L’Italia conta più visite museali che abitanti

Tra gli argomenti legati all'Italia di cui ha parlato questa settimana la stampa svizzera ci sono il grande successo del turismo culturale, le interferenze dello Stato nell'economia e l'inasprimento delle politiche migratorie, comune ad altri Paesi europei. Ma si è parlato anche di temi leggeri come il mistero intorno alla bottega sartoriale che ha cucito l'abito del nuovo Papa.
Il Colosseo batte tutti
Le attrazioni turistiche in Italia sono in forte espansione: lo scorso anno lo Stato italiano ha infatti incassato più di 380 milioni di euro in biglietti d’ingresso. La questione è al centro di un articolo apparso negli scorsi giorni sul Tages-AnzeigerCollegamento esterno. Nel corso del 2024, le principali attrazioni italiane hanno attirato oltre 60 milioni di visitatori paganti. Per la prima volta, questa cifra supera il numero di persone che vivono nel Paese: secondo gli ultimi dati si contano infatti circa 59 milioni di abitanti. Al primo posto tra le mete visitate c’è il Colosseo di Roma, con 14,7 milioni di entrate, seguito dalla Galleria degli Uffizi a Firenze (5,3 milioni) e dall’antica città campana di Pompei (4,3 milioni). I turisti e le turiste provenienti dall’Italia e dall’estero, scrive il foglio svizzero tedesco, hanno portato alle casse dello Stato italiano oltre 382 milioni di euro.
Rispetto all’anno precedente, il numero complessivo di visitatrici e visitatori è aumentato di altri due milioni. Ma i ricavi totali sono cresciuti di ben 68 milioni di euro e la causa è in parte imputabile all’aumento dei prezzi dei biglietti. Solo dal Colosseo, lo Stato ha guadagnato più di 100 milioni di euro. Nel Paese si contano più di 400 musei statali e alcune importanti strutture romane, come i Musei Vaticani, non sono nemmeno state inclusi nell’elenco perché appartengono allo Stato Pontificio. Se si contassero anche i Musei Vaticani, con i loro sei milioni di visitatori all’anno, si classificherebbero al secondo posto.
Restando in tema, il portale watson.chCollegamento esterno fa inoltre notare come, in Italia, in generale il turismo sia in espansione. Sia il 2023 che il 2024 hanno registrato numeri in crescita. Lo scorso anno sono stati effettuati 458 milioni di pernottamenti (il 2,5% in più dell’anno precedente), di cui 250 milioni provenienti solo dall’estero. Il sito d’informazione sottolinea infine che il crescente numero di visitatori e visitatrici rappresenta, da un lato, una fonte di reddito significativa per l’economia italiana, ma, dall’altro, anche un onere notevole per le destinazioni turistiche e la popolazione locale. E questa pressione non si allenterà nel corso del 2025, anno del 27° Giubileo della Chiesa cattolica, nonché della nomina del nuovo Papa: è infatti previsto che circa 32 milioni di turisti si rechino nella città eterna durante quest’anno, ricorda ancora il portale.
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Lo Stato italiano interferisce sempre di più nell’economia
“Lo Stato italiano non riesce a tenere le mani lontane dall’economia”: non si usano mezzi termini in un articolo della Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno (NZZ) apparso negli scorsi giorni concernente l’operato del Governo. “In Italia, c’è una lunga e spiacevole tradizione d’ingerenza statale – si legge nel quotidiano zurighese – ma la premier Giorgia Meloni, in carica dall’ottobre 2022, sta rafforzando ulteriormente l’influenza dello Stato nell’economia”.
Ampliando il campo di applicazione della cosiddetta “golden power”, si legge nell’articolo, il Governo può impedire praticamente ogni acquisizione indesiderata. La “golden power” è la normativa italiana che conferisce all’Esecutivo il potere d’intervenire sulle decisioni di aziende operanti in settori strategici per la sicurezza nazionale o l’economia italiana, come energia, trasporti e comunicazioni. La sua applicazione, introdotta inizialmente per garantire il controllo dello Stato su assetti strategici e prevenire rischi legati a operazioni che potrebbero compromettere l’interesse nazionale, è stata ampliata nel tempo, estendendosi anche a operazioni tra imprese italiane.
“Il comportamento di Roma ricorda molto quello del capitalismo monopolista di Stato”, scrive il giornale zurighese richiamando una definizione marxista per la quale un Paese capitalista di Stato è quello in cui il Governo controlla l’economia e agisce essenzialmente come un’unica enorme società.
“Questa pratica ha una lunga tradizione nel Paese. (…) Seguendo sempre lo stesso schema, le aziende fallite da tempo vengono mantenute in vita per decenni, grazie ai soldi dei contribuenti, compresi quelli europei. Un esempio riguarda il gruppo siderurgico Ilva (oggi Acciaierie d’Italia), fondato nel 1965 e con sede a Taranto, in Puglia. Il Governo ha appena stanziato un aiuto transitorio di 400 milioni di euro per l’azienda in forte perdita. Dopo numerose privatizzazioni e nazionalizzazioni, attualmente è gestita da tre commissari statali. La più grande acciaieria d’Europa
è un inquinatore senza pari. Malattie gravi toccate a migliaia di persone e molti decessi sono attribuiti alle sue emissioni e ora l’impianto verrà nuovamente privatizzato”.
Il foglio zurighese porta anche il settore bancario come esempio: i requisiti governativi per l’acquisizione di Banco BPM da parte di Unicredit sono così rigidi che il progetto approvato dalla BCE probabilmente non sarà più redditizio per Unicredit. “Roma arriva addirittura a imporre delle regole sull’entità dei prestiti e sul volume dei titoli di Stato italiani da acquistare. Ciò significa che lo Stato sta interferendo massicciamente con la libertà delle aziende”.
“La coalizione al Governo guidato dal partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, comprende anche la Lega (oltre a Forza Italia e Noi Moderati, ndr.) e prosegue la tradizione di un sistema economico che si basa su un ruolo forte dello Stato. Nel 2023, con l’aiuto di Roma, i diritti del principale azionista cinese Sinochem (37%) della società di pneumatici Pirelli sono stati fortemente ridotti. (…) Potrebbero esserci delle buone ragioni per questa decisione. Ma anni fa, quando si trattò di ‘salvare’ la Pirelli coinvolgendo i cinesi, non vennero fatte le stesse valutazioni”.
L’articolo di NZZ argomenta con ulteriori esempi e conclude con la considerazione che, negli ultimi decenni, l’intervento dello Stato nell’economia è costato somme enormi ai contribuenti italiani. “Ciò non ha arrestato il declino delle aziende né ha reso più competitiva l’economia del Paese. La produttività è stagnante da 30 anni. Sarebbe giunto il momento di fare un onesto bilancio delle cose”.

