La televisione svizzera per l’Italia

A Roma tutte le cose durano un’eternità

Il Colosseo a Roma con in primo piano il cartello della nuova linea della metropolitana.
EPA/MASSIMO BARSOUM

Un'Italia dai mille volti, un Paese in bilico tra un futuro che avanza e un passato che non tramonta. C'è il volto trionfante di una leader che seduce i giovani, e quello preoccupato per un impero mediatico in vendita a mani straniere. C'è la modernità di una metropolitana che diventa un viaggio nella storia, e la nostalgia di una leggenda del calcio che racconta un mondo che non c'è più. 

Nuova metropolitana a Roma, un museo archeologico

Iniziamo questa rassegna stampa settimanale con la Berner ZeitungCollegamento esterno che dedica un reportage alla recente inaugurazione di due nuove stazioni della Metro C di Roma: un evento che, come scrive il quotidiano bernese, ha del “miracoloso”. Dopo settant’anni dalla prima linea, la capitale italiana ha finalmente tre linee metropolitane interconnesse. Il giornale ricorda con una punta di ironia le parole della scrittrice Ingeborg Bachmann che, nel 1955, in una corrispondenza radiofonica da Roma, commentava l’apertura della prima metro con scetticismo: “La metropolitana è senza dubbio molto moderna, molto bella e molto veloce”, raccontava, aggiungendo che “col tempo, Roma probabilmente riuscirà a dotarsi di una vera e propria rete metropolitana”. Una profezia che, osserva la Berner Zeitung, a quasi settant’anni di distanza, è ancora ben lontana dal realizzarsi. 

Il quotidiano della capitale svizzera analizza le ragioni di questa lentezza, definendola una questione “specificamente romana, non italiana”. A differenza di Milano o Napoli, che vantano reti efficienti, a Roma i lavori sono un’odissea senza fine. Le ruspe si sono fermate più volte, a causa della mancanza di fondi, di inchieste giudiziarie su appalti poco trasparenti e, soprattutto, per i continui e inevitabili ritrovamenti archeologici. La nuova stazione “Colosseo / Fori Imperiali” ne è la prova tangibile: si tratta di un vero e proprio museo sotterraneo. Il giornale descrive come, tra le scale mobili e i binari, si possano ammirare, protetti da teche di vetro, resti di acquedotti, ceramiche, un’antica sauna e persino una caserma di epoca romana. 

Questa convivenza tra modernità e storia, prosegue la Berner Zeitung, è la grande sfida della Città Eterna. Una sfida che ha generato anche opposizione: il giornale ricorda come nel 2013 furono raccolte firme per fermare i lavori, nel timore che le vibrazioni potessero danneggiare il Colosseo. Timori infondati, visto che l’Anfiteatro Flavio è ancora in piedi. La nuova stazione, con i suoi interni in “grigio ardesia e oro”, è ora operativa e, come scrive il quotidiano, “profuma già di metropolitana”. La corsa tra le nuove fermate è “senza dubbio molto moderna, molto bella e molto veloce”, riecheggiando le parole della Bachmann. Però, conclude la Berner Zeitung con una nota amara, il sogno della cittadinanza romana di poter contare su una mobilità efficiente è ancora lontano. Per arrivare in metropolitana fino a Piazza Venezia, infatti, bisognerà attendere il 2033. “A Roma, si sa, le cose durano un’eternità”. 

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Giorgia Meloni tra un gruppo di ragazzi e ragazze entusiaste.
KEYSTONE/EPA/RICCARDO ANTIMIANI

Giorgia Meloni, la star della gioventù 

Quanto alla politica, la Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno, in un approfondito reportage da Roma, racconta l’ultima edizione di Atreju, la festa della gioventù di Fratelli d’Italia, definendola un evento che è ormai “arrivato nel centro della società italiana”. Il foglio zurighese descrive l’atmosfera come una “miscela di Sanremo e Albisgüetli”, sottolineando la trasformazione da raduno di nicchia a passerella per l’intera classe politica italiana. “Tutti possono venire, tutti devono essere rispettati”, è la “regola sacra” dell’evento, come formulata dalla stessa Giorgia Meloni, che ha preso in prestito il nome Atreju dal protagonista de La storia infinita di Michael Ende, un simbolo della lotta contro il nichilismo che “rappresenta perfettamente la nostra visione”, come scrive la premier nella sua biografia. 

