard e Nicolas Rivet. Con gli stagionali, i sindacati avevano un tono molto paternalista e lavoravano mano nella mano con l’Ufficio cantonale del lavoro. Avevano ad esempio voce in capitolo sul numero di persone che poteva venire. Siamo rimasti sorpresi dal fatto che, malgrado avessero degli strumenti di pressione, non abbiano fatto molto per migliorare le condizioni di vita. Certo, denunciavano ad esempio le condizioni igieniche, ma era soprattutto per dire che bisognava assumerne meno. Il timore era in particolare che un numero eccessivo di stagionali potesse rompere la pace del lavoro”.

gruppo di persone
Stagionali spagnoli di un’azienda ginevrina in sciopero il 7 aprile 1970 per denunciare le condizioni di alloggio e salari inferiori a quelli convenuti. Rosa Brux

Alcuni scioperi, dei reportage sui ‘bambini nascosti’ e sulle condizioni di vita di questi lavoratori hanno creato un certo slancio di solidarietà tra la popolazione e la situazione ha potuto essere un po’ migliorata. Uno slancio di solidarietà tuttavia assai limitato: nel 1981 l’iniziativa popolare denominata “Essere solidali, per una nuova politica degli stranieri”,Collegamento esterno che domandava in sostanza l’abolizione dello statuto di stagionale, è chiaramente affossata dai votanti, che la respingono in una proporzione dell’83,8%.

Bisognerà quindi attendere fino al 2002, con l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione Europea, per assistere alla fine di questa storia durata oltre 70 anni.

La scomparsa dello statuto di stagionale (una scomparsa relativa, poiché esistono sempre dei permessi di breve durata) non ha però di certo posto fine a fenomeni quali lo sfruttamento o il dumping salariale. Ed è proprio su un altro sottoproletariato che si conclude l’esposizione: quelle migliaia di donne ‘sans-papiers’ (da 8’000 a 12’000 a seconda delle stime) impiegate come governanti da ricche famiglie ginevrine e che, come gli stagionali prima di loro, hanno spesso dovuto lasciare a migliaia di chilometri di distanza figli e famigliari.

Lo statuto di stagionale è stato instaurato nel 1931 con la nuova Legge federale concernente la dimora e il domicilio degli stranieri.

Uno dei principali obiettivi della legge è di regolare la concessione di permessi in funzione dei bisogni dell’economia, evitando nello stesso tempo l'”inforestierimento” del paese. Un tema, quest’ultimo, che raggiungerà l’apice tra gli anni ’60 e ’70, con le iniziative Schwarzenbach.

Il perno di questa politica è lo statuto di stagionale. Questo permesso, concesso solo se si aveva un contratto di lavoro, era valido al massimo per nove mesi, dopodiché il detentore doveva lasciare la Svizzera. Il permesso poteva poi essere richiesto di nuovo per la stagione seguente. Dopo un certo numero consecutivo di stagioni (cinque fino all’inizio degli anni ’70), era possibile ottenere un permesso di dimora annuale.

Lo statuto di stagionale prevedeva diverse restrizioni e divieti. Ad esempio, non si poteva cambiare lavoro e il ricongiungimento famigliare era vietato.

Questo tipo di permesso è stato abolito nel 2002, con l’entrata in vigore dell’accordo di libera circolazione tra Svizzera e Unione Europea.

La quota degli stagionali tra i lavoratori stranieri attivi registrò tendenzialmente un calo: 26,5% nel 1957, 19,7% nel 1967, 10,3% nel 1977, 13,9% nel 1987. Nel 1967 il loro numero era pari a 153’510 (di cui 83,3% Italiani), cifra scesa nel 1977 a 67’280 (37% italiani, 26,8% iugoslavi, 23,3% spagnoli) per aumentare nuovamente nel 1987 a 114’640 (30,3% iugoslavi, 28,1% portoghesi). Nel 1997 gli stagionali erano ancora 28’000.

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