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Turchia, attentato rivendicato dall’Isis

Il governo aveva bollato l'autobomba, che ha fatto 9 morti, come rappresaglia del PKK per gli arresti di membri del partito filo-curdo HDP

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L’autoproclamato Stato islamico ha rivendicato l’attentato avvenuto venerdì mattina a Diyarbakir, città a maggioranza curda del sud-est della Turchia. L’autobomba, esplosa vicino a un posto di polizia, ha causato 9 morti e un centinaio di feriti.

Il governo turco, venerdì stesso, aveva indicato il PKK quale responsabile dell’attentato. Per le autorità, si era trattato di una rappresaglia del partito dei lavoratori curdo per gli arresti di alcuni membri del partito filo-curdo HDP, tra cui il leader, Selahattin Demirtas.

Arresti che hanno suscitato la condanna della comunità internazionale e proteste in diverse città della Turchia, manifestazioni che hanno anche portato a scontri con la polizia.

Oggi, sabato, sono stati arrestati altri nove membri dell’HDP, mentre il tribunale di Istanbul ha decretato la detenzione preventiva per 9 dei 13 membri dello staff del giornale d’opposizione Cumhuriyet arrestati la settimana scorsa con l’accusa di essere legati ai ribelli curdi e di aver sostenuto il tentato golpe del 15 luglio scorso.

Arresti che rischiano di esacerbare le tensioni già presenti nel Paese e portare a nuove reazioni violente.

Il portavoce dell’HPD – il cui leader è stato tradotto in una prigione di massima sicurezza – ha parlato apertamente di rischio di guerra civile, mentre i socialdemocratici sostengono si tratti di un nuovo golpe, questa volta a firma del governo che starebbe approfittando dello stato d’emergenza proclamato a luglio – e ormai diventato permanente – per chiudere testate giornalistiche e arrestare in massa giornalisti, docenti, giudici e membri delle forze dell’ordine. Ora è il turno dei politici. Una deriva autoritaria sempre più preoccupante.

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