“Cinque quesiti, cinque sì, ma tutto resta com’era”

I media svizzeri si soffermano questa settimana sul risultato dei cinque referendum su cui ha votato il popolo italiano. Si parla anche di autovelox, della Nazionale azzurra di calcio e di un villaggio distrutto nel disastro del Vajont.
Un quorum che interpella
Il risultato dei cinque referendum in Italia lo scorso fine settimana è guardato con interesse anche dalla stampa svizzera. “Cinque quesiti, cinque sì, eppure tutto resta com’era”, sintetizza la Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno ricordando al suo lettorato elvetico che in Italia un referendum è valido solo se vota più del 50% delle persone aventi diritto. Nonostante questa soglia, le 500’000 firme necessarie per indire un referendum e l’avallo della Corte costituzionale, l’Italia ha comunque “una lunga tradizione di democrazia diretta” poiché è il Paese dell’UE con più referendum, rileva la NZZ. Dal 1950, gli italiani e le italiane sono state chiamati alle urne 78 volte e diverse riforme importanti, come la legalizzazione del divorzio o l’abbandono dell’energia nucleare, sono state ottenute tramite questo strumento.
In un Paese come la Svizzera, dove la popolazione è chiamata alle urne per dire la sua su pressappoco tutto, gli appelli all’astensione come quelli lanciati dal Governo Meloni sono visti con occhio critico. “A nord delle Alpi ci si stupirebbe di simili affermazioni da parte dei membri del Governo”, osserva la NZZ. Dichiarazioni che tra l’altro, aggiungiamo noi, sarebbero inutili visto che in Svizzera non è previsto alcun quorum. “Tuttavia, in Italia l’astensione è una strategia legittima, che rende superfluo il dibattito sui contenuti”, scrive il foglio zurighese. Per il Bündner Tagblatt il quorum previsto dalla Costituzione italiana è un caso “di iper-democratizzazione, di una democrazia portata all’eccesso”. Se si adottasse una regola simile, anche in Svizzera “ben poche votazioni a livello federale, cantonale o comunale sarebbero valide, poiché una partecipazione superiore al 50% è rara”.
Anche se non ci sono riforme all’orizzonte, il dibattito in Italia sull’adeguatezza delle regole referendarie resta aperto. “Il Governo pensa di alzare a un milione il numero di firme necessarie, mentre alcuni esperti propongono di abbassare il quorum”, rileva la NZZ.
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Ricostruire dopo una catastrofe: l’esempio di Erto
Dopo il disastro che ha colpito Blatten, sepolto due settimane fa da una frana causata dal crollo di un ghiacciaio, in Svizzera si discute sull’opportunità o meno di ricostruire il villaggio vallesano. La Radiotelevisione svizzera di lingua francese RTSCollegamento esterno si è così recata ad Erto, il comune del Friuli-Venezia-Giulia che nell’ottobre del 1963 fu completamente distrutto nel disastro del Vajont. Dopo il dramma, scrive la RTS, le autorità volevano ricostruire il villaggio di Erto altrove. “Abbiamo fatto un consiglio comunale in mezzo alla strada, nel villaggio vicino: c’erano quelli favorevoli a rimanere e quelli che volevano andarsene. Per incoraggiarci a partire, ci avevano promesso una casa nuova e un lavoro”, ricorda Angelina Corona, 86 anni.
La donna rifiutò di lasciare ciò che restava della sua casa e a distanza di anni non rimpiange la sua decisione: “Hanno spezzato le radici, intere famiglie sono scomparse. Molte persone se ne sono pentite, alcune si sono persino suicidate”, racconta Angelina Corona. Dei 2’000 abitanti che vivevano a Erto nel 1963, oggi ne rimangono solo 300.
Per dare un tetto alla popolazione che decise di partire, furono costruiti due nuovi villaggi “senza fascino”, uno a 43 chilometri dal borgo distrutto e l’altro, Nuova Erto, a 22 chilometri. Tra quelli che scelsero di partire vi era anche Adriano Filippin, 20 anni all’epoca. “Se fossimo rimasti tutti lassù al villaggio, sarebbe stato meglio, ma purtroppo siamo stati tutti divisi”, racconta. Per il sindaco del paese, lo spostamento della popolazione è stato un errore. “Non bisogna mai abbandonare la propria terra, perché quando l’abbandoni perdi le tradizioni, i costumi, le usanze. Non puoi recuperarli e trasportarli altrove”, osserva Antonio Carrara.

