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Israele finisce nella lista nera dell’ONU

Beyamin Netanyahu a un pulpito fa un gesto col braccio sinistro; dietro, bandiere israeliane
Il premier in un'immagine d'archivio. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved.

Le Nazioni Unite classificano così i Paesi e i gruppi armati che, in situazioni di guerra, commettono gravi violazioni contro i bambini. Una decisione che sta creando scompiglio a Gerusalemme.

L’ONU mette Israele nella nera di Paesi e gruppi armati che ritiene abbiano commesso gravi violazioni contro i bambini nelle aree di guerra. Una decisione del segretario generale del Palazzo di Vetro Antonio Guterres – denunciata dall’ambasciatore dello Stato ebraico Gilad Erdan – che ha scatenato l’ira della leadership israeliana, a cominciare dal premier Benjamin Netanyahu.

La lista nera comprende per la prima volta sia Israele, con l’Idf, sia Hamas e la Jihad islamica: il rapporto relativo dell’ONU sarà pubblicato ufficialmente a fine giugno. Fatto sta, hanno sottolineato i media, che un Paese democratico come Israele si trova in compagnia, a causa della guerra a Gaza, di Russia, Isis, al-Qaeda, Boko Haram, Afghanistan, Iraq, Myanmar, Somalia, Yemen e Siria.

Nei precedenti rapporti dell’ONU erano stati inclusi capitoli che riguardavano il conflitto con i palestinesi con accuse a Israele di gravi violazioni dei diritti dei bambini. Ma mai prima d’ora lo Stato ebraico era stato inserito nell’annesso finale del rapporto, che riguarda appunto “le parti che non hanno messo in atto misure durante il periodo di riferimento per migliorare la protezione dei bambini”. È questa la vera e propria lista nera, la cui elencazione spetta al segretario generale dell’ONU.

“Le Nazioni Unite – ha denunciato Netanyahu – si sono messe oggi nella lista nera della storia unendosi ai sostenitori degli assassini di Hamas”. “L’Idf – ha continuato il premier – è l’esercito più morale del mondo e nessuna decisione delirante dell’ONU potrà cambiare questa realtà”.

Anche il leader centrista e ministro del Gabinetto di guerra Benny Gantz ha parlato “di un nuovo minimo storico” nell’antisemitismo da parte delle Nazioni Unite: “Mentre Israele conduce la guerra più giusta della sua storia contro mostri che hanno massacrato, violentato e rapito neonati, donne e bambini in nome di un’ideologia omicida, l’ONU – ha accusato – traccia spudoratamente false equivalenze tra Israele e Isis”.

Il ministro degli Esteri Israel Katz ha invece bollato la decisione come “un atto cialtronesco da parte di Guterres: un passo che avrà conseguenze sulle relazioni di Israele con le Nazioni Unite”.

E mentre si accentua lo scontro tra Israele e la comunità internazionale, sabato sera potrebbe aprirsi una crisi di governo a Gerusalemme. Domani scade infatti l’ultimatum che Gantz ha posto lo scorso 18 maggio a Netanyahu intimandogli di cambiare strategia nella guerra a Gaza, a partire dal futuro governo della Striscia, pena l’uscita dall’esecutivo di emergenza nazionale. Uno scenario dalle molte incognite.

Anche se Netanyahu può contare su una solida maggioranza di seggi di destra alla Knesset infatti, l’addio di Gantz avrebbe un indiscutibile peso politico, visto che il leader centrista non solo conta forti legami con gli Usa ma potrebbe anche indurre altri nel governo – come il ministro della Difesa Yoav Gallant, anche lui in disaccordo con Netanyahu sul futuro governo a Gaza – a prendere decisioni clamorose.

Questo è il quadro che il segretario di Stato Usa Antony Blinken troverà lunedì al suo arrivo in Israele nella sua ottava visita dall’inizio della guerra. Mentre sul tavolo resta la road map rilanciata dal presidente Joe Biden – che oggi ha dato atto a Netanyahu di averlo ascoltato sull’operazione a Rafah – che al momento non è riuscita a sbloccare lo stallo nei negoziati, sebbene le trattative tra Cairo e Doha continuino.

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