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“I bimbi disagiati in Italia sono solo un business”

Parla Antonella Penati, madre di Federico, ucciso a 8 anni dal padre durante un incontro nel centro socio sanitario di San Donato Milanese

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“I bambini in Italia non vengono protetti e i loro diritti sono calpestati e trasformati in un vero e proprio business per case famiglia, periti, avvocati… Mio figlio è stato violato nel suo diritto alla vita. Hanno violato il mio diritto di essere una mamma… Mi hanno lasciata sola dopo avermi distrutta… eppure queste persone continuano ad operare in ambiti sociali e assistenziali. È scandaloso”.

Antonella Penati, 52 anni, è la mamma del piccolo Federico Barakat, il bambino di otto anni ucciso dal padre il 25 febbraio del 2009 nel corso di un incontro protetto all’interno dell’Asl di San Donato Milanese. “Federico è stato ucciso da un uomo più volte segnalato come disturbato e aggressivo, e già condannato per violenze… durante quell’incontro che avrebbe dovuto essere protetto mio figlio è stato lasciato da solo… Ma la Cassazione ha assolto educatore ed assistenti sociali e mi ha condannata a pagare anche le spese processuali. Secondo i giudici, i tre operatori non avevano l’obbligo di tutelare mio figlio fisicamente”.

Mohammed Barakat entrò nel centro socio sanitario di via Sergnano a San Donato armato di pistola e di un coltello da cucina: “Avrebbe potuto fare una strage… Ma nessuno ha visto un pericolo davanti a un uomo in evidente stato confusionale, con indosso il pantalone di un pigiama, sporco e trasandato. Ha accoltellato mio figlio 37 volte. Federico ha cercato di scappare, di difendersi… aveva le mani tagliate fino ai polsi. Dov’erano gli assistenti sociali? Dov’era l’educatore?”.

Non in quella stanza, evidentemente. Quegli stessi operatori non sono mai stati rimossi dal loro incarico, d’altronde non sarebbero responsabili, secondo i giudici. Abbiamo più volte provato a contattarli ma di “quella vicenda non intendono parlare con i giornalisti”. Non ha voluto commentare o spiegare neanche l’educatore che in aula ammise di essersi assentato “per pochi attimi” durante quella visita protetta, lasciando un bambino di otto anni da solo col suo carnefice.

“L’autopsia ha stabilito che Federico è morto dissanguato dopo 50 minuti di agonia. Cinquanta minuti, non pochi attimi. Nessuno in tutto quel tempo lo ha soccorso. Neanche quell’educatore che è stato il primo a chiedermi i soldi per le spese processuali… e che mi chiederà pure i danni. Ma sono stata io a perdere il mio unico figlio… Che legge è questa?”. A quell’educatore che abbiamo cercato nella cooperativa sociale dove lavora e pure nel comune dell’hinterland milanese dove ricopre la carica di assessore al Welfare, avremmo voluto chiedere dove andò in quei pochi attimi…

Antonella Penati ha già presentato un ricorso alla Corte di Strasburgo perché quella sentenza rischia di creare un pericoloso precedente.

Sul sito dell’associazione “Federico nel cuore”Collegamento esterno, voluta da Antonella Penati in memoria di suo figlio Federico, è possibile firmare una petizione online per cambiare la legge “perché un bambino non può morire se affidato alla vigilanza di assistenti sociali ed educatori. Non devono più esserci genitori ostaggio di cooperative e centri di accoglienza, né bambini utilizzati solo come fonte di reddito”.

Fra le firme finora raccolte c’è anche quella del premio Nobel Dario Fo, da subito schierato a sostegno di questa madre che chiede giustizia per suo figlio.

di Raffaella Fanelli

Altre informazioni: http://buonacausa.org/cause/giustizia-per-federico-barakatCollegamento esterno

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