Nuove regole sull’uso degli autovelox in Italia
Il periodo delle vacanze si avvicina e, come da tradizione, molti svizzeri e svizzere trascorreranno le ferie in Italia. Per coloro che si recano a sud in auto vi è però una novità, avverte il portale Watson.chCollegamento esterno: “Le autorità italiane hanno deciso di regolamentare l’uso dei radar [il termine che si usa in Svizzera quando si parla di autovelox, ndr] fissando nuove direttive uniformi in tutto il Paese”. Dal 12 giugno l’istallazione di ogni nuovo autovelox fisso o mobile dovrà ricevere l’avallo della prefettura. “Questa autorizzazione sarà concessa solo dopo una valutazione che dimostri che il dispositivo contribuisce effettivamente a migliorare la sicurezza stradale”, precisa Watson.
Inoltre, le persone pizzicate per eccesso di velocità riceveranno solo la contravvenzione e non più le immagini del reato, per una questione di protezione della vita privata. “La giustificazione delle autorità italiane è un po’ strana: negli ultimi anni, alcuni automobilisti fotografati si sarebbero ritrovati in situazioni spiacevoli a causa di queste foto, scrive Watson. Tra le altre cose, sulle immagini si sarebbero potute riconoscere persone che non avrebbero dovuto essere in auto in quel momento, il che avrebbe causato qualche crisi coniugale…”.
Il portale rileva anche che con 11’000 autovelox, l’Italia è il Paese che detiene il record assoluto in Europa. “Nel 2024, le entrate derivanti dalle multe in Italia hanno raggiunto un livello record di 1,6 miliardi di franchi svizzeri sottolinea Watson. “Anche i piccoli comuni, con poche centinaia di abitanti, a volte incassano importi a sei cifre, non solo grazie ai radar, ma anche tramite il controllo delle emissioni delle moto, dei divieti di parcheggio e dei passaggi pedonali”.

Una squadra azzurra alla deriva
Le prestazioni della nazionale italiana di calcio non sono passate inosservate a nord delle Alpi. “Mamma mia! Perché il calcio italiano è in crisi?”, titola ad esempio il BlickCollegamento esterno, chiedendosi come mai una nazione che appena quattro anni fa aveva vinto gli Europei e che nella stagione 2022-2023 era presente con ben cinque squadre nelle semifinali delle tre coppe europee sia potuta sprofondare così in basso. “Il vero problema è che il sistema è cambiato ben poco – scrive il tabloid. Le infrastrutture del calcio italiano sono fatiscenti […]. Un problema ancora più grave è che la Federazione e i club non hanno una strategia coerente per i giovani. Invece di puntare su di loro, la maggior parte continua a far giocare i veterani”.
Bluewin.chCollegamento esterno punta il dito contro i dirigenti: “Se la squadra azzurra non fa più paura a nessuno, se i suoi tifosi non la amano più e se tutti i valori che hanno costruito la sua leggenda e l’hanno portata quattro volte sul tetto del mondo non esistono più, è colpa loro”. Il portale si chiede se si sia mai visto nella storia del calcio un commissario tecnico annunciare da solo il proprio esonero, presentarsi da solo davanti alla stampa in un momento così delicato mentre il presidente della Federazione sorseggiava cocktail al festival della Serie A o, ancora, un commissario tecnico guidare la propria nazionale allorché era già stato licenziato. “Sinceramente, si fa meglio anche nei campionati amatoriali”, sostiene bluewin.ch.
“Atmosfera da fine dei tempi in Italia”, titolano diversi giornali del gruppo CH MediaCollegamento esterno, sottolineando che il calcio nella Penisola deve essere reinventato. “L’Italia sta vedendo crescere una generazione che non sa cosa significhi acclamare la Nazionale durante una Coppa del Mondo”, scrive il giornalista, ricordando che l’ultima partecipazione della squadra azzurra ai Mondiali risale al 2014. L’articolo si conclude con una frase di Andrea Camilleri: “L’unica cosa che davvero interessa agli italiani nella storia del mondo è la storia della Squadra Azzurra ai Mondiali”. “Per il momento – sottolinea il giornalista – i giovani italiani non hanno bisogno di apprendere nuovi dati storici. Forse nemmeno quelli dell’estate 2026”.

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