Hayek: “È il franco forte, più che i dazi, a pesare negativamente”
Il presidente della direzione di Swatch Nick Hayek.
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Swatch non risente dei dazi USA sugli orologi, ma è il franco forte a rappresentare la vera sfida per l’azienda, secondo il CEO Nick Hayek.
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I dazi doganali del 10% imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni di orologi svizzeri e quelli che potrebbero ancora arrivare non stanno ostacolando l’attività di Swatch.
Lo assicura il presidente della direzione Nick Hayek, secondo cui il franco forte sta avendo un impatto molto più dannoso. Ma il gruppo ha comunque imparato a fare i conti anche con questo problema, ha detto.
Dopo l’introduzione delle barriere doganali Swatch ha effettuato “un adeguamento dei prezzi di circa il 5% il primo maggio”, ha spiegato il 70enne durante la presentazione dei conti semestrali della società. “Non abbiamo riscontrato alcun effetto negativo sulle vendite”, ha aggiunto.
Gli affari dell’azienda di Bienne (canton Berna) negli Stati Uniti, suo principale mercato, hanno continuato a prosperare, portando a un aumento dei ricavi del 10-30% per l’intero semestre. “Marchi come Swatch, Omega e Tissot hanno registrato risultati molto forti in valuta locale, con un aumento di oltre il 20% per Tissot, ad esempio”.
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La minaccia di una nuova stretta doganale da parte del presidente americano Donald Trump non allarma quindi il gigante dell’orologeria, anche se Hayek riconosce che non si tratta di una cosa positiva. “Siamo abituati alle tasse, possiamo sempre discuterne con i nostri rivenditori e condividere i costi. Inoltre se i consumatori desiderano un determinato marchio viaggeranno per acquistare i loro orologi in un paese dove sono venduti a prezzi più bassi. Gli acquirenti sono flessibili al giorno d’oggi”.
A suo avviso molto più nociva è la forza del franco. “Ma stiamo gestendo la cosa e non abbiamo mai dubitato di investire in Svizzera”. Il dirigente che ha assunto le redini di Swatch nel 2010 osserva comunque come l’aumento del valore del franco non sia un tema di discussione quanto i dazi doganali, aggiungendo che il nuovo presidente della direzione della Banca nazionale svizzera (BNS) Martin Schlegel “rimane in silenzio”.
L’imprenditore sottolinea il fatto che la sua azienda è praticamente una delle poche, oltre a Rolex e Patek Philippe, a non esternalizzare e a produrre direttamente in Svizzera i propri movimenti al quarzo e meccanici. “Abbiamo una responsabilità nei confronti dell’economia elvetica ed è per questo che, nonostante il calo delle vendite in Cina, manteniamo i nostri dipendenti e ci rifiutiamo di ricorrere al lavoro ridotto”.
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A suo avviso, il mantenimento della forza lavoro, malgrado la flessione della produzione, e gli investimenti nello sviluppo del marchio hanno contribuito a ridurre drasticamente l’utile semestrale del gruppo, sceso a 17 milioni di franchi. “Dobbiamo attenerci al nostro utile operativo che, sebbene sia diminuito di tre volte a 68 milioni, rimane solido. Inoltre non abbiamo debiti”, ha sottolineato il manager.
“La Cina non è tutto”, ha chiosato il dirigente con un passato anche cinematografico (ha fra l’altro diretto e prodotto un film con Peter Fonda). “Ci sono mercati come gli Stati Uniti, l’India, il Giappone e il Medio Oriente, dove i nostri marchi stanno andando molto bene”. In Cina, in contrasto con la maggior parte degli osservatori del mercato, Hayek afferma di vedere gli inizi di una stabilizzazione. “Tra i rivenditori, possiamo notare che i livelli delle scorte stanno scendendo e che sono pronti ad acquistare”, ha concluso.
Al momento gli investitori gli stanno dando fiducia: intorno a mezzogiorno l’azione al portatore – è questo il titolo osservato dagli analisti, non l’azione nominativa – guadagnava oltre l’1%. Dall’inizio dell’anno il valore ha però perso il 12% e sensibilmente negativa è anche la performance sull’arco di 52 settimane: -21%.
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