In occasione della Giornata internazionale della libertà di stampa, Reporter senza frontiere (RSF) ha pubblicato il suo indice annuale. La Svizzera guadagna tre posizioni rispetto al 2023. L'Italia scivola invece in 46esima posizione.
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tvsvizzera.it/mar/Keystone-ATS
Nella Confederazione la situazione sul fronte della libertà di stampa è “abbastanza buona”, ma il contesto legislativo non protegge a sufficienza i giornalisti e le giornaliste, secondo quanto comunicato venerdì da RSF.
La pandemia di coronavirus aveva fatto scendere la Svizzera nella graduatoria, ma secondo RSF il miglioramento di quest’anno non segna “alcun reale progresso” ed è più che altro dovuto all’arretramento di tre Paesi che l’anno scorso erano davanti alla Confederazione: Lituania, Timor Est e Liechtenstein.
Il numero di punti ottenuti dalla Svizzera su tutti e cinque gli indicatori utilizzati è addirittura in leggerissimo calo (84,01 rispetto agli 84,4 del 2023). A penalizzarla è in particolare il suo contesto legislativo, ambito nel quale la Svizzera è solo al 27° posto.
Il servizio del Telegiornale con l’intervista a Gerard Ryle, Gerard Ryle, premio Pulitzer e direttore del consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, sul giornalismo nell’era dell’intelligenza artificiale:
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Diversi punti critici
Fra i punti critici, RSF sottolinea in particolare le disposizioni penali della legge sulle banche: i giornalisti e le giornaliste svizzere rischiano fino a tre anni di carcere per un reportage basato su fughe di notizie o furti di dati bancari.
RSF denuncia inoltre le difficoltà riscontrate nell’accedere ai documenti in possesso dell’amministrazione, nonostante la legge sulla trasparenza, e i procedimenti legali abusivi intentati contro i media o le ong con l’obiettivo di mettere a tacere le voci critiche.
RSF rileva inoltre che la Svizzera è scivolata dal 4° all’11° posto nell’indice socio-culturale, che misura in particolare la denigrazione e gli attacchi alla stampa basati su questioni di genere, classe, origine etnica o religione. L’ong spera che la condanna dell’ideologo di estrema destra Alain Soral per i suoi commenti omofobi contro una giornalista faccia giurisprudenza.
Migliora la sicurezza
RSF accoglie per contro con favore un leggero miglioramento della sicurezza dei giornalisti e delle giornaliste in Svizzera. Gli anni precedenti erano stati segnati da “attacchi verbali e talvolta fisici senza precedenti nei loro confronti”, in particolare durante le manifestazioni contro le misure anti-Covid.
L’Ong descrive la situazione come “buona” o “abbastanza buona” in 45 dei Paesi esaminati, rispetto ai 52 dello scorso anno.
L’Italia scivola ancora indietro
Tra i Paesi europei, l’Italia figura nel plotone di coda: al 41esimo posto nel 2023, è scivolata in 46esima posizione.
In materia di libertà di stampa, tra i Ventisette si situa al livello di Polonia (47) e Croazia (48) e Romania (49). Più indietro la Bulgaria (59), l’Ungheria (67) e la Grecia (88).
“La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, soprattutto nel sud del Paese, e da vari gruppi estremisti che compiono atti di violenza – scrive RSF. I giornalisti lamentano anche il tentativo della classe politica di ostacolare la libera informazione in ambito giudiziario attraverso una ‘legge bavaglio’, oltre al diffondersi delle procedure SLAPP [strategic lawsuit against public participation, ossia azioni legali per impedire la pubblicazione di articoli, ndr]”.
Paesi nordici ai primi posti
Ai primi posti della graduatoria continuano invece a esserci i Paesi nordici: Norvegia che mantiene il primo posto per l’ottavo anno consecutivo, davanti a Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Finlandia.
Ma a livello mondiale il giornalismo si trova sempre più spesso ad affrontare pressioni politiche. “Un numero crescente di governi e autorità politiche sta venendo meno al proprio ruolo di garante di un quadro esemplare per l’esercizio del giornalismo e per il diritto del pubblico a un’informazione affidabile, indipendente e pluralista”, denuncia RSF.
L’organizzazione osserva “un preoccupante deterioramento del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione esercitata dallo Stato o da altri attori politici”.
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