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Se la mafia entra in Comune

Una veduta di Corleone, Palermo ANSA

Al Sud, altri quattro Comuni sciolti per mafia. C'è anche Corleone, "antica e gloriosa fortezza normanna" dicono i testi di storia, ma oggi nota soltanto come patria del gotha malavitoso, da Luciano Liggio a Michele Navarro, da Totò Riina a Bernardo Provenzano, recentemente spentosi in un carcere milanese e inventore della "mafia sommersa" (niente stragi, tanto business sporco). Pare che per evitare il preannunciato e poco lusinghiero approdo nella black list italiana delle amministrazioni in odore (e più) di "cosa nostra", la prima cittadina corleonese Lea Savona abbia addirittura pregato lungo il Cammino di Santiago di Compostela. Niente da fare, il pellegrinaggio non è servito, la scure del governo si è abbattuta sul suo municipio, "punendo l'intera città" si lamenta lei, che anni fa vinse un premio alla memoria del giudice anti-mafia Paolo Borsellino. Certo, parla come "prima cittadina" ferita nell'orgoglio, ma forse anche come sorella di uno dei principali indagati per finanziamenti e appalti illeciti.

Salgono così a 265 (quasi uno al mese) i Comuni italiani sciolti per infiltrazioni mafiose dall’entrata in vigore della Legge 221 del 1991, introdotta dopo uno dei più efferati delitti della criminalità organizzata (la testa mozzata di una vittima, trasformata in tiro a segno sulla piazza centrale di un paesino della Calabria). Otto Comuni registrano il record di ben tre scioglimenti. C’è anche un capoluogo di Provincia, Reggio Calabria. E, visto che si è ampiamente avverata la profetica visione di Leonardo Sciascia (“l’ombra della palma che si allunga a settentrione”), c’è da ricordare che uno dei casi più recenti e clamorosi riguarda Brescello: sì, il paese emiliano di Peppone e don Camillo, dove i sanguigni antagonisti dei racconti di Giovannino Guareschi alla fine riuscivano a trovare soluzioni di buon senso, e dove oggi, secondo le motivazioni del Prefetto di Reggio Emilia, il “Comune risulta inerme e assoggettato al volere di affiliati della cosca”. Del resto lo scioglimento non fu forse discusso anche per Roma dopo la scoperta di “Mafia Capitale”?

Ma c’è un… ma. Molti dubitano ormai dell’efficacia di un simile strumento legislativo. Non solo per il recente aumento dei casi, che dimostrerebbe la sua sostanziale inefficienza in fatto di prevenzione. Ma anche per criteri poco chiari, e spesso differenziati. Addirittura col sospetto che a volte sia la battaglia politica a determinare il duro provvedimento. Lo sostiene per esempio il sociologo Vittorio Meta, in uno studio dedicato al fenomeno (“Fuori dal Comune”): statistiche alla mano, si dimostrerebbe che” i governi di centro-destra o di centro-sinistra si comportano in maniera non dissimile e tendono a sciogliere più frequentemente le amministrazioni locali di opposto colore politico”. Il giudice nazionale antimafia Raffaele Cantone (abitante a Giugliano… Comune campano trasferito sotto amministrazione prefettizia) denuncia anche “estenuanti mediazioni politiche” quando si tratta di varare il relativo provvedimento. Per capirci, un esempio: quello di Fondi, basso Lazio, lungo tira e molla, con il ministero degli Interni che ne chiede la chiusura e il governo di centro-destra che lo salva ber ben due volte.

Ha ancora senso, la legge? Ne dubita persino la presidente della Commissione parlamentare anti-mafia, Rosy Bindi: “Bisogna trovare una terza via”, ha detto, suggerendo una formula che eviti lo scioglimento e introduca una sorta di “tutoring” dello Stato, puntando sulle responsabilità individuali ed evitando così di penalizzare l’immagine di un’intera comunità. Mica semplice, se persino la sindaca di Corleone deve ammettere che “qui è mafiosa pure l’aria che si respira”.

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