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“Se le banche vengono aiutate allora che aprano gli archivi”

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Il quartier generale del Credit Suisse sulla Paradeplatz di Zurigo. Keystone-SDA

Se le banche sono troppo grandi per fallire e vengono aiutate con miliardi di franchi dei contribuenti allora dovrebbero aprire i loro archivi storici facendo chiarezza sul loro passato.

È questo, in estrema sintesi, il pensiero di Marc Perrenoud, ex consigliere scientifico della Commissione Bergier, il gruppo indipendente di esperti che dal 1996 al 2001 – nel pieno delle polemiche sui cosiddetti fondi ebraici – fece luce sul ruolo della Svizzera nella Seconda guerra mondiale.

In un’intervista pubblicata oggi da Le Temps lo storico di Neuchâtel torna sulle recenti novità emerse in seguito a un’inchiesta della Commissione bilancio del Senato degli Stati Uniti, secondo cui Credit Suisse (CS) – istituto nel frattempo rilevato da UBS – avrebbe nascosto informazioni sui conti bancari che durante il conflitto erano appartenuti a nazisti.

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“Impossibile esaminare tutto in cinque anni”

La Commissione Bergier aveva fatto riferimento a 14 conti problematici presso Credit Suisse, mentre l’avvocato americano Neil Barofsky sostiene di aver identificato diverse migliaia di documenti e diverse centinaia di conti con potenziali legami nazisti. Perrenoud non è comunque sorpreso. “La Commissione Bergier ha portato alla luce una tale quantità di documentazione che è stato impossibile esaminarla tutta nei cinque anni del nostro mandato”, afferma. “C’era una massa di documenti non inventariata: abbiamo potuto vederne solo una parte”.

A suo avviso bisogna inoltre tener conto del problema degli avvocati o degli intermediari finanziari che aprono società finanziarie con nomi innocui, ad esempio a Vaduz o a Zugo, per depositare i beni di persone problematiche con un titolo generico di dossier. “La proliferazione di questi casi ha complicato il lavoro”.

Nel rapporto Bergier – ricorda il giornalista del quotidiano romando – si afferma che “se Credit Suisse non ha conservato traccia di queste transazioni è perché sicuramente sono state cancellate”, eppure Barofsky ne ha trovate. “Abbiamo avuto lo stesso problema con Bührle e la sua collezione d’arte”, risponde l’intervistato. “La figlia di Emil Bührle, che era ancora viva all’epoca del lavoro della commissione, disse di non avere archivi. Alcuni anni dopo il nostro lavoro, gli archivi di famiglia sono però riapparsi. Ciò ha richiesto ulteriori ricerche. All’epoca Bührle era l’uomo più ricco della Svizzera, ma c’erano avvocati e agenti finanziari di ogni tipo che avevano un ruolo e che noi non potevamo ricercare. Eravamo sotto pressione”. I commissari del gruppo Bergier avevano infatti tempo solo fino al dicembre 2021.

Chilometri d’archivi

“Inizialmente eravamo autorizzati a consultare, ma non a copiare i documenti. Ci è stato permesso di fare fotocopie, ma solo a condizione che venissero restituite alla fine del nostro lavoro. Tutti i nostri fascicoli di fotocopie sono stati restituiti alle banche e alle aziende che li avevano richiesti. Non vi sono quindi copie a disposizione del pubblico. Prima del 1996, inoltre, ci era stato detto che gli archivi erano pochi e che le aziende moderne li distruggevano dopo dieci anni. Abbiamo scoperto che in realtà c’erano chilometri di archivi, come spiega Barofsky. In cinque anni non abbiamo però avuto il tempo di esaminare e analizzare tutto”.

Ci si deve aspettare che vengano alla luce archivi problematici in altre banche elvetiche? “Abbiamo menzionato questo problema nell’introduzione al rapporto Bergier. Per esempio, alla fine del nostro lavoro, UBS ci ha inviato nuove informazioni sui clienti. Ci siamo allora resi conto che l’inventario che avevamo ricevuto nel 1997 era notoriamente incompleto. Abbiamo avuto il tempo di fare solo alcune scoperte e poi ci siamo dovuti fermare. Avremmo dovuto fare lo stesso lavoro negli archivi di UBS; non era esaustivo”.

“In generale sarebbero necessarie ulteriori ricerche”, argomenta lo specialista. “Che si tratti del 2008 con UBS o del 2023 con Credit Suisse, quando sono stati mobilitati molti soldi pubblici per salvare queste grandi banche, ritengo che le autorità federali avrebbero potuto essere più esigenti nel loro aiuto, ad esempio ponendo come condizione l’apertura degli archivi storici. Se le banche sono too big to fail e se sono così importanti, allora il pubblico deve avere il diritto di essere informato sulla loro storia”.

“A ottant’anni dalla fine della guerra ci sono ancora documenti che vengono tenuti nascosti dal settore privato”, si lamenta lo storico. “Mi si risponde che non bisogna confondere tutto. Ma la storia della Seconda guerra mondiale è stata così drammatica che gli interrogativi si ripresenteranno sem come per la schiavitù o la colonizzazione: non c’è una posizione definitiva”, conclude.

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