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In Indonesia c’è una capitale da spostare

uomo spinge motocicletta in una strada allagata
Scene di ordinaria quotidianità a Giacarta. Keystone / Jurnasyanto Sukarno

Il presidente indonesiano Joko Widodo ha ufficialmente chiesto al Parlamento di sostenere la sua idea di spostare la capitale sull'isola del Borneo. L'attuale capitale, Giacarta, rischia di essere in parte sommersa.

Giacarta, sull’isola di Giava, sta affondando. I suoi terreni sprofondano sotto il peso degli edifici, le fondamenta sono indebolite dal pompaggio delle falde freatiche e il livello del mare sale. Se l’evoluzione continuerà al ritmo attuale, secondo gli esperti ambientali un terzo della città potrebbe essere sotto l’acqua entro il 2050.

Per questi motivi, il presidente indonesiano Joko Widodo è intenzionato a spostare la capitale in un luogo ancora da definire sull’isola del Borneo.

“Il progetto di trasferimento della capitale è serio. È deciso”, ha dichiarato Widodo, che venerdì ha chiesto il sostegno del Parlamento.

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“A ogni alluvione comincio a tremare”

La parte settentrionale della città è la più minacciata. Lì, interi quartieri lungo la costa crollano sotto il livello del mare.

“Ad ogni alluvione, comincio a tremare”, dice Rasdi, proprietario di uno stand gastronomico, interpellato dall’Agence France Presse.

“Sono quasi annegato nel 2007. Tutto quello che avevo è stato portato via e ho dovuto ricominciare da capo”, continua.

Giacarta affonda di 25 centimetri all’anno

Costruita su paludi vicino alla confluenza di 13 fiumi, le fondamenta della città – dove vivono circa dieci milioni di abitanti – sono state ulteriormente indebolite dal rapido sviluppo, con nuovi edifici e grattacieli, traffico pesante e scarsa pianificazione urbana.

Inoltre, i distretti settentrionali di Giacarta non hanno una rete di approvvigionamento idrico, per cui le industrie locali e milioni di persone dipendono dalle acque sotterranee.

Il risultato è che Giacarta affonda di 25 centimetri all’anno in alcune aree, il doppio della media globale registrata nelle principali città costiere. 

Alcune parti della città sono ora a quattro metri sotto il livello del mare e milioni di persone sono in balia di disastri naturali.

Mentre le inondazioni sono già frequenti durante la stagione delle piogge, si prevede che peggioreranno con l’innalzamento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici.

Un semplice colpo d’occhio rivela l’entità del problema: sul lungomare rimane solo lo scheletro di una moschea abbandonata, in parte sommersa. Le strade sono cosparse di vaste pozze d’acqua, il piano terra di alcune case non è più abitabile, e piccole capanne su palafitte costeggiano il lungomare disseminato di immondizia.

Dei muri e un’isola artificiale

Le autorità locali sono alla disperata ricerca di soluzioni: è stato approvato un progetto per la costruzione di isole artificiali nella baia, che fungerebbero da cuscinetto al Mare di Giava, nonché di un grande muro costiero.

Ma non c’è alcuna garanzia che il progetto, il cui costo è stimato in 40 miliardi di dollari e che è già in ritardo di anni, possa risolvere il problema.

Muri in calcestruzzo sono stati costruiti nel quartiere Rasdi e in altre zone ad alto rischio. Ma l’acqua si sta già infiltrando, diffondendosi attraverso il labirinto di vicoli e le case dei quartieri più poveri.

muri per proteggersi dalle accque
In alcune zone della capitale sono già stati eretti dei muri per proteggersi dalle acque. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved.

“Costruire muri non è una soluzione sostenibile”, afferma Heri Andreas, geologo del Bandung Institute of Technology. “Dobbiamo ripensare la nostra gestione dell’acqua”, sottolinea.

Per lui, il principale imputato è lo sfruttamento eccessivo delle falde freatiche. E senza un sistema completo di approvvigionamento idrico, non c’è modo di risolvere il problema.

Venezia, Shanghai, New Orleans e Bangkok sono anch’esse minacciate dall’acqua, ma la capitale indonesiana ha reagito troppo poco e troppo tardi, dice il geologo.

Gli altri “hanno adottato misure per mitigare il fenomeno”, dice. “È costoso”, ammette, “ma se guardiamo alle conseguenze, ne varrà la pena”.

In attesa di una soluzione che forse non verrà, la rassegnazione è a volte l’unica risposta. “Sono preoccupato, ma non posso fare nulla”, dice Rastini, 40 anni, che raschia le conchiglie delle vongole raccolte dai pescatori locali. “Da quando ero bambino, vivo qui. E rimarrò qui”.

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