Giorgia Meloni e l’arte della mimica

Le espressioni della presidente del Consiglio italiano sono diventate un’arma comunicativa della nuova destra, scrive questa settimana il Tages-Anzeiger. In primo piano sulla stampa elvetica anche la siccità in Sicilia, la scomparsa di Pippo Baudo e l’Arena di Verona e la lirica.
Meloni e l’arte dell’occhiata politica
L’espressione facciale di Giorgia Meloni durante il recente vertice sulla guerra in Ucraina suscita l’attenzione dei giornali del gruppo Tamedia. Mentre il cancelliere tedesco Friedrich Merz parlava di cessate il fuoco, Meloni ha eseguito un “epico movimento degli occhi”, descritto come “una masterclass di occhiata per aspiranti populisti di destra”, scrive il Tages-AnzeigerCollegamento esterno. Un’espressione – secondo il giornalista – capace di “trasmettere disprezzo, sarcasmo e impazienza con eleganza”.
Il fenomeno non è nuovo: già al G7 del 2024 Meloni aveva lanciato uno “sguardo sprezzante” a Macron. Anche Alice Weidel è citata come esperta di questa tecnica. La co-presidente del partito di estrema destra tedesco Afd ha però sempre negato di usarla. L’articolo sottolinea come l’occhiata sia diventata un’arma comunicativa della nuova destra: “Un po’ di sarcasmo, un po’ di cinismo, un po’ di teflon [nel senso di qualcosa che non ha aderenza e scivola via dalle mani, ndr]”.
Di Giorgia Meloni e più in generale dei populismi di destra parla anche la Basler ZeitungCollegamento esterno, che propone un’intervista all’esperto di estremismo Peter R. Neumann, autore di un libro di recente pubblicazione intitolato Das Sterben der Demokratie (La morte della democrazia). “I populisti di destra sono una minaccia per le democrazie liberali”, afferma Neumann. Una volta al potere, spiega, “indeboliscono la separazione dei poteri, la giustizia e i media per imporre un’agenda autoritaria”. Giorgia Meloni è “la più intelligente tra tutti i populisti di destra in Europa”. La premier italiana, secondo lui, “agisce in modo strategico, evitando critiche esterne per poter attuare la sua agenda interna”, come la riforma presidenzialista e il controllo sui media pubblici.
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“Se non cambia nulla, il centro della Sicilia sembrerà presto il deserto tunisino”
Il quotidiano svizzero tedesco Tages-AnzeigerCollegamento esterno pubblica un reportage intitolato “La Sicilia sta gradualmente diventando un deserto”. Il fenomeno, accelerato dal cambiamento climatico, minaccia il 70% del territorio siciliano, secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano. Luca Cammarata (nella foto), allevatore di capre Girgentane, ricorda il drammatico 2024: “Le mie capre bevevano fango dal fondo del lago prosciugato. Alcune le ho dovute mandare al macello”. Cammarata ha chiesto l’intervento dell’esercito ed è stato tra coloro che hanno fatto in modo di rendere visibile la crisi idrica.
“Se non cambia nulla, il centro della Sicilia sembrerà presto il deserto tunisino”, avverte il geologo Sandro Privitera, dell’Università di Catania. Nella zona dei Calanchi del Cannizzola, già oggi si registrano temperature di 41 gradi a luglio, dieci in più rispetto alla media stagionale.
La scarsità di piogge invernali ha ridotto drasticamente le riserve idriche. Il terreno, indurito dalla siccità, non assorbe più l’acqua, che evapora o scorre via. “La copertura vegetale scompare, il vento e la pioggia portano via i nutrienti”, spiega Privitera.
Giovanni Bonanno, agricoltore biologico a Sambuca, ha perso metà del raccolto: “Ho pensato di cambiare mestiere. Le zucchine sono già bruciate dal sole”. Bonanno riesce a irrigare solo sei ore a settimana, trasportando personalmente l’acqua. Il vicino lago Arancio è quasi vuoto.
“La Sicilia dipende principalmente da 26 grandi dighe per l’irrigazione e l’approvvigionamento di acqua potabile – precisa il Tages-Anzeiger. All’inizio di luglio, i bacini contenevano poco più di 370 milioni di metri cubi d’acqua, a fronte di una capacità complessiva quasi tripla. Per l’agricoltura sono stati realizzati grandi serbatoi e bacini artificiali, da cui si irrigano i campi e si abbeverano gli animali. Entrambi i sistemi, però, si alimentano principalmente con le piogge invernali”.
Una speranza arriva dalle piante resistenti alla siccità, come il fico d’India: “È il frutto del futuro”, dice Bonanno. Anche la ricerca scientifica si muove: il professor Ferdinando Branca lavora alla selezione di varietà orticole più resistenti al caldo.
Si torna anche a parlare di dissalare l’acqua marina. Sull’isola esistono tre impianti, da anni fuori servizio. A metà giugno sono state installate tre infrastrutture mobili, che permettono di approvvigionare circa 40’000 persone. “Una goccia nel mare”, considerano i quasi cinque milioni di abitanti dell’isola.

La morte dell’”ultimo re della televisione italiana”
La notizia della scomparsa di Pippo Baudo è rimbalzata anche sui media della Svizzera tedesca e francese. “Per decenni è stata una sorta di incarnazione della televisione italiana”, sottolinea la Radiotelevisione svizzera di lingua tedesca SRFCollegamento esterno. Una carriera, quella di Pippo Baudo, iniziata con Domenica In, ricorda l’emittente pubblica. “Dopo lo shock petrolifero, molti italiani non potevano più permettersi la gita domenicale in auto. La Rai reagì con un programma che doveva fungere da succedaneo, gratuito e comodo: a casa sul divano. Fu un successo clamoroso. Pippo Baudo intratteneva l’Italia”.
“L’ultimo re della televisione italiana”, titola dal canto suo la Neue Zürcher Zeitung. Il quotidiano svizzero tedesco sottolinea come Baudo sia stato “un fenomeno tutto italiano”, legato all’importanza della TV nella vita quotidiana e alla passione nazionale per musica e spettacolo. In un Paese dove “la vita pubblica assume talvolta i tratti di un’operetta”, personaggi come Baudo hanno avuto un ruolo centrale. “Tuttavia, il confine tra intrattenimento di qualità, incarnato da un personaggio come Baudo, e il trash, che fa parte della quotidianità televisiva italiana, è molto sottile”, rileva la NZZ.
Baudo, ricordano tra le altre cose i quotidiani elvetici, ha condotto il Festival di Sanremo per ben 13 edizioni, contribuendo a rinnovarne il format. Nel 2007 lo ha presentato insieme a Michelle Hunziker, assumendo anche il ruolo di direttore artistico, con potere decisionale sulla selezione dei cantanti. E proprio la showgirl svizzera ha reso omaggio al defunto in diverse storie su Instagram. Ha pubblicato un cuore spezzato e ha scritto: “Sarai per sempre nel mio cuore”.

Verona, dove la magia dell’opera resiste al turismo di massa
La Neue Zürcher Zeitung Collegamento esternodedica un ampio reportage all’Arena di Verona, “la più grande scena all’aperto del mondo” e “un luogo dove magia e turismo di massa convivono sorprendentemente bene”. Il festival lirico, nato nel 1913 con l’Aida di Verdi, ha attraversato crisi e rinascite, ma oggi vive una nuova fase di rilancio artistico.
L’Arena, costruita nel I secolo d.C., può accogliere fino a 22’000 spettatori. La sua acustica è considerata “straordinariamente fine e brillante”, soprattutto sotto i quattro archi superstiti del vecchio anello esterno. Dal 2018 la direzione è affidata a Cecilia Gasdia, ex soprano veronese, che ha riformato l’organizzazione e rilanciato il livello artistico: “Devo riempire la sala”, afferma con pragmatismo. Oggi il pubblico arriva da 130 Paesi, con il 60% di spettatrici e spettatori stranieri. “Solo il 9% sono appassionati d’opera”, dice Gasdia, vedendo in ciò un’opportunità.
Gasdia punta anche sulla gioventù: dal 2026 ci saranno cori infantili e spazi dedicati alle famiglie. Il repertorio resta classico – Aida, Nabucco, Turandot, Carmen – ma si aprono spiragli alla modernità, con musical e nuove regie. Tra queste, spiccano le produzioni di Stefano Poda, che firma regia, scene, costumi e luci: “Voglio abbattere i confini tra le arti”, dichiara. Nella sua Aida, il simbolo della mano domina la scena: “Rappresenta il costruire, il distruggere, il combattere”.
Dietro le quinte, oltre 1’200 persone lavorano ogni sera. “Il team dell’Arena è come una grande comunità fortificata”, dice Poda. I tunnel sotto le gradinate, un tempo rifugio per emarginati, oggi ospitano truccatori, coristi e tecnici in un frenetico balletto logistico.
Il reportage si chiude con l’emozione di “La Traviata”, dove “la musica di Verdi e l’atmosfera dell’Arena agiscono come amplificatori di sentimento”. Gasdia conferma: “Alla fine della stagione, tutti piangono – dai tecnici ai figuranti”. Poi, subito, si riparte con la pianificazione della prossima, la 103esima.

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