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“Liberi di scegliere”, un programma per spezzare l’eredità mafiosa

bambini in un palazzo
Le Vele di Scampia, uno dei luoghi simbolo della presenza della criminalità organizzata in Italia. KEYSTONE

Un programma speciale consente alla giustizia italiana di allontanare i minori dalle famiglie mafiose per proteggerli e offrire loro una possibilità di vita diversa. Avviato in Calabria nel 2012, è stato recentemente esteso alla Sicilia e alla Campania.

Il movimento antimafia deve molto al giudice minorile Roberto Di Bella, ideatore del programma “Liberi di scegliere”, che ha una valenza sia giudiziaria che sociale. Nel 2010, mentre lavorava presso il tribunale dei minori di Reggio Calabria, Di Bella si accorse che nei casi di cui si occupava continuavano a comparire gli stessi cognomi e che i ragazzi che arrivavano nel suo ufficio erano figli di quelli che aveva processato 20 o 30 anni prima.

Il giudice escogitò quindi una soluzione che prevedeva di togliere ai mafiosi la patria potestà e di mandare i loro figli in famiglie affidatarie o in istituti, preferibilmente nel nord Italia, in luoghi tenuti segreti. Questi “bambini soldato” della mafia vengono seguiti da équipe specializzate fino al raggiungimento della maggiore età. A quel punto sono veramente liberi di scegliere se tornare nel loro ambiente di origine o continuare la nuova vita che hanno sperimentato in termini emotivi, sociali, psicologici e culturali. Dal 2012, 150 minori hanno beneficiato del programma e circa 30 donne hanno chiesto di partecipare, sia per accompagnare i figli sia per sfuggire alla morsa del loro ambiente. Alcune di loro sono diventate collaboratrici di giustizia.

persona con un libro
Al progetto “Liberi di scegliere” Roberto Di Bella ha dedicato un libro. KEYSTONE/AFP or licensors

“Viva la ‘ndrangheta!

Il programma si applica sia ai giovani delinquenti sia a coloro che non hanno commesso nulla di riprovevole, ma il cui comportamento è sufficientemente rivelatore perché le autorità decidano di intervenire. “Vanno a trovare il padre latitante, ascoltano le canzoni di ‘ndrangheta, e in classe si atteggiano magari già da mafiosi”, spiega il procuratore Roberto Di Palma, che dal 2021 dirige il tribunale dei minori di Reggio Calabria. E, come segno di disprezzo per gli “infami” in divisa, “alcuni di loro si tatuano la faccia del carabiniere sotto il tallone in modo che ogni giorno camminando la possano schiacciare “. O che dire della bambina di quattro anni che in una sala visite si mette a ballare davanti al nonno, un importante boss mafioso, e canta senza esitazione una canzone dal ritornello inebriante: “Lalala… viva la ‘ndrangheta, viva la ‘ndrangheta, lalala…”.

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cartello no mafia all entrata di un edificio

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“A casa di Cosa Nostra”, un libro per capire il mondo mafioso

Questo contenuto è stato pubblicato al Nascere in un contesto mafioso e uscirne. Nino Rizzo, psicoterapeuta e psicoanalista di Ginevra, si racconta e racconta il suo percorso da figlio di mafia in un libro intenso.

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Non ci vuole molto per passare dall’apologia dell’onorata società ai delitti più gravi, prosegue Roberto Di Palma. “Si tratta di giovani coinvolti in estorsioni e traffico di droga, che si fanno carico della gestione della famiglia in caso di assenza dei genitori e che arrivano a partecipare attivamente agli omicidi di mafia”, osserva il procuratore. Come fanno i giudici a stabilire un rapporto, se non di fiducia, almeno di “non sfiducia” con questi mafiosi in erba e i loro genitori? “Cerchiamo di disinnescare un atteggiamento bellico e quello che è una specie di contrasto sociale. Il nostro primo obiettivo è sempre di tutelare il minore e non di punire i genitori, cosa che sarebbe un effetto ‘secondario’. Diamo un concreto segnale in tal senso… e le mamme, soprattutto, questo lo capiscono, perché al di là del fatto che sono madri mafiose, sono sempre madri”.

