Perché il conflitto a Gaza tocca così da vicino l’Italia?

Dopo le grandi manifestazioni dei giorni scorsi, la stampa della Svizzera francese e tedesca si chiede come mai sia la popolazione italiana la capofila in Europa della solidarietà al popolo palestinese. Questa settimana, a rimbalzare sui media elvetici sono anche le notizie sulle prime banane Made in Sicilia e la guerra della pasta scoppiata tra Washington e Roma.
Una mobilitazione per Gaza che sorprende la stampa svizzera
In Svizzera, così come in molte città europee, le ultime settimane sono state contraddistinte da diverse manifestazioni a sostegno del popolo palestinese. A livello numerico, però, non vi è paragone con le dimostrazioni inscenate nella Penisola. “Come mai la guerra a Gaza coinvolge l’Italia più di altri Paesi?”, si chiede la Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno. Questo forte coinvolgimento – scrive il giornale – è stato amplificato dalla presenza di parlamentari a bordo della flottiglia e dalla lunga sosta delle navi in Sicilia, che hanno garantito una copertura mediatica continua. Inoltre, il sostegno iniziale del Governo italiano a Netanyahu ha accentuato il contrasto con l’opinione pubblica, che in maggioranza giudica eccessiva la reazione israeliana. Anche la competizione tra sindacati ha avuto un ruolo: la CGIL, incalzata dalla piccola USB, ha aderito per non perdere terreno. Vi è poi un altro fattore, osserva la NZZ basandosi sulle dichiarazioni di Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, e di Giovanni Orsina, professore di storia contemporanea all’Università Luiss di Roma: la sinistra non sa bene come attaccare Giorgia Meloni e il suo Governo. Sul piano economico, ha pochi argomenti per mettere in difficoltà la presidente del Consiglio e per questo l’opposizione ha colto la causa palestinese per metterla in difficoltà.
Il settimanale di sinistra WochenzeitungCollegamento esterno si interessa da parte sua al ruolo importante svolto dalle organizzazioni sindacali di base. La solidarietà con la popolazione di Gaza è assai diffusa in Italia, soprattutto tra le giovani generazioni. “Tuttavia, le azioni coordinate sono state possibili solo perché si sono fatte avanti forze che hanno un’esperienza di lotta e il necessario know-how organizzativo: i sindacati di base”, scrive la Wochenzeitung. Queste strutture, nate negli anni Ottanta, sono locali, non centralizzate e orientate in senso libertario. “Intercategoriali”, operano in vari settori, con forte presenza di lavoratori migranti, spiega il giornale. Il loro attivismo va oltre le rivendicazioni salariali: storicamente antimilitariste, hanno bloccato navi israeliane e denunciato la “complicità nel genocidio” del governo Meloni. Per il settimanale di sinistra, “la mobilitazione di massa degli ultimi giorni lascia sperare in qualcosa di più”, che vada oltre la questione palestinese. “Dalla solidarietà con la Palestina – sottolinea la Wochenzeitung – emerge un diffuso desiderio di impegno politico – anche contro il riarmo a scapito della spesa sociale, dell’istruzione e della sanità in Italia”.
In un commento, il Bündner TagblattCollegamento esterno osserva da parte sua “quanto sia rapidamente cambiato il volto dell’Italia negli ultimi anni”. Con l’arrivo di Giorgia Meloni e con il suo Governo stabile, “l’Italia ha improvvisamente registrato meno scioperi della Germania, meno disordini e proteste della Francia con i suoi gilet gialli e altri movimenti”. La sinistra, osserva il quotidiano, ha tentato invano di riportare la gente in piazza con i suoi temi storici: inflazione, salari, sicurezza sul lavoro. “Ma nulla ha funzionato”. A riuscirci, invece, è stata la questione palestinese: “Ha risvegliato la sinistra” che “è mobilitata e riesce di nuovo a mobilitare”. E ora “non si tratta nemmeno più tanto della Palestina: si tratta di Giorgia Meloni”, sottolinea il giornale grigionese, che si chiede però se tutto ciò durerà e se “la vecchia ed eternamente inquieta Italia tornerà”.
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La “guerra della pasta” tra USA e Italia
La guerra dei dazi scatenata dal presidente statunitense Donald Trump sta mettendo a dura prova l’economia svizzera, che si è vista imporre tariffe del 39% sulla maggior parte dei prodotti esportati oltre oceano. Ma non è solo la Confederazione a soffrire, come rilevano questa settimana diversi media elvetici, riferendo della “guerra della pasta” che si sta profilando all’orizzonte tra l’amministrazione americana e l’Italia. “Tempesta in vista per i produttori di pasta italiani – scrive 24heuresCollegamento esterno. Donald Trump potrebbe imporre dazi doganali del 92% a partire da gennaio. Una decisione che scuote la Penisola, considerando che le esportazioni di pasta hanno superato i 4 miliardi di euro nel 2024”.
Sulle importazioni dall’Unione Europea vige attualmente un dazio del 15%. A inizio ottobre, però, il Dipartimento del commercio statunitense ha avviato un’inchiesta per sospetti di dumping. Le aziende italiane – accusano ditte americane che producono pasta – venderebbero i loro prodotti a prezzo inferiore negli Stati Uniti rispetto all’Italia. “L’indagine attuale ha preso in considerazione un totale di 18 aziende, ma alla fine ha esaminato nel dettaglio solo La Molisana e Garofalo – spiega il BlickCollegamento esterno. Il Dipartimento del commercio statunitense ha accusato entrambe di scarsa collaborazione e di aver fornito informazioni incomplete o non conformi agli standard. Da qui deriva la sanzione del 91,74%, estesa anche ad altri marchi italiani come Barilla”.
Il Governo italiano e la Commissione europea si stanno mobilitando. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida denuncia una misura “iperprotezionista” e “illegittima”, rileva 24heures. L’obiettivo di Trump sarebbe spingere i produttori italiani a delocalizzare negli USA, come già avvenuto in altri settori. Citato dallo stesso giornale, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, parla di “ipocrisia”, ricordando che il mercato americano è invaso da prodotti che imitano l’italianità: “Il falso Made in Italy vale 120 miliardi di euro, di cui 40 solo negli Stati Uniti”. La partita resta aperta: possibili ricorsi legali e pressioni diplomatiche potrebbero ancora evitare l’escalation.

