Nel Terzo Mondo la miseria fa più paura del virus
La pandemia di coronavirus aggrava la situazione dei ceti meno abbienti nei paesi in via di sviluppo e condiziona l'attività sul campo delle ong svizzere e occidentali. Una testimonianza dalla Bolivia.
“Un gruppo ridotto di massimo tre volontari esce di casa tre volte alla settimana, nei limiti consentiti dal lockdown, per distribuire viveri e materiale sanitario e visitare a domicilio le persone più indifese”. È quanto testimonia Lisa Macconi, cooperante dell’ong svizzera Comundo a Cochabamba, città nella Bolivia centro-orientale, che spiega le difficoltà che stanno incontrando sul terreno le associazioni umanitarie con la comparsa del nuovo coronavirus.
“Paradossalmente per le persone che campano per strada, abituate a sopravvivere di espedienti in condizioni estreme, la pandemia non ha cambiato nulla. Continuano a evitare la polizia e restano indifferenti ai divieti ordinati dal governo”, indica Lisa Macconi.
Vite precarie
“Il problema è serio invece per la grande massa di quegli individui più fragili che vivono di lavoretti precari – parcheggiatori abusivi, ausiliari al mercato, venditori ambulanti di ‘street-food’ – che costretti a casa non riescono più a mettere assieme quei pochi soldi per la cena o l’affitto, rischiando magari di finire nuovamente sulla strada”. Nell’assenza di aiuti realmente efficaci dello Stato sono quindi fiorite iniziative spontanee di privati cittadini che organizzano collette a favore delle frange più deboli.
Vi è poi un secondo problema, che accomuna la realtà di Cochabamba a quella dei paesi occidentali: il confinamento coatto aumenta il rischio di violenza domestica, aggravato spesso da situazioni contingenti di povertà e alcolismo. Per questo motivo, aggiunge la cooperante svizzera è fondamentale mantenere per quanto possibile la relazione, attraverso visite a domicilio, con i soggetti vulnerabili.
Pochi posti in cure intense
Per non parlare poi della problematica di tipo sanitario che nei paesi in via di sviluppo evidenzia carenze particolari. Se da un lato il paese andino è stato colpito relativamente poco dalla pandemia – i dati aggiornati al 29 aprile dell’Oms riferiscono di 1’014 contagi e 53 decessi – dall’altro l’inadeguatezza del sistema ospedaliero balza all’occhio dal numero esiguo di posti disponibili in terapia intensiva, che sono passati da una quarantina in tutto il paese, all’inizio dell’emergenza Covid-19, agli attuali 430 indicati dal governo, ubicati peraltro in modo preponderante in strutture private.
Numeri che farebbero sicuramente collassare la sanità locale in caso di crescita della pandemia. “I dati sulla diffusione del coronavirus sono sicuramente sottostimati, in ragione dei pochi tamponi effettuati”, racconta sempre la volontaria ticinese e comunque “le terapie, anche negli ospedali pubblici, sono onerose e per questo motivo non accessibili a tutti”.
Lisa Macconi racconta la situazione da Cochabamba (Bolivia)
Differenze regionali
Sala (Comundo): “A preoccupare è soprattutto l’impatto economico sulle persone già fragili più che il numero relativamente esiguo dei contagi”
La pandemia non colpisce però uniformemente i teatri in cui operano le ong occidentali, che proprio per questo devono calibrare la loro azione in funzione delle differenze regionali. “In Colombia, in Bolivia e in Perù ad esempio ci sono dei lockdown severissimi, la gente non può uscire di casa o quasi e a preoccupare è soprattutto l’impatto economico sulle persone già fragili più che il numero relativamente esiguo dei contagi”, osserva la coordinatrice della sezione della Svizzera italiana di Comundo, Corinne Sala.
