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Giudici stranieri, la decisione al popolo

Spetterà al popolo svizzero - forse già in novembre - pronunciarsi se vuole o meno che il diritto costituzionale elvetico abbia la precedenza su quello internazionale. Il parlamento ha raccomandato di respingere un'iniziativa in tal senso e ha rinunciato a presentare un'alternativa da sottoporre al giudizio popolare.

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Al termine di un dibattito animato protrattosi su più giorni, la camera bassa del parlamento elvetico ha raccomandato lunedì per 127 voti a 67 di respingere l’iniziativa dell’Unione democratica di centro (Udc, destra conservatrice) “Contro i giudici stranieri”. All’iniziativa non verrà affiancato nessun controprogetto da sottoporre al giudizio popolare. Il dossier è pronto per le votazioni finali.

Depositata il 12 agosto 2016, la proposta di modifica costituzionale vuole sancire il primato del diritto costituzionale su quello internazionale e obbligare le autorità ad adeguare i trattati internazionali che contraddicono la Costituzione e a denunciarli, se necessario.

Col lancio di questa proposta di modifica costituzionale, l’Udc intende correggere una decisione del Tribunale federale del 2012, quando i supremi giudici si sono pronunciati contro l’espulsione di un cittadino tedesco condannato, appellandosi alla libera circolazione delle persone.

Nonostante le decine di oratori (se ne sono iscritti per parlare ben 83) succedutisi alla tribuna, il voto negativo finale del plenum era immaginabile fin dall’inizio delle discussioni: tutti i gruppi parlamentari, tranne ovviamente quello dell’Udc, hanno raccomandato infatti di respingere una modifica costituzionale che, a loro parere, mette in pericolo il benessere e la stabilità della Svizzera, nonché i diritti umani, un’argomentazione quest’ultima che ha fatto da filo conduttore per tutta la durata del dibattito, molto animato.

Con frequenti battibecchi tra deputati, specie quando gli esponenti del campo rosso-verde si sono rifiutati di rispondere ai quesiti dei colleghi dell’Udc, accusando quest’ultimi di voler protrarre il voto finale a settembre, ciò che obbligherebbe il Governo a spostare la consultazione popolare al 2019, anno di elezioni. 

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