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Professione “Vu cumprà”

Storie di venditori ambulanti sulle spiagge della Riviera romagnola

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Spesso ci si dimentica che dietro alla parola “immigrato” c’è sempre una persona. Che ha un passato, un presente e un futuro in cui ancora spera. D’estate, sulle spiagge italiane, da quarant’anni, migliaia di stranieri passeggiano per chilometri ogni giorno con la mercanzia in spalla. Fino ad una quindicina di anni fa, il monopolio di questo commercio apparteneva, perlopiù, a magrebini e senegalesi che vendevano gioielli in argento, pietre, occhiali da sole, parei e abiti di cotone. Oggi l’offerta è più vasta: i cinesi e i bengalesi propongono anche massaggi, tatuaggi all’henné, aquiloni e gadget hi-tech. E c’è ancora chi vende merce contraffatta.

Sono stati chiamati per anni “vu cumprà”, un termine che l’Accademia della Crusca definisce un “epiteto spregiativo entrato (purtroppo) in lingua verso la fine degli anni Ottanta per indicare i venditori ambulanti, specialmente se nordafricani o di colore”.

Ogni giorno sfidano i controlli della polizia, che sono più o meno rigidi, a seconda di che parte politica gestisce la loro zona d’azione. E’ della settimana scorsa la proposta del responsabile nazionale immigrazione di Forza Italia Giorgio Silli di istituire dei checkpoint sulle spiagge per controllare i documenti di soggiorno e i permessi di vendita degli ambulanti sulle spiagge, che ha definito “un fenomeno insopportabile”.

Molti turisti, comunque, sul lettino a prendere il sole e liberi da stress e pensieri, spesso si intrattengono con gli stranieri, e scoprono che tanti di loro hanno storie personali diverse da quello che immaginavano.

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