Come lo smartphone cambia le migrazioni
Recenti rapporti dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) mostrano come la connessione mobile e le tecnologie abbiano profondamente mutato le migrazioni. Lo smartphone è uno strumento ormai irrinunciabile per completare il viaggio, ed è utile una volta arrivati a destinazione, per integrarsi e al contempo tenersi in contatto con chi è rimasto altrove. Il Quotidiano della Radiotelevisione svizzera ne ha parlato con chi lo vive sulla propria pelle.
Keshi, che in Eritrea era direttore di una scuola, ha subito il controllo e gli abusi ed è stato costretto a fuggire con la sua famiglia per salvarsi. Fin quando non ha raggiunto il Sudan, l’unico modo che aveva per comunicare erano i telefoni pubblici. Un telefonino, sebbene di vecchia generazione, ha dato una svolta al viaggio.
Ruun, somala che da oltre 10 anni vive nella Svizzera italiana, porta avanti nel suo paese d’origine un’associazione di aiuto a bambini di strada: lo smartphone e il computer le consentono di gestire a distanza i progetti che prendono forma (la distribuzione di alimenti, le lezioni di scuola, la costruzione di una casa sicura) come pochi anni fa sarebbe stato impensabile.
Non a caso, oltre all’UNHCR anche associazioni come Save the children si interessano ai cambiamenti portati dalle tecnologie e alle sue implicazioni.
Orienta e tiene traccia
Lo smartphone, osserva la consulente per l’integrazione di Soccorso operaio svizzero Collegamento esternoRebecca Simona, non serve solo a tenersi in contatto con i familiari: è il mezzo che li orienta. Consente ai migranti di capire dove si trovano grazie alle mappe e alla ricerca di informazioni.
Paesi come la Germania, inoltre, usano i cellulari per raccogliere informazioni sull’identità dei richiedenti asilo durante la procedura, anche perché molti non possono presentare un documento d’identità, ad esempio poiché sequestrato o smarrito.
In Svizzera, tra il 2017 e il 2018 per sei mesi, la Segreteria di Stato della migrazioneCollegamento esterno SEM ha attuato un progetto pilota per determinare origine, identità e percorso. Vi hanno preso parte, volontariamente, 565 richiedenti asilo in due centri di registrazione. Ma non c’è una base legale per continuare.
Il servizio si conclude con un’intervista al siriano Elie. A causa della guerra, nel 2014 è arrivato in Svizzera, dove ha incontrato sua moglie e si è fatto una famiglia, ma faticava a trovare lavoro nonostante in precedenza avesse condotto un’azienda con 400 dipendenti.
Si è infine messo in proprio con il sostegno di SINGA, un programma di aiuto ai progetti imprenditoriali di persone migranti nato in Francia nel 2012 e ora radicato anche a Zurigo e Ginevra.
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