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Frontalieri e gli ostacoli del telelavoro

Un cuoco fotografato a casa sua vestito tutto punto.
Keystone / Magali Girardin

Da lunedì 18 gennaio, tra le nuove misure restrittive decise dal governo federale c’è anche l’obbligo del telelavoro. L’esecutivo scrive infatti nell’ordinanza per combattere la pandemia che “qualora per la natura dell’attività ciò sia possibile e attuabile senza un onere sproporzionato, i datori di lavoro provvedono affinché i lavoratori adempiano da casa i loro obblighi lavorativi”.

La situazione non è nuova. Già durante la prima ondata della pandemia, il telelavoro è stato uno degli strumenti principali per combattere il diffondersi dei contagi: a metà aprile quasi un lavoratore su due in Svizzera lavorava da casa. Anche durante questa seconda ondata, viste le cifre poco incoraggianti dei contagi, delle ospedalizzazioni e dei morti (vedi riquadro a lato), le autorità federali hanno deciso di ripresentare la misura, dove possibile, del lavoro a distanza.

Come pubblica l’Ufficio federale di sanità pubblicaCollegamento esterno, nelle ultime due settimane (dal 31 dicembre 2020 al 14 gennaio 2021) in Svizzera i contagi sono stati 39’513 (457 ogni 100’000 abitanti). Le ospedalizzazioni sono state 1352. I decessi confermati sono stati 691, ossia 8 decessi ogni 100’000 abitanti. 

Il telelavoro assume dei connotati particolari se a esercitarlo sono i frontalieri. Dei circa 70’000 che ogni giorno varcano il confine italo-svizzero per lavorare in Ticino, la maggior parte è attiva nel terziario (circa il 65%). Dunque, un settore particolarmente flessibile che può ripiegare sul telelavoro spesso senza che l’attività venga penalizzata. Con un grosso “ma”.

“È difficile stabilire quale percentuale del frontalierato passerà al telelavoro. Il problema – sottolinea Eros Sebastiani, presidente dell’associazione Frontalieri Ticino sentito dal Corriere del Ticino – è che la maggior parte dei frontalieri lavora nel terziario, dove è più facile che siano a contatto con dati sensibili, dati che non possono essere portati (anche se solo per il telelavoro) in un’altra Nazione”.

Sicurezza informatica

L’aspetto della sicurezza informatica aperto dal telelavoro non è da sottovalutare. Durante l’isolamento parziale di metà aprile, quando come detto quasi la metà delle persone attive in Svizzera lavorava da casa, il Centro nazionale per la sicurezza informatica (NcscCollegamento esterno) ha recensito un crescente numero di segnalazioni di frode, quasi 400 alla settimana contro i poco più di 100 casi settimanali di inizio 2020.

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Con la seconda ondata e il ritorno del telelavoro, gli attacchi sono ricominciati ad aumentare per raggiungere nella prima settimana di gennaio i livelli di metà aprile. Proprio per questi motivi diverse aziende sono contrarie al telelavoro.

L’utilizzo di computer personali, connessioni non sicure, debolezza in materia di autenticazione per accedere ai sistemi interni, sono tutte porte d’accesso che i pirati non esitano a forzare. Ma ci sono anche rischi tangibili più elevati, come quello di farsi rubare del materiale o lasciarsi scappare delle informazioni strategiche, catturate da occhi e orecchie indiscrete. Tutti aspetti che non incentivano il telelavoro, peggio ancora se svolto in un’altra nazione. (Per approfondire il tema, leggete l’articolo qui a lato).

Questioni fiscali

Oltre alla questione della sicurezza, c’è un problema ancora più grande: la tassazione del reddito. Secondo il principio ‘si pagano le imposte dove si lavora’, un frontaliere in telelavoro dovrebbe a questo punto pagarle in Italia. “Nonostante il tema stia esplodendo in tutta la sua forza solo in questi mesi – spiega Andrea Puglia dell’Ufficio frontalieri del sindacato Ocst – il nostro sindacato è attivo sull’argomento da anni e ha già avuto modo in più occasioni di approfondirne questo aspetto”.

Nel caso dei lavoratori frontalieri il telelavoro sottostà ad alcuni vincoli e limiti ben precisi. Riassumendo, il frontaliere può trascorrere in telelavoro al massimo il 25% del tempo totale annuo di lavoro (quindi circa un giorno a settimana per un contratto al 100%). “Se si supera questa soglia – chiarisce Andrea Puglia – l’azienda svizzera è tenuta a pagare i contributi sociali italiani all’INPS e a interrompere quelli elvetici”.

Inoltre, il lavoratore è tenuto a dichiarare in Italia la porzione di reddito maturata durante i giorni trascorsi in telelavoro da casa. Significherebbe anche diminuzione delle entrate per il canton Ticino e aumento delle imposizioni per i datori di lavoro. “Fanno eccezione – precisa Puglia – i frontalieri residenti oltre la fascia di frontiera, i quali sono già tenuti a dichiarare l’intero reddito annuale in Italia”.

Ostacolo superato

Queste norme sono un grande ostacolo per il telelavoro dei frontalieri. Per evitare la doppia imposizione, le autorità svizzere e quelle italiane il 20 giugno scorso hanno trovato un accordo amichevole per precisare i contorni fiscali dei lavoratori frontalieri che, in periodo di pandemia hanno applicato o applicano il telelavoro.

L’intesa bilaterale prevede che «in via del tutto eccezionale e provvisoria» i giorni di lavoro svolti da casa dai frontalieri per conto di un’azienda svizzera «a seguito delle misure adottate per combattere la diffusione del Covid-19», sono considerati come giorni