Le motivazioni dell’uscita dell’Italia dalla Via della seta
I vantaggi economici sono stati molto più importanti per Pechino che per Roma.
Keystone / Wu Hao
L'Italia ha deciso negli scorsi giorni di uscire dalla Via della seta, accordo che favorisce gli scambi commerciali con Pechino e le motivazioni sono più politiche che economiche.
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tvsvizzera.it/mrj
L’Italia negli scorsi giorni è uscita ufficialmente dalla Via della Seta con una nota consegnata a Pechino. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: incontri in cui è stata confermata l’intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi e in cui sono stati avviati fra gli altri i passi preparatori per la visita del capo dello Stato italiano Sergio Mattarella l’anno prossimo in Cina.
La cosiddetta Belt ad Road Initiative, lanciata da Xi Jinping nel 2013, è uno dei cardini del piano del Paese asiatico per rafforzare la propria economia attraverso una rete di infrastrutture fra tre continenti che favorisca gli scambi. Il memorandum con l’Italia – unico Paese del G7 ad aderire – era stato firmato dal primo governo Conte nel 2019. L’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni doveva decidere se rinnovarlo o meno entro la fine del 2023. Le motivazioni, come quelle che lo erano state per l’entrata, non sono economiche, ma politiche.
Il Governo di Conte, all’epoca, strizzava l’occhio a Russia e Cina, mentre quello attuale di Meloni riporta l’Italia saldamente nel fronte NATO e occidentale. Secondo il professore di politica internazionale dell’Asia orientale presso l’Università di Bologna Matteo Dian, “il Governo Meloni, in un certo senso, si riadatta a un trend più globale di polarizzazione del sistema che è stata anche favorita dall’invasione russa dell’Ucraina. Un mondo molto più competitivo in cui è difficile porsi in una posizione intermedia”.
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I dati economici dopo il 2019 non sono stati confortanti per Roma: dalla firma del memorandum le esportazioni verso la Cina sono aumentate di poco (da 14,5 a 18,5 miliardi di euro), mentre quelle cinesi verso l’Italia sono passate da 33,5 a 50,9 miliardi di euro.
La via della seta, insomma, ha detto la premier Meloni, non ha dato i risultati attesi, “ma dobbiamo comunque mantenere e migliorare i rapporti di cooperazione”.
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