Averi nazisti, Credit Suisse ancora nell’occhio del ciclone negli USA
La banca svizzera, rilevata due anni fa da UBS, avrebbe nascosto informazioni nel corso di precedenti indagini su conti appartenuti a personalità naziste. È quanto sostiene una commissione del Senato degli Stati Uniti.
“Decine di migliaia di documenti scoperti a seguito di un’indagine sui conti di Credit Suisse (CS) risalenti alla Seconda guerra mondiale forniscono nuove e ampie prove di titolari di conti collegati ai nazisti, precedentemente sconosciuti o solo parzialmente noti”, ha indicato sabato la Commissione bilancio del Senato statunitense presentando i risultati intermedi dell’inchiesta in corso contro l’istituto elvetico.
“La banca non ha rivelato l’esistenza di questi conti nel corso delle indagini precedenti”, svolte in particolare negli anni Novanta del secolo scorso, si legge nella notaCollegamento esterno.
Questo annuncio segue le conclusioni dell’ex procuratore Neil Barofsky, nominato mediatore presso la banca svizzera nel 2021. Barofsky è stato congedato da CS nel 2022 dopo che la banca “ha fatto pressione su di lui affinché limitasse le sue indagini”, afferma la commissione senatoriale. Barofsky successivamente è stato reintegrato nel 2023, dopo che CS è stata acquisita da UBS.
Secondo il quotidiano statunitense The Wall Street JournalCollegamento esterno, la squadra di Barofsky ha scoperto documenti che identificavano altri clienti con legami con i nazisti, tra cui un conto controllato da ufficiali di alto rango delle SS.
Credit Suisse “non ha sempre condiviso le informazioni in suo possesso”, ha affermato Barofsky in una lettera inviata alla commissione del Senato a metà dicembre e resa pubblica sabato. “La mia squadra ha lavorato a stretto contatto con Credit Suisse per garantire che tutte le parti pertinenti dei suoi archivi che ancora esistono venissero incluse nell’indagine”, ha affermato inoltre Barofsky.
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UBS fornirà “tutta l’assistenza necessaria”
Contattata dall’agenzia di stampa Agence France-Presse (Afp), UBS ha dichiarato di essersi “impegnata a contribuire a un censimento completo degli ex conti collegati ai nazisti, precedentemente detenuti presso le banche predecessore di Credit Suisse”.
La banca ha indicato che fornirà “tutta l’assistenza necessaria” a Neil Barofsky “affinché possa continuare a far luce su questo tragico periodo della storia attraverso questa indagine”.
Intervistato dalla Radiotelevisione svizzera di lingua francese RTSCollegamento esterno, il professore di finanza e governance aziendale presso l’Università di Friburgo Douchan Isakov sottolinea come questa collaborazione da parte di UBS rifletta un cambiamento culturale nel settore bancario.
“Per UBS – afferma Isakov – è quasi un vantaggio poter voltare pagina in questo modo, fornendo i mezzi per fare luce su quello che ancora c’è da sapere su quel periodo […]. È un’opportunità per chiudere questo capitolo e presentarsi come una banca trasparente e pulita”.
Indennizzi miliardari
La questione del comportamento delle banche e delle imprese svizzere nei confronti del Terzo Reich, dei suoi dignitari e soprattutto degli ebrei e delle ebree perseguitati dai nazisti è da anni sotto la luce dei riflettori. Nel 1995, su pressione di diverse organizzazioni ebraiche, in particolare statunitensi, scoppiò la vicenda dei cosiddetti fondi in giacenza, che portò alla creazione della Commissione Bergier. A questa commissione indipendente, diretta dallo storico Jean-François Bergier, fu attribuito il compito di analizzare i rapporti economici e finanziari con l’estero della Svizzera, il problema dei fondi in giacenza e la politica d’asilo seguita dalla Confederazione.
Inoltre, le organizzazioni ebraiche internazionali e l’Associazione svizzera dei banchieri concordarono la costituzione del comitato Volcker, il cui obiettivo era di ritrovare fondi appartenuti a vittime del nazismo depositati presso banche svizzere. “Dal rapporto finale pubblicato nel 1999 – si legge sul Dizionario storico della SvizzeraCollegamento esterno – è emerso che gli istituti di credito svizzeri non si erano comportati in maniera sistematicamente scorretta per quanto riguarda la gestione dei fondi in giacenza, ma che nel dopoguerra essi avevano spesso assunto un atteggiamento poco sensibile e poco cooperativo nei confronti dei discendenti delle vittime alla ricerca dei patrimoni dei loro familiari”.
Per chiudere la vertenza, nel 1997 le principali banche svizzere, la Banca nazionale e altre imprese istituirono un fondo speciale per le vittime dell’Olocausto, che fino al suo scioglimento attribuì circa 300 milioni di franchi a 300’000 persone di 60 Paesi. Inoltre, l’anno successivo UBS e Credit Suisse siglarono un concordato con i e le legali di chi aveva promosso la causa collettiva nei confronti dei due istituti di credito e con le organizzazioni ebraiche. Le due banche si impegnarono a versare complessivamente 1,8 miliardi di franchi in aiuti umanitari e per le pretese relative ai fondi in giacenza.
Un capitolo diverso da quello dei fondi in giacenza
Lo storico Sacha Zala, direttore del Centro di ricerca sui Documenti diplomatici svizzeri, non è sorpreso dalle nuove accuse da parte statunitense, poiché già all’epoca della Commissione Bergier “le banche svizzere non hanno aiutato i ricercatori e le ricercatrici” e si sono nascoste dietro all’argomento del segreto bancario per bloccare ogni tipo di analisi storica.
Tuttavia, precisa Zala ai microfoni della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana RSI, quello attuale “è però un altro capitolo rispetto a quello dei fondi in giacenza”. Per i fondi in giacenza “è stata trovata una soluzione politica, pagando l’indennizzo miliardario del 1998”.
In questo caso si tratta invece dell’uso della piazza finanziaria svizzera da parte dei nazisti, “un tema che sia dal punto di vista storiografico che politico non era stato veramente discusso” nel quadro della Commissione Bergier. Negli ultimi 10-15 anni, però, “le storiche e gli storici svizzeri hanno scritto lavori molto interessanti sull’uso della piazza finanziaria da parte di gerarchi nazionalsocialisti, ma anche di come questi siano stati aiutati a ricostruirsi una vita in America Latina – precisa ancora Zala. Secondo me, le nuove accuse non porteranno a grosse conoscenze in più rispetto a quanto la storiografia ha già messo in luce”.
>>> L’intervista della RSI allo storico Sacha Zala:
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