Scoperti nelle Alpi svizzere promettenti microorganismi mangiaplastica
L'inquinamento da plastica è un fenomeno di portata globale.
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Un gruppo di ricercatori e di ricercatrici dell'Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) di Davos ha scoperto nelle Alpi e nell'Artico batteri e funghi in grado di digerire plastica anche a basse temperature.
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tvsvizzera.it/mar
I microorganismi capaci di mangiare plastica non sono una novità. Gli scienziati e le scienziate ne hanno scoperti molti. Quelli conosciuti finora erano però in grado di digerirla solo a temperature superiori ai 30°C. Utilizzarli industrialmente per smaltire plastica è finanziariamente proibitivo, poiché per raggiungere questa temperatura ci vuole una certa energia.
Quelli scoperti dal gruppo di ricerca del WSL nelle Alpi grigionesi e nell’Artico, sulle isole Svalbard, sono invece capaci di mangiare plastica già a partire da 15°C.
“Questi organismi potrebbero contribuire a ridurre i costi e l’impatto ambientale di un processo di riciclaggio enzimatico della plastica”, spiega al GuardianCollegamento esterno Joel Rüthi, del WSL.
I microbi trovati dal WSL sono, ad esempio, in grado di digerire la plastica delle spugne domestiche, come dimostra lo studioCollegamento esterno pubblicato mercoledì sulla rivista Frontiers in Microbiology.
Più in dettaglio, otto batteri e undici funghi hanno potuto smaltire il poliestere-pliuretano biodegradabile, mentre tre batteri e 14 funghi hanno digerito le miscele di plastica di polibutilene adipato tereftalato e di acido polilattico.
Per contro nessuno dei ceppi analizzati ha potuto assimilare il polietilene, la più comune tra le materie plastiche.
“Alcuni di questi batteri e funghi erano specie precedentemente sconosciute”, sottolinea Joël Rüthi. Tra questi, due specie di funghi dei generi Neodevriesia e Lachnellula hanno dato i migliori risultati. Sono stati in grado di digerire tutte le plastiche testate, ad eccezione del PE.
Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare prima che i batteri e i funghi appena scoperti possano essere utilizzati. “Dobbiamo ancora identificare gli enzimi prodotti da questi microrganismi”, conclude il ricercatore.
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