“In Africa invece, in particolare in Zambia e Kenya, non ci sono restrizioni generalizzate e omogenee. Nelle zone rurali è più difficile la loro applicazione pratica anche perché il settore agricolo, che è fondamentale in quelle regioni, deve continuare a produrre, magari con qualche precauzione in più, i beni primari”. Soprattutto dove le chiusure sono state perentorie, l’attività delle ong ha dovuto inevitabilmente subire modifiche. E i cooperanti con un quadro clinico più a rischio (ultrasessantacinquenni o con malattie pregresse) all’inizio della pandemia sono rientrati in patria mentre gli altri sono confrontati con i vincoli del confinamento.
“La metà dei collaboratori ritiene comunque di poter continuare a lavorare portando avanti i progetti di loro competenza in una misura variabile tra il 50 e l’80 per cento”, sottolinea Corinne Sala. Naturalmente in questa fase hanno acquisito una certa preponderanza gli interventi di urgenza su quelli tradizionali, di più ampio respiro. Ma la pandemia rappresenta una pesante ipoteca non solo sugli interventi in fase operativa ma anche sui progetti futuri.
Sono infatti in corso valutazioni sui cambiamenti del contesto e vengono inseriti fattori di rischio accresciuti nelle pianificazioni delle attività in loco che però non si prefigurano, viene osservato dalle ong, come stravolgimenti del programma. Anche perché le tematiche di sostegno a determinate categorie di persone resteranno attuali e, anzi, verosimilmente vedranno incrementata la loro rilevanza.
Alliance Sud: aumentare il sostegno della Confederazione
In questo quadro la minaccia più grave è costituita probabilmente da quella di tipo finanziario, che non sta risparmiando neanche i paesi occidentali, come indica Mark Herkenrath, direttore di Alliance Sud, organizzazione che raggruppa diverse ong svizzere impegnate nel Terzo Mondo. “A breve-medio termine si sa che ci sarà una recessione mondiale che avrà come effetto anche la riduzione delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo, che per questo tipo di economie sono fondamentali “, sottolinea il direttore di Alliance Sud.
Alliance Sud: “Ci sarà una contrazione delle rimesse dei migranti e questo è un ulteriore problema che va ad aggiungersi all’aumento della povertà causato dalla crisi”
È inoltre prevedibile una contrazione delle rimesse dei migranti che sono cruciali per il sostentamento di numerose popolazioni. E questo è un ulteriore problema che va ad aggiungersi, secondo Alliance Sud, all’aumento della povertà e delle disuguaglianze economiche e sociali che sono seguite alla crisi economica provocata dalle misure prese dai governi per contrastare l’emergenza sanitaria.
Per tutte queste ragioni, sostiene Mark Herkenrath, il credito-quadro 2021-2024Collegamento esterno per la cooperazione internazionale (11,25 miliardi di franchi, ndr) – che sarà discusso dalle Camere federali nella sessione estiva – non sarà sufficiente e Alliance Sud spera in un suo incremento nonostante le proposte di senso contrario provenienti dagli ambienti economici preoccupati dalla recessione interna.
Da sottolineare, sempre in tema di sostegno elvetico ai paesi maggiormente colpiti dal nuovo coronavirus, il fatto che proprio giovedì 30 aprile il governo federale ha stanziato 400 milioni di franchi per interventi a livello internazionale.
Per attenuare le conseguenze negative della pandemia nei paesi in via di sviluppo afflitti da povertà e conflitti il Consiglio federale ha deciso di concedere al Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) un prestito senza interessi di 200 milioni di franchi e di sostenere con 25 milioni di franchi un fondo del FMI, costituito per far fronte alle catastrofi. Altri 175 milioni saranno utilizzati per rafforzare le organizzazioni attive a livello mondiale e la cooperazione internazionale nella lotta contro il coronavirus.
“Noi ci stiamo preparando ai diversi scenari possibili”, aggiunge in proposito Corinne Sala (Comundo). “Pensiamo che i nostri sostenitori più fedeli che credono in quello che facciamo, continueranno ad aiutarci e speriamo che la Confederazione non faccia tagli ai contributi. Il vero interrogativo riguarda le fondazioni perché sicuramente ora, alla luce di questa pandemia globale, riceveranno richieste per interventi anche in Svizzera”.
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