Genitori mafiosi o meno, il principio è lo stesso in Svizzera, quando si tratta di stabilire se per un minore delinquente siano necessarie misure che possono arrivare fino alla revoca della custodia o della potestà genitoriale. Mario-Dominique Torello, ex giudice e procuratore pubblico a Ginevra, sottolinea che la situazione viene esaminata alla luce dell’interesse superiore del minore e dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, un esercizio estremamente delicato: “Il diritto penale minorile impone al giudice che sta valutando l’adozione di misure di ordinare un’indagine sociale sul minore e sul suo ambiente. La legge prevede anche la possibilità di prendere provvedimenti a favore di fratelli e sorelle che non hanno commesso un reato, un principio piuttosto interessante”.

A suo avviso, non è necessario che la legge svizzera contempli l’appartenenza dei genitori a un’organizzazione terroristica o mafiosa, “perché, in ultima analisi, è l’analisi del rapporto educativo e la protezione che i genitori devono garantire al bambino, in particolare attraverso una solida educazione, che, in caso di gravi carenze o incapacità da parte dei genitori, permetterebbe di sottrarre loro il bambino”.

Nel caso particolare dei mafiosi che condizionano i figli fin da piccoli a commettere atti di violenza, non c’è nessuna discussione possibile: “È semplicemente insopportabile”, sottolinea Mario-Dominique Torello. “D’altra parte – precisa l’ex giudice – i mafiosi che operano in Svizzera sono generalmente riciclatori di denaro, il cui comportamento discreto nella vita quotidiana e sociale li fa spesso passare inosservati. Non ritireremmo la patria potestà a persone condannate per riciclaggio di denaro se la loro attività criminale non avesse un impatto diretto sull’educazione dei loro figli”.

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Vivere liberi

Lo spirito del programma “Liberi di scegliere” non implica un obbligo di avere un risultato. Significa accettare, senza considerarlo un fallimento, che alcuni giovani possano ricadere nella mafia quando diventano maggiorenni. Il procuratore Di Palma lo dice chiaramente: ” Perché se noi avessimo questo tipo di obiettivo, per cui il fine giustifica i mezzi, useremo l’elettrochoc, le botte, la violenza mentale e non so quali psicofarmaci per far cambiare i ragazzi! Cerchiamo di offrire loro la possibilità di vedere che esiste una vita diversa, che si può vivere liberi. La possibilità, anche, di poter scegliere il fidanzato o la fidanzata. Bisogna capire che nell’ambito della borghesia mafiosa, i matrimoni sono combinati a tavolino, come avveniva in passato”.

Dopo un primo periodo costellato da accuse di rapimento di bambini, lavaggio del cervello e distruzione dell’istituzione della famiglia, Roberto Di Bella e la sua équipe sono riusciti a dimostrare la validità del loro progetto. Il programma riunisce ora diversi ministeri, tribunali, associazioni, nonché la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA) e la Conferenza episcopale italiana (CEI). Il protocollo è stato ufficialmente esteso il 28 marzo a Napoli, Palermo e Catania, dove attualmente esercita il giudice Di Bella. L’unico inconveniente è la mancanza di una legge nazionale – il progetto è in stand-by a Roma – che garantisca un’applicazione più sistematica del programma e la sua copertura finanziaria. Finora, dice il procuratore di Palma, “siamo andati avanti soprattutto grazie alla CEI, e questo dobbiamo dirlo a gran voce senza girarci attorno, che è l’unica che ha messo la mano al portafoglio ed è venuta incontro a quelle che erano le esigenze di questi ragazzi “. Almeno la Calabria, che ha adottato una legge regionale nell’ottobre 2023, ha una lunghezza di vantaggio.

Il procuratore Di Palma conclude sottolineando che la giustizia crea le condizioni per “disimparare” l’educazione mortifera ricevuta dai figli e dalle figlie dei mafiosi: “Qualcuno deve dire a questi giovani, che hanno conosciuto solo una società fatta di violenza, sopraffazione e abusi, che c’è una vita in cui si lavora per guadagnarsi il pane quotidiano, in cui non si vive alle spalle degli altri e in cui non si guadagna vendendo cocaina o eroina”.

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