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La questua diventa digitale per salvare gli affreschi di Assisi

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di Aldo Sofia

“Figurarsi se non siamo d’accordo con papa Francesco quando dice di sognare una ‘Chiesa povera al servizio dei poveri’. Ma guardi che questo significa anche che si possa chiedere quando si é in difficoltà, e soprattutto che si possa ricevere. Quindi, come vede, siamo assolutamente coerenti con il messaggio di Francesco, inteso sia come attuale pontefice sia come il poverello di Assisi”. Ci risponde così padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Convento di Assisi. Di telefonate ne riceve parecchie in questi giorni.

I frati hanno infatti lanciato una campagna per salvare una parte degli affreschi dei maestri trecenteschi e settecenteschi che hanno scritto la storia dell’arte nella città del santo. Ma lo hanno fatto calandosi nella modernità. Attraverso un “crowdfunding” via Internet. Una questua in rete. Quindi non più il “porta a porta” di antica memoria, ma una sorta di “click and click” con lo scopo di raccogliere i quasi 500 mila euro indispensabili per ridare luce e soprattutto futuro a 620 metri quadrati di affreschi nella Basilica Inferiore di San Francesco (contabilità al centesimo: 175.999 euro per la Cappella di Santa Caterina, e altri 282.617 per il “nartece”, cioè lo spazio fra le navate e la facciata principale della chiesa).

La “questua 2.0 dei frati di Assisi”, come è stata anche definita, è del resto in linea con un papa che spopola anche sul web. “La rete ama Francesco”, ha titolato la rivista musicale Rolling Stones, che gli ha dedicato una delle sue copertine. E del resto lui stesso ha definito Internet “una benedizione di Dio”, pur sottolinenando alcuni aspetti problematici. E sta mietendo contatti. Il papa ha quasi 20 milioni di followers, gli twittano da 135 nazioni, e lui stesso ha “cinguettato” più di 500 volte attraverso “Pontifex”, il profilo ereditato da Benedetto XVI.

Quindi, hanno pensato ad Assisi, benvenga anche il “crowdfunding”, nuova questua in versione digitale. Ci si rivolge ai privato perché il governo, pur sollecitato, non ha ancora risposto all’appello. Saranno pure capolavori da salvare, ma languono le casse dello Stato. Che del resto la sua parte l’ha fatta tutta, dopo il terremoto del 1997, quando il micidiale sisma dell’Umbria fece fra l’altro crollare gli affreschi della volta della prima campata, con preziosi dipinti di Giotto e Cimabue, nella Basilica Superiore. Seguì per diversi anni quello che venne chiamato “il cantiere dell’utopia”: ben 60.000 ore di lavoro di restauro per una spesa totale di 37 milioni di euro.

Ora i “fraticelli digitali” hanno deciso la navigazione in rete per salvare altri capolavori di quello che ad Assisi hanno definito “il primo film a colori della storia”. Padre Fortunato pensa anche a volenterosi sottoscrittori all’estero, anticipa che vi sarà anche una versione inglese dell’annuncio, e ricorda che le opere d’arte sono interculturali (tranne che per Talebani e fanatici dell’Isis….). Del resto, basti pensare a quel cittadino russo, Sergey Matvineko, che pochi anni fa decise di donare un milione di euro per i lavori nella Chiesa Nuova situata sul luogo della casa natale di San Francesco. “Perché – rispose -, quale differenza ci sarebbe fra ortodossi e cattolici?”.

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