Tra i Paesi che stanno inasprendo le loro politiche migratorie c’è anche l’Italia
Il Governo britannico fa sul serio, scrive questa settimana il BlickCollegamento esterno: le norme sui visti stanno diventando più severe e la conoscenza dell’inglese è diventata un requisito per chiunque arrivi nel Paese indipendentemente dalla provenienza. È questo lo spunto da cui parte il tabloid svizzero tedesco per fare un punto dei Paesi che stanno irrigidendo le proprie norme e tra i quali compare anche l’Italia.
“Da quando Giorgia Meloni ha assunto la guida del Governo italiano come primo ministro alla fine del 2022 – si legge nell’articolo –, l’Italia sembra essere sempre meno impegnata nella cooperazione in materia di politica migratoria”. Anche nei casi previsti dall’accordo di Dublino, scrive il Blick, le riammissioni di fatto non avvengono e a risentirne è anche la Svizzera. “L’Italia lamenta di essere sovraccaricata di persone in arrivo. Anche per questo motivo, a ottobre, il Governo Meloni ha aperto una struttura di asilo in Albania ma questo progetto si è per ora rivelato fallimentare”.
Nel suo articolo, il Blick non parla solo di Gran Bretagna e Italia, ma fa il punto anche su Austria, Germania, Svezia, Danimarca e Polonia. Sull’Italia e sulla sospensione delle riammissioni Dublino, il tabloid si era invero già soffermato a inizio mese con un’analisi che definire piccata è poco: “L’Italia ci prende per idioti”, sentenziava già dal titolo. Ne avevamo ripreso i contenuti in questo articolo di tvsvizzera.it.

La guerra tra i sarti vaticani
La morte di Papa Francesco e la nomina di Papa Leone XIV alla sua successione hanno, come ovunque nel mondo, tenuto banco tra le notizie di tutti i giornali e portali d’informazione nelle ultime settimane anche in Svizzera. Oltre alle questioni legate ai profili e ai meriti e demeriti delle due figure guida della Chiesa cattolica, i media si sono sbizzarriti anche in questioni collaterali che nel confronto appaiono decisamente frivole. Tra queste, c’è quella legata alla confezione degli abiti talari del Pontefice.
“È stata una scena insolita quella del primo giorno di conclave”, scrive l’inviato a Roma di LeTempsCollegamento esterno. “La vetrina del più famoso sarto ecclesiastico di Roma, Gammarelli, era vuota. Per più di un secolo, nei giorni precedenti l’elezione di un nuovo papa, tre tonache bianche hanno occupato il posto d’onore nella vetrina del negozio, nascosto dietro il Pantheon, nel cuore di Roma. Dopo ogni fumata bianca, dall’elezione di Pio XI nel 1922 in poi, una delle vesti qui confezionate veniva poi indossata dal Papa appena eletto”.
Lorenzo Gammarelli, uno dei quattro cugini proprietari della sartoria fondata nel 1798, ha raccontato al foglio romando che quest’anno, invece, il Vaticano li ha informati che non era necessario fornire gli abiti. Sembra inoltre che nemmeno i concorrenti dei Gammarelli abbiano ricevuto alcun ordine. “Presumiamo che utilizzeranno gli abiti che abbiamo preparato per i conclavi precedenti”, si è augurato il sarto, visibilmente deluso, riporta LeTemps. Ma se Gammarelli sostiene che in passato i suoi servizi sono stati richiesti ufficialmente, un suo collega sarto, Raniero Mancinelli sostiene invece che la Santa Sede non faccia mai ordini e ha quindi preparato tre lunghi abiti con l’intento di portarli ai funzionari vaticani. Vestire il pontefice appena eletto è una questione d’immagine e di prestigio. Questo permette poi alle botteghe di vestirlo anche più avanti nel pontificato e di vantarsi di essere la sartoria del Papa, anche se in genere i pontefici decidono di affidarsi a diversi di loro e cambiare.
A discutere dell’abbigliamento papale e riportare le parole di Gammarelli è stata anche la Tribune de GenèveCollegamento esterno. “Al di sotto di Dio e delle non meno spettacolari apparizioni pubbliche di Lady Gaga al Coachella – si legge nell’articolo – o sulla spiaggia di Copacabana davanti a 2 milioni di persone, il Papa deve apparire straordinario per le sue orde di fan. E lo ha fatto”. Come si evince, i toni, in questo caso, sono stati decisamente poco seriosi.

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