Banane “Made in Italy”
La notizia secondo cui Chiquita intende produrre banane biologiche in Sicilia. “La prima fase del progetto prevede la messa a dimora di 20’000 piante di banano biologiche in Sicilia”, scrive la Radiotelevisione svizzera di lingua tedesca SRFCollegamento esterno. Le prime banane Made in Italy dovrebbero arrivare sul mercato a partire dal 2026. “Finora, in Italia, i banani erano conosciuti solo come piante ornamentali”, precisa il servizio.
“La tropicalizzazione del clima – ovvero il passaggio a condizioni più calde, umide e simili a quelle tropicali in zone un tempo temperate – sta mostrando effetti sempre più concreti in Italia. In particolare, il Sud del Paese, incluse la Sicilia, la Calabria e parte della Puglia, sta vivendo cambiamenti climatici che rendono possibile la coltivazione di frutti originariamente tropicali”, rileva il BlickCollegamento esterno. In queste aree, il cambiamento climatico consente già la coltivazione di mango, papaya, avocado e frutto della passione.
“Per Chiquita questo progetto è una doppia opportunità”, ha dichiarato Romano Costabile, direttore vendite per l’Italia della multinazionale con sede in Svizzera: da un lato rafforzare il legame con i consumatori italiani, dall’altro “valorizzare la produzione locale in un contesto internazionale”.

Berlinguer arriva sui grandi schermi della Svizzera francese
L’ultimo film di Andrea Segre (a sinistra sulla foto insieme a Elio Germano), intitolato Berlinguer – La grande ambizione, è arrivato recentemente anche nelle sale cinematografiche della Svizzera francese. Il quotidiano edito a Ginevra Le TempsCollegamento esterno propone questa settimana un’intervista al regista italiano, autore di un’opera che unisce fiction e materiali d’archivio per restituire la figura di un politico “integro e rispettato da tutti”.
Segre spiega di aver voluto “ricordare alle nuove generazioni il ruolo che Berlinguer ha avuto nella società italiana e ben oltre”, sottolineando come il PCI dell’epoca rappresentasse “un terzo dell’elettorato” e fosse “distante da Mosca”. Il cuore del film è il “compromesso storico”, tentativo di dialogo tra sinistra e Democrazia Cristiana, oggi più che mai attuale in tempi di crisi democratica.
Il film si basa su un lungo lavoro di ricerca: “Ho passato sei mesi all’Istituto Gramsci e incontrato 80 persone”, racconta Segre. Tutti i discorsi nel film sono autentici, e le scene familiari si ispirano ai ricordi dei figli di Berlinguer.
Elio Germano, scelto fin dall’inizio per interpretare Berlinguer, offre una performance intensa: “Ho avuto l’impressione di girare un film con Berlinguer, non solo su di lui”, dice Segre. La pellicola, già accolta con entusiasmo in Italia, punta ora all’estero. Un’opera che, secondo Le Temps, “tocca i vertici del cinema politico italiano”, accostabile a Petri, Rosi o Bellocchio. Un ritratto potente di un uomo che “voleva portarci fuori dagli automatismi del mercato per ritrovare la nostra anima”.

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