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“Il sistema sociale svizzero non applica tutti gli insegnamenti degli errori passati” 

targa comemmorativa in bronzo che ritrae persona che piange seduta su scale
Una targa commemorativa per le vittime dei collocamenti forzati. KEYSTONE

Il sistema sociale svizzero ignora in parte i diritti delle persone che si trovano in situazioni precarie e applica altrettanto parzialmente gli sviluppi degli ultimi decenni nel campo della protezione dei bambini e degli adulti: è la conclusione a cui giunge il programma nazionale di ricerca "Assistenza e coercizione", i cui risultati sono stati pubblicati giovedì.

Sono stati resi noti giovedì i risultati del Programma nazionale di ricerca “Assistenza e coercizione” (PNR 76)Collegamento esterno, del Fondo nazionale svizzero, che dimostrano che il sistema sociale elvetico non applica tutti i progressi degli ultimi anni e che porta con sé ancora l’eredità del suo passato.  

Le misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari, che tanto hanno fatto discutere negli ultimi anni e che sono all’origine dell’istituzione di questo programma di ricerca, continuano ad avere ripercussioni. Alcune misure previste dalla legge restano coercitive o sono percepite come tali dalle persone interessate, i cui diritti, secondo il PNR, non sono sufficientemente presi in considerazione. 

Questo nonostante il fatto che la Confederazione abbia firmato le convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini e delle persone con disabilità. Con la modernizzazione della legge sulla protezione dei minori e degli adulti, il benessere dei bambini è stato posto al centro e la posizione dei minori nei procedimenti legali è migliorata in maniera importante. Nonostante questi progressi, però, le disparità cantonali e la complessità dell’organizzazione delle autorità comportano ancora delle disuguaglianze di trattamento. 

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Una delle soluzioni a questa situazione è, prosegue il PNR, l’armonizzazione a livello federale delle procedure per la tutela di minori e adulti. Sarebbe anche necessario migliorare l’informazione sui loro diritti e doveri, rimuovere le barriere amministrative e linguistiche, nonché tutelare la loro integrità e promuovere la loro autonomia. Le autorità vengono pertanto esortare ad agire di concerto con le persone interessate ed esperti ed esperte. “Il sistema di assistenza sociale svizzero ha imparato molto negli ultimi anni. È giunto il momento di mettere in pratica questi insegnamenti”, afferma il responsabile del PNR 76, Alexander Grob, citato nella nota che accompagna i risultati dello studio. 

Le misure coercitive: un errore dal quale trarre lezioni

Nel XX secolo la storia svizzera si è indelebilmente macchiata: decine di migliaia di bambini e adulti sono stati vittime di internamenti coatti, trattamenti medici senza il loro consenso, violenze fisiche e psicologiche nell’ambito di misure coercitive. Un capitolo buio sul quale le autorità vogliono fare chiarezza e dal quale affermano di voler trarre degli insegnamenti per non ripetere gli errori. Molto è stato fatto, ma, come dimostra questo ultimo studio, alcuni problemi restano.

Questi collocamenti sono proseguiti fino al 1981. “Migliaia di bambini e adulti sono stati oggetto di misure coercitive a scopo assistenziale o di collocamenti extrafamiliari. In molti casi queste misure hanno causato gravi sofferenze alle vittime e hanno direttamente e fortemente leso la loro integrità fisica, psichica o sessuale nonché il loro sviluppo intellettivo”, i rileva l’Ufficio di giustizia sulla sua pagina dedicata a questo tema.   

 Le vittime “non erano internate per aver commesso un delitto, ma perché le loro azioni e il loro modo di vita non erano conformi alle norme sociali dell’epoca dal punto di vista delle autorità”, specifica dal canto suo la Commissione peritale indipendente Internamenti amministrativiCollegamento esterno (CPI). Bambini e adolescenti sono per esempio stati sfruttati come manodopera a buon mercato nelle aziende agricole, dove hanno subìto maltrattamenti psicologici e fisici e sono spesso stati abusati sessualmente. Lo stesso destino è toccato alle persone collocate in istituti “severamente gestiti”. Individui “il cui modo di vivere non corrispondeva alle norme socialmente accettate” sono stati internati senza alcuna sentenza di diritto penale in stabilimenti di lavoro o penali. Numerose giovani donne, considerate “dissolute” perché rimaste incinte fuori dal matrimonio, sono state costrette ad abortire o a farsi sterilizzare o addirittura a dare in adozione i propri figli e figlie. Diverse persone sono infine state usate per esperimenti farmacologici contro la propria volontà o a loro insaputa.

Secondo una ricerca realizzata da una commissione indipendente nel 2019, le vittime di queste misure sono circa 60’000. “È una stima, ma siamo sorpresi dall’ampiezza del fenomeno”, aveva allora dichiarato la storica Anne-Françoise Praz, membro della commissione, istituita dal Consiglio federale nel novembre del 2014. La ricerca ha anche potuto dimostrare che oggi molte delle vittime vivono in condizioni finanziarie o psicologiche difficili a causa di quanto subìto per decenni. Oltre agli abusi, sono state umiliate e stigmatizzate a causa della loro condizione di “diversi”.  

Le decisioni erano spesso arbitrarie e sia le vittime che i loro familiari si sono visti negare diritti fondamentali. Una delle categorie particolarmente colpite sono state le famiglie immigrate: secondo un’analisiCollegamento esterno di  Sandro Cattacin dell’Università di Ginevra e del suo team nell’ambito del PNR76, centinaia di bambini e bambine di origine italiana furono spostati contro la loro volontà in case e famiglie affidatarie nelle regioni di frontiera, su entrambi i lati del confine. La ragione principale era la mancanza di posti negli istituti già esistenti nei cantoni Ticino e Vallese. Nel caso di italiane e italiani, spesso erano figlie e figli di lavoratori stagionali, che quindi non avevano il diritto di stare in Svizzera (all’epoca, infatti, il ricongiungimento famigliare non era concesso a questi lavoratori).  

I minori di nazionalità straniera, emerge dalle analisi, erano ancora più colpiti dalla situazione poiché, quando non si adattavano al contesto dove venivano piazzati, spesso venivano spostati altrove. 

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Un cambiamento lento 

Gli eventi di questa pagina buia della storia elvetica sono stati spesso criticati, anche mentre avvenivano, ma ci sono volute decine di anni per porvi fine. Tutti sapevano, ma nonostante le denunce e le documentazioni da parte dei media, quasi nessuno se ne occupava. “Per lungo tempo le richieste di inchieste complete nonché di abolizione degli abusi e delle ingiustizie non sono state né ascoltate né sostenute da una maggioranza a livello politico nazionale”, scrive l’UFG. “Soltanto le importanti trasformazioni economiche e politico-sociali successive alla Seconda guerra mondiale (in particolare il boom economico degli anni Cinquanta, lo sviluppo delle opere sociali a livello federale e la democratizzazione della società conseguente ai movimenti del 1968) hanno generato cambiamenti e adeguamenti nella prassi e nella legislazione, contribuendo a ridurre progressivamente il numero delle vittime e delle misure”, si legge sul sito dell’UFG.

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La situazione oggi 

Come detto, resta molto da imparare dagli errori, ma qualcosa si è mosso negli ultimi anni. Le vittime hanno dovuto aspettare il 2010 per ottenere delle scuse ufficiali. L’allora consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf si scusò in nome del Consiglio federale per le gravi sofferenze causate dalle misure. Scuse poi arrivate nel 2013 anche dalla consigliera federale Simonetta Sommaruga. Nel 2017 è stato aperto un altro importante capitolo: è entrata in vigore la Legge federale sulle misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari prima del 1981 (LMCCE)Collegamento esterno, approvata dal Parlamento a larga maggioranza. La sua esecuzione a livello federale è stata affidata al settore Misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari (settore MCSA). La legge, oltre a creare le condizioni quadro per eseguire degli studi su questo fenomeno, prevede anche un risarcimento a chi è stato vittima dei collocamenti coatti (25’000 franchi a persona). Prevede inoltre l’istituzione di servizi di contatto cantonali e archivi incaricati di fornire consulenza e sostegno alle vittime e ad altre persone interessate e misure di sostegno a favore delle vittime, come per esempio progetti di aiuto reciproco.  

Nel corso degli ultimi anni, numerose persone hanno voluto raccontare le loro storie e a queste sono stati dedicati servizi in numerosi media, come pure esposizioni in tutto il Paese.  

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