La NZZ racconta che il cuore dell’evento è la celebrazione di un percorso: “Eravamo solo pochi a credere in un’Italia forte, ora siamo la maggioranza”, recita uno degli slogan che campeggiano nei giardini di Castel Sant’Angelo. Questo orgoglio per il traguardo raggiunto è il filo conduttore della manifestazione. Il quotidiano svizzero analizza la narrazione di Meloni, che si presenta come colei che ha ereditato un’Italia “maltrattata e derisa” dalle precedenti Amministrazioni, omettendo, come nota il giornale, che i suoi principali partner di coalizione, Lega e Forza Italia, fossero pure parte di quei governi. Ciò nonostante, continua la NZZ, Meloni “gode ancora del bonus della novità” e di una fiducia che l’opposizione di centrosinistra non riesce a scalfire, contrapponendo stanchezza alla sua indiscutibile energia. 

Il foglio zurighese si sofferma anche sulla dimensione ‘familiare’ del successo di Meloni e del suo partito. La madre della premier, Anna Paratore, ricorda in un’intervista gli inizi, quando la loro casa era una “sede di partito improvvisata”. “Ora sono ministri, sottosegretari, parlamentari, ma io li ho visti tutti in calzoncini corti”, racconta, descrivendo un viavai di giovani che “venivano per mangiare spaghetti e bere caffè”. Sono storie, commenta la NZZ, che alimentano nei giovani “il bisogno di appartenere”, trasformando Atreju e Fratelli d’Italia in una ‘”nuova patria”. 

Infine, il giornale evidenzia quello che definisce un “particolare eclettismo politico” e un “potpourri ideologico”. La NZZ nota come sul palco di Atreju si citino figure come l’icona della sinistra Antonio Gramsci o il regista Pier Paolo Pasolini, provocando le accuse di “appropriazione culturale” da parte della sinistra. Questo sincretismo, conclude il giornale, sembra essere una delle chiavi per attrarre i giovani, mentre i segni più controversi del passato, come la fiamma tricolore nel logo del partito, sono “diventati invisibili”, almeno nell’allestimento della festa nei pressi della Basilica di San Pietro. 

Un giornale in stampa.
Keystone / Ti-Press / Alessandro Crinari

Verso la scomparsa del gruppo editoriale Gedi

Sempre la Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno torna ad occuparsi del panorama mediatico italiano, inserendo la notizia della possibile vendita del gruppo Gedi in un contesto di crescenti tensioni. Il foglio zurighese menziona le speculazioni su un tentativo di controllo della RAI da parte del Governo, l’attentato al giornalista Sigfrido Ranucci e un’aggressione alla redazione de La Stampa come segnali di un clima difficile per l’informazione. In questo scenario si inserisce la decisione di John Elkann, erede della famiglia Agnelli, di cedere il gruppo editoriale Gedi, che include testate storiche come la Repubblica e La Stampa. La NZZ scrive che trattative sono in corso con l’imprenditore greco Kyriakou, la cui famiglia, arricchitasi nel settore degli armamenti, possiede già un vasto impero mediatico nell’Europa dell’Est. 

La notizia, riporta il quotidiano svizzero, ha provocato un’ondata di reazioni. Nonostante le voci di un disimpegno di Elkann circolassero da tempo, la conferma ha portato allo sciopero immediato delle redazioni interessate, e a critiche provenienti da tutto l’arco politico. La NZZ dà ampio spazio alle dure parole del liberale Carlo Calenda, ex manager del gruppo Agnelli, secondo il quale per Elkann i giornali non hanno più valore strategico. Vendute le attività industriali, afferma Calenda, non è più necessario “tenere a bada politica e sindacati”. Il foglio zurighese riporta anche l’ipotesi di Calenda di una futura chiusura degli stabilimenti Stellantis in Italia, accusando Elkann di aver “distrutto in una generazione ciò che era stato costruito in 125 anni con il sostegno dello Stato italiano”. 

