Femminicidio, l’Italia sceglie l’ergastolo, la Svizzera la prevenzione
Il 25 novembre 2025, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, l'Italia ha compiuto un passo storico: il femminicidio è diventato un reato autonomo, punito con l'ergastolo. La Svizzera, per contro, continua a puntare su un approccio preventivo e sistemico, senza introdurre una fattispecie penale specifica.
La scelta italiana è netta: privilegia la via della repressione e il valore simbolico della pena. Quella svizzera è diametralmente opposta e, nonostante un numero allarmante di donne uccise, il Paese insiste sulla prevenzione. Due modelli a confronto che sollevano un interrogativo cruciale: qual è la strada più efficace per fermare questa strage?
La giurista e criminologa Roberta Schaller, avverte: “La repressione da sola non basta, serve un cambio di paradigma culturale e un approccio a 360 gradi”.
La svolta repressiva dell’Italia
Con un’approvazione unanime che ha attraversato l’intero arco parlamentare, l’Italia ha introdotto nel suo ordinamento l’articolo 577-bisCollegamento esterno del Codice penale. La norma definisce il femminicidio come l’omicidio di una donna commesso “come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali”. La pena è la più severa: l’ergastolo.
“La repressione da sola non basta, serve un cambio di paradigma culturale e un approccio a 360 gradi”
Roberta Schaller, giurista e criminologa
La legge, però, non si ferma alla definizione. Vengono eliminate le attenuanti legate alla “provocazione” o alla cosiddetta “tempesta emotiva”, un passo fondamentale per scardinare una narrazione che per decenni (per non dire secoli) ha teso a colpevolizzare le vittime. Si rafforzano inoltre le misure cautelari, come il divieto di avvicinamento e l’uso del braccialetto elettronico, e si introduce la confisca dei beni usati per il crimine. Inoltre, sono previste pene più severe per lo stalking, maltrattamenti e altre violenze correlate.
L’approccio italiano è chiaro: dare un nome e una pena specifica a un fenomeno con radici culturali e sociali precise. Ma questa mossa, per quanto simbolicamente potente, è davvero risolutiva?
Secondo Roberta Schaller, la risposta è complessa. Pur riconoscendo l’importanza di eliminare le attenuanti sopracitate (“dire che è stato il risultato di un raptus lo trovo sminuente per le donne vittime”), la criminologa esprime scetticismo sull’efficacia deterrente della sola pena: “Contrastare il femminicidio non significa solo aumentare le pene, perché si arriva sempre troppo tardi. Ci vuole un’educazione sui segnali d’allarme per riconoscerli, una formazione per tutti gli attori coinvolti – dalla magistratura alla polizia – tempi rapidi di giudizio e un vero supporto alle vittime”.
Non solo. Schaller è convinta che debba esserci anche una carcerazione attiva per gli autori dei reati: “Serve una presa in carico degli uomini violenti: devono comprendere ciò che hanno fatto, vedere le conseguenze delle loro azioni e impegnarsi a riparare i danni causati”. Il rischio, avverte la giurista, è che la nuova legge diventi “uno zuccherino, se mancano tutt’intorno i supporti”.
La via svizzera: prevenire è meglio che punire?
In Svizzera, la parola “femminicidio” non compare nel Codice penale. Gli omicidi di donne sono perseguiti come omicidio o assassinio, a seconda della gravità del gesto. Eppure, i dati delle ONG sono drammatici: nel 2025 si contano già oltre 20 femminicidi, una donna uccisa ogni due settimane, spesso dal partner o dall’ex.
Nel 2025 si contano già oltre 20 femminicidi, una donna uccisa ogni due settimane, spesso dal partner o dall’ex
Di fronte a questa emergenza, la Confederazione ha scelto di non agire sulla leva penale, ma su quella della prevenzione. Dopo la ratifica della Convenzione di IstanbulCollegamento esterno nel 2018, il Paese ha lanciato piani d’azione e, nel 2025, misure urgenti per aumentare i posti nei rifugi per le vittime, rafforzare la protezione durante le separazioni e introdurre l’analisi interistituzionale dei casi. A novembre è partita la prima campagna nazionale di prevenzione, con lo slogan: “L’uguaglianza previene la violenzaCollegamento esterno“.
Il modello mostra però crepe profonde. “Malgrado una situazione disastrosa, siamo tra i Paesi messi peggio sulla violenza sulle donne – commenta senza mezzi termini Roberta Schaller –e la lacuna più grave della Svizzera è che non prevede nella legge federale la violenza domestica. Per noi svizzeri il femminicidio, o in generale la violenza sulle donne, è un fenomeno socioculturale, una faccenda privata. Va bene la prevenzione, ma senza una legge federale non andiamo lontano”.
Questa assenza normativa (attualmente questa tipologia di reati viene perseguita mediante l’applicazione di una combinazione di articoli esistenti nel Codice penale che tuttavia è inerente ad atti isolati e non reiterati nel tempo) rende difficile costruire un impianto accusatorio solido, soprattutto per forme di violenza psicologica. Per la giurista “bisogna innanzi tutto dare un nome al fenomeno: la violenza domestica è un crimine, il femminicidio è un crimine”.
“Ritenuta l’evoluzione e l’incremento della violenza domestica, è ora e tempo che la Svizzera abbia coraggio e si doti di norme puntuali e chiare”
Roberta Schaller, giurista e criminologa
Il controllo coercitivo è la partenza di tutto, “il nucleo invisibile della violenza domestica”, spiega la criminologa, sottolineando come “spesso la violenza non inizia con le botte, ma con forme sottili di controllo: isolamento, manipolazione, gelosia, minacce. Queste dinamiche creano paura cronica e un sistema di sottomissione e dipendenza, molto prima che la violenza fisica diventi visibile”.
Schaller, insieme alla parlamentare cantonale ticinese Roberta Soldati, ha elaborato una proposta per inserire i reati di violenza domestica (sessuale, fisica, psicologica ed economica) nel Codice penale svizzero, un’iniziativa cantonaleCollegamento esterno che ora attende di essere presentata a livello federale. Come si legge nel testo, “ritenuta l’evoluzione e l’incremento della violenza domestica, è dunque ora e tempo che la Svizzera abbia coraggio e si doti di norme puntuali e chiare”.
La criminologa critica anche la riluttanza delle istituzioni a raccogliere dati statistici ufficiali specifici sul femminicidio. Spesso mancano dati su contesto, motivazioni e relazione tra vittima e autore, rendendo difficile identificare i casi di femminicidio: “Come ho già detto, in Svizzera la violenza sulle donne resta ancora un fatto privato. Il dato non viene analizzato. Si mette la proverbiale testa sotto la sabbia. C’è una certa reticenza a non volere vedere la realtà”.
L’equilibrio necessario: oltre la semplice scelta
Alla domanda su quale modello sia più adeguato, Schaller evita di fare una scelta netta. Non ritiene necessario introdurre un reato autonomo di femminicidio, perché “il valore di un essere umano non dipende dal genere”, ma sottolinea l’urgenza di un approccio integrato. “Ritengo che ci voglia un approccio a 360 gradi, partendo dalla prevenzione, passando dall’educazione e dal cambiamento legislativo”.
La conclusione è che nessuno dei due modelli, da solo, è sufficiente. La repressione italiana, per quanto dura, ha un impatto limitato senza un profondo cambiamento culturale. La prevenzione svizzera, d’altra parte, risulta debole senza un quadro legislativo chiaro e un segnale penale forte.
La strada maestra risiede in una combinazione intelligente dei due approcci: punire con severità, ma allo stesso tempo investire massicciamente in educazione, cultura del rispetto, supporto concreto alle vittime e, soprattutto, in un sistema che sappia riconoscere e fermare la violenza prima che sia troppo tardi. Come conferma ancora Roberta Schaller, “il controllo coercitivo è al centro della moderna prevenzione della violenza. Una migliore comprensione di questo modello può contribuire a prevenire precocemente gravi escalation e femminicidi, perché in realtà l’80% dei femminicidi sono prevedibili”.
Una sfida che sia l’Italia che la Svizzera sono chiamate ad affrontare per porre fine a una violenza di genere inaccettabile.
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