La misteriosa Italia con gli occhi a mandorla
Hypercorsivo di Massimo Donelli
I negozi?
Tranne che la notte, sempre apertiCollegamento esterno. E vendono di tutto, a prezzi bassissimi.
I ristoranti?
Anche quelli sono no-stop. Puoi mangiare quanto vuoi e il conto, alla fine, ti strappa un sorriso: è quasi sempre ridicoloCollegamento esterno.
I parrucchieri?
Tariffe da urloCollegamento esterno: cinque, sei volte meno rispetto alla media.
Le manicure?
Ricevono senza appuntamentoCollegamento esterno, fino alle nove di sera. E costano…niente.
Riparazioni hi-techCollegamento esterno?
Consegni entro le 15 e alle 18, cascasse il mondo, il tuo iPhoneCollegamento esterno è pronto: ti hanno cambiato il vetro e hai speso niente rispetto agli official storeCollegamento esterno della AppleCollegamento esterno.
I bar?
Caffè a 60 centesimiCollegamento esterno, garantito. E orari i più lunghi possibili.
Centro massaggi?
I cartelli in vetrina promettono molto a poco, lasciando il resto all’immaginazione e alle maliziose dicerieCollegamento esterno…
Come?
Volete sapere dove si trova questo piccolo paradiso del consumatore?
In Italia.
O meglio: nei territori cinesi d’Italia.
Sempre più vasti.
Sempre più frequentati.
Sempre più misteriosi.
Capannoni, centri commerciali, piccoli esercizi…
Dalla Sardegna alla Valle d’Aosta, da Trieste a Napoli, da Milano a Roma, mentre gli italiani gettano la spugnaCollegamento esterno, è tutto un fiorire di attività commerciali che instancabili uomini e donne dagli occhi a mandorla gestiscono con successo.
Circondati da sospetto e maldicenza.
“Non rispettano i contratti di lavoro”, “Sono sporchi”, “Non pagano le tasse”, “Vendono merce scaduta”, “Usano shampoo e tinture pericolose”, “Sono tutti in mano alla loro mafia”, “Non fanno scontrini”, “Dove li nascondono quando muoiono?”, “Hanno mini-ospedali clandestini”, “Fanno lavorare anche i bambini”, “Mettono i dipendenti a dormire in cantina e nei garage”…
Vero o falso?
I cinesi d’Italia lasciano dire.
Non hanno alcuna ansia di integrazione sociale.
A parte pochissime eccezioni, si sposano fra connazionali, vivono chiusi nei loro quartieri e non sembrano avere alcuna intenzione di buttar giù il muro invisibile che li separa dagli italiani e dalle altre comunità straniere sparse per il BelpaeseCollegamento esterno (magrebini, filippini, balcanici, sudamericani).
Ovvio che tutto ciò alimenti il mistero, il sospetto e, appunto, la maldicenza.
Eppure se, d’improvviso, la grande ChinatownCollegamento esterno tricolore divenisse trasparente chissà quali numeri potrebbe esibire con vanto, oltre a quelli, pochi ma importanti, fin qui conosciuti.
Vediamoli.
I cinesi d’Italia sono 265.820 secondo gli ultimi datiCollegamento esterno diffusi dall’IstatCollegamento esterno (ma non è azzardato dire che i non registrati siano molti, molti di più…).
Il nucleo maggiore (28.360) si trova a MilanoCollegamento esterno, con una crescita del 17 per cento tra 2014 e 2015.
E sotto la MadonninaCollegamento esterno, infatti, il cognome più diffusoCollegamento esterno è Rossi (4.281 individui) ma tallonato da Hu (4.132); i Chen (1944) hanno scavalcato i Villa (1.842); gli Wang (1.234) sono più dei Barbieri (1.216)…
Proprio Milano offre informazioni molto interessanti.
Per esempio, i bar gestiti dai cinesiCollegamento esterno sono passati dai 122 del 2005 ai circa 530 del 2013, una crescita sbalorditiva del 335% negli anni della grande crisi economica.
Non basta.
Dei 1.089 centri estetici aperti in città, ben 606 sono in mano ai cinesi: oltre ai normali massaggi, non di rado offrono, illegalmente, prestazioni sessualiCollegamento esterno.
E alle porte di Milano, ad Agrate, in autunno aprirà il Centro ingrosso CinaCollegamento esterno, 400 negozi dai 60 a 180 metri quadri, 260 società, 800 dipendenti tra diretti e indotto: lo sta realizzando Chen WenxuCollegamento esterno, detto Sandro, 40 anni, ricchissimo proprietario della catena di supermercati AumaiCollegamento esterno.
Quante sono le storie di successo come quella di Sandro?
Tante, tantissime.
Molte, per non dire tutte, favorite da una dinamica sociale che promuove l’imprenditorialità.
Ecco come funziona.
Il grosso dei cinesi che vivono in Italia arriva da WenzhouCollegamento esterno, una città nella provincia di ZhejiangCollegamento esterno, come racconta un bel reportageCollegamento esterno di ViceCollegamento esterno.
Leggendolo, si scopre che alla base di ogni iniziativa c’è una colletta.
Tutti conoscono tutti; prestano il denaro (in contante) sulla fiducia; e, poi, sta a chi l’ha ricevuto darsi da fare per restituirlo nei tempi e modi concordati.
Un’economia aperta, quindi, che si basa su un meccanismo finanziario chiuso: solo i cinesi con una rete parentale e amicale ben definita possono accedere a questo particolarissimo credito.
E se, poi, uno non paga i debiti?
Anche qui leggende e verità si intrecciano.
Sequestri di persona.
Punizioni corporali.
Riduzione in schiavitù.
Esiste una vasta letteratura sulla mafia cineseCollegamento esterno in Italia e la criminalità cineseCollegamento esterno a Milano.
Ma, finora, sono più i misteri (e le dicerie) delle verità accertate.
Mentre è tangibile la realtà di un business che sembra non conoscere limiti di crescita.
Come testimonia un breve tour sul web: c’è il sito per gli italiani che vogliono vendere ai cinesiCollegamento esterno; il portale per i cinesiCollegamento esterno che fanno affari in Italia; e quello dell’associazione per le nuove generazioni di italo-cinesiCollegamento esterno nati o cresciuti all’ombra del tricolore.
Sarà il digitale ad abbattere il muro invisibile che ha fin qui impedito un’integrazione tra Chinatown e il resto del Paese?
“C’è un tempo per pescare e un tempo per asciugare le reti”, recita un antico proverbio cinese.
Non resta che, pazientemente, aspettare…
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