Il quotidiano di ispirazione liberale evidenzia anche la reazione preoccupata del Governo Meloni. La premier, solitamente critica verso i media Gedi, ha convocato le parti per discutere di occupazione e indipendenza editoriale. La vera preoccupazione di Palazzo Chigi, suggerisce la NZZ, potrebbe essere l’arrivo di un proprietario straniero in un settore così strategico. Il tutto si inserisce, come contestualizza il quotidiano, nella profonda crisi dell’editoria. La Repubblica, che negli anni d’oro vendeva ogni giorno 700’000 copie, oggi si attesta su 100’000, e il gruppo Gedi ha chiuso il 2024 con perdite per oltre 45 milioni di euro. 

Infine, la NZZ ricorda il ruolo storico de La Repubblica, fondata quasi 50 anni fa da Eugenio Scalfari come voce liberale e “biotopo per gli ambienti urbani e riformisti”. La sua possibile vendita, conclude il quotidiano zurighese citando il giornalista Luca Telese, è vissuta in quegli ambienti con “rassegnazione e malinconia”, e come un rischio per la democrazia: “Un Paese in cui un grande gruppo editoriale scompare da un giorno all’altro è un Paese in cui l’informazione libera è meno libera. E un Paese in cui l’informazione libera è meno libera è un Paese in cui la democrazia è in pericolo”. 

Antognoni in azione con la maglia del Losanna.
KEYSTONE/Str

Giancarlo Antognoni e il suo legame con Losanna 

Per concludere, un po’ di sport. In occasione della partita di Conference League giocata giovedì tra Losanna e Fiorentina (RISULTATO), il quotidiano vodese 24 HeuresCollegamento esterno ha intervistato Giancarlo Antognoni, leggenda del calcio italiano, bandiera Viola e campione del mondo nel 1982, definito dal giornale il perfetto “ponte” tra i due club. L’ex “numero 10”, che ha concluso la sua carriera proprio sulle rive del Lemano, è descritto come un’icona di classe ed eleganza, “come se il David di Michelangelo fosse improvvisamente diventato capace di muoversi e giocare a calcio”. 

Antognoni racconta al giornale i suoi “bei ricordi” di Losanna, città a cui è ancora legato anche perché vi è nata la figlia Rubinia. Spiega di essere arrivato in Svizzera dopo un grave infortunio (doppia frattura di tibia e perone), quando l’offerta del Losanna, fortemente voluta dall’allenatore Umberto Barberis, arrivò “al momento giusto”. Fu una scelta per chiudere la carriera con dignità, senza “accanirsi” in Serie B o C. Il suo arrivo fu reso possibile da una colletta di una decina di imprenditori italiani della regione, che gli garantirono uno stipendio di circa 70’000 franchi al mese, “molto più di quanto guadagnassi a Firenze”, ammette. 

24 Heures riporta aneddoti che ne sottolineano l’umiltà, come il rifiuto di essere chiamato “Signor Antognoni” (“Ero Giancarlo”) e l’abitudine di accompagnare i giovani compagni, come Christophe Ohrel, all’allenamento con la sua bella auto. L’intervista tocca anche la sua celebre “classe”, quella di chi giocava “guardando le stelle”, soprannome che, spiega, derivava dal suo stile di gioco a testa alta. Antognoni confessa al quotidiano di non aver mai voluto fare l’allenatore perché si ritiene “troppo gentile” per un ruolo che richiede scelte “cattive”. 

Il quotidiano romando raccoglie anche le sue riflessioni sul calcio moderno, che trova “meno spettacolare”. Antognoni lamenta la scomparsa del suo ruolo, il numero 10, e il fatto che “l’intensità fisica ha preso il sopravvento sulla follia”. Critica anche l’individualismo crescente, alimentato da smartphone e social media, che ha cambiato la vita di gruppo. “Oggi il calciatore diventa molto giovane il capo della sua piccola impresa”, afferma, notando come il “Dio denaro” spinga molti giovani talenti verso campionati come quello saudita, anche se lui cerca di convincere i giovani dell’Under 21 a rimanere in Europa. 

Infine, Antognoni rivela a 24 Heures il motivo della sua assenza alla partita: un addio difficile con la dirigenza della Fiorentina nel 2021. “Per rispetto dei tifosi, non sarò a Losanna”, dichiara, spiegando di non andare più allo stadio a vedere la Viola e di preferire guardare in televisione questo match per lui così speciale. 

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