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Dall’alabarda al corno delle Alpi

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Gli svizzeri occupano di nuovo, a 500 anni dalla disastrosa (per i confederati) Battaglia di Marignano, Piazza Duomo a Milano. Armati però questo 26 settembre di 420 corni delle Alpi invece delle alabarde che avevano terrorizzato per due secoli gli eserciti di mezza Europa. Proprio in quegli anni gli allevatori della Svizzera centrale usavano questi originali strumenti in legno per richiamare le mucche dal pascolo per la mungitura o per incitarle a raggiungere gli alpeggi più levati. Ma la sua valenza trascese ben presto le comuni attività degli allevatori. I corni alpini venivano usati per comunicare tra i versanti delle montagne e in alcuni cantoni il suono pieno del corno accompagnava le preghiere serali dei contadini. 

Con il cambio delle tecniche di produzione dei prodotti caseari, concentratasi dagli alpeggi ai caseifici in valle, se ne perse progressivamente l’uso. L’Alphorn conobbe un vero e proprio revival nel XIX secolo sull’onda del Romanticismo e, successivamente, con la nascita del turismo. L’immagine del suonatore all’ombra del Cervino diventa uno degli emblemi della Confederazione e il corno della Alpi viene definito nel 1827 dal musicologo Joseph Fétis lo “strumento nazionale svizzero”. E ancora oggi fa bella mostra di sé nei cortei dell’Associazione federale di yodel o della Federazione svizzera dei costumi tradizionali, a simboleggiare il patrimonio tradizionale svizzero.

Per non parlare di celebri musicisti che hanno scritto partiture classiche in cui figura, con ruolo più o meno rilevante, il corno delle Alpi. Tra di essi si è soliti ricordare la Sinfonia pastorella per corno delle Alpi e archi in Sol Maggiore, Leopold Mozart o Parthia, su strumenti di contadini di Georg Druschetzky. Nel 1877 J. Brahms compose la sua prima sinfonia, il cui finale è caratterizzato dal celebre assolo di corno alpino. Nel 1936 infine Richard Strauss scrisse asll’età di 14 anni il Trio Alphorn op. 15 n. 13 per soprano. Corno e pianoforte. Sono apprezzate anche le trascrizioni per corno delle Alpi di celebri composizioni come l’ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini che risuonano spesso nel corso di manifestazioni folcloristiche.

Se le finalità e i modi di suonare il corno delle Alpi cambiarono nel corso dei secoli la sua forma è invece rimasta sostanzialmente immutata fino ai giorni nostri. L’alphorn è un lungo tubo conico, ricurvo verso la fine, con la tradizionale “campana” che ricorda un corno di mucca. Fino agli anni Trenta del secolo scorso venivano utilizzati abeti giovani, cresciuti storti e dunque ricurvi nella parte bassa. I fusti di legno venivano tagliati longitudinalmente, poi se ne scavava l’interno e infine li si riassemblava con della colla.
Oggi i fabbricanti utilizzano anche altri materiali come ad esempio il frassino. Sono cambiate anche la tecniche di costruzione con i vari pezzi (alto, mediano, basso e campana) che oggi vengono incollati e scolpiti fino ad ottenere la forma finale. Queste due tipologie di lavorazione manuale (lo scavo o l’assemblaggio dei vari pezzi) richiedono grosso modo lo stesso impegno di tempo. Occorrono più di 70 ore prima di ottenere lo spessore voluto, dai 4 ai 7 millimetri. I pezzi dello strumento vengono giuntati con degli anelli e avvolti con midollino o vimini. Un tempo si utilizzavano anche strisce di lino, anelli metallici e ossi oppure radici e cortecce di ciliegio o betulla. Da un secolo circa l’aggiunta di una speciale imboccatura permette di controllare meglio il fiato e dunque i suoni.

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