Speciale votazioni 18 giugno
Care lettrici e cari lettori,
anche questa domenica di votazioni ha portato con sé ben poche sorprese: quanto previsto dai sondaggi si è concretizzato alle urne (maggiori dettagli li trovate nelle notizie qua sotto).
Oltre a quelle federali, però, nella Confederazione ci sono state diverse votazioni cantonali: il Ticino, per esempio, ha detto "sì" a una maggiore flessibilità degli orari di apertura dei negozi, ginevrine e ginevrini hanno accettato un congedo parentale di 24 settimane, mentre a Berna è stato respinto, il Canton Vaud vuole iscrivere nella sua Costituzione la protezione del clima e a Bienne (canton Berna) presto i cartelloni pubblicitari dovranno riportare entrambe le lingue parlate nella città (francese e tedesco). Questi sono solo alcuni dei temi e vi risparmio quelli comunali (anche se penso valga la pena di menzionarne due: la città di Zurigo e quella di Winterthur introdurranno il salario minimo di 23.90 e 23.00 franchi all’ora, rispettivamente).
Il prossimo appuntamento alle urne saranno le elezioni federali di ottobre, cui dedicheremo ampio spazio. Intanto, però, vi lascio alla lettura dei risultati del voto odierno.
Una maggioranza delle elettrici e degli elettori svizzeri ha approvato alle urne la nuova legge sul clima, l’innovazione e la sicurezza energetica. Nessuna sorpresa, quindi, rispetto ai sondaggi pre-voto che davano il “sì” in netto vantaggio.
Nonostante il sostegno sia diminuito nel corso della campagna, due settimane fa il 63% delle intervistate e degli intervistati si dichiarava favorevole alla legge. “Ci sono tutte le ragioni per credere che sarà approvata il 18 giugno”, scriveva gfs.bern. E così è stato: la legge è stata approvata con il 59,1% delle schede.
Secondo il consigliere nazionale friburghese Pierre-André Page, esponente dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), questa legge causerà ancora più problemi di approvvigionamento, dal momento che si farà affidamento soprattutto sull’energia elettrica. Per il parlamentare vallese Michael Graber la decisione è deplorevole perché l’elettricità diventerà più costosa.
Soddisfatti, ovviamente, i sostenitori del “sì” (l’alleanza comprende tutti i principali partiti nazionali, UDC escluso, e più di 200 organizzazioni, associazioni e aziende): il risultato rappresenta un impegno a rispettare gli obiettivi climatici vincolanti e a ridurre la dipendenza elvetica dalle fonti energetiche fossili. Anche l’organizzazione per la protezione della natura WWF è soddisfatta del risultato che definisce “un mandato per il futuro”.
- I risultati e le reazioni in questo articolo della mia collega Sara Ibrahim.
- Da SWI Swissinfo.ch: “Ecco come dovrebbe essere una Svizzera senza emissioni di carbonio nel 2050”.
L’elettorato elvetico ha accolto a netta maggioranza l’aliquota minima del 15% per le grandi aziende. Il 78,5% ha infatti deciso che la Svizzera aderirà al progetto di riforma lanciato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dal G20 per raggiungere la giustizia fiscale su scala mondiale.
Il popolo rossocrociato è stato il primo che ha avuto la possibilità di esprimersi sulla questione e ora le multinazionali che realizzano una cifra d’affari annua di almeno 750 milioni di euro saranno tassate con un’aliquota minima del 15%. Si stima che si tratti di circa 2’000 gruppi di imprese. La riforma non riguarda invece le circa 600’000 aziende con un fatturato inferiore.
“Ci aspettavamo un ‘sì’ popolare, ma non di queste proporzioni”, ha dichiarato il consigliere nazionale zurighese socialista Fabian Molina. Il risultato è una “chiara sconfitta” per il Partito socialista, che, sebbene favorevole all’introduzione di un’aliquota minima e all’adozione di uno standard internazionale, ha criticato il metodo di ripartizione del gettito (75% ai Cantoni, 25% nelle casse della Confederazione).
Toni completamente diversi dall’altra parte dello spettro politico, invece: il Partito liberale radicale (PLR, destra) si è detto “molto soddisfatto” del chiaro “sì”: “È positivo che la Svizzera partecipi a questa riforma”, ha dichiarato la consigliera nazionale basilese Daniela Schneeberger.
- I risultati e le reazioni in questo articolo del mio collega Zeno Zoccatelli.
- Qui l’opinione di Pascal Saint-Amans, che ha pilotato la riforma.
Terzo “sì” della Svizzera alla legge Covid-19. Nonostante l’Organizzazione mondiale della salute abbia dichiarato rientrata l’emergenza Covid-19, il 61,9% delle elettrici e degli elettori svizzeri ha accolto alle urne la proroga della legge che la riguarda fino a metà 2024.
Il popolo ha quindi rinnovato la fiducia nella gestione della crisi sanitaria da parte del Governo e continua a sostenere la politica del Consiglio federale. Un “sì” che permette al Governo d’importare e mettere in commercio nuovi medicamenti anti-COVID-19 non ancora omologati in Svizzera, che lascia la possibilità di prolungare la vota del certificato Covid se necessario e che permetterà l’eventuale riattivazione dell’app SwissCovid.
Soddisfatti i sostenitori e le sostenitrici della legge: per la Conferenza dei direttori cantonali della sanità (CDS), questo “sì” è un voto di fiducia per la politica pandemica della Confederazione e dei Cantoni. La popolazione si è anche resa conto che questa proposta serviva solo per essere pronti in caso di nuova ondata, in modo da non dover agire con una legge d’emergenza”, ha dichiarato all’agenzia di stampa Keystone-ATS il consigliere nazionale bernese Lorenz Hess (Centro).
A quanto pare la maggioranza della popolazione non è interessata al necessario riesame degli effetti dei vaccini, del calo delle nascite nel 2022 e dell’eccesso di mortalità”: ha espresso così il suo malcontento il presidente dell’Unione democratica federale (UDF, destra evangelica) Daniel Frischknecht. Roland Bühlmann, copresidente degli Amici della Costituzione, promotori del referendum, sperava dal canto suo “che la gente fosse diventata più saggia”.
- I risultati e le reazioni in questo mio articolo.
- “Quali sono i vantaggi di una terza votazione sul certificato Covid?”: l’opinione della politologa Giada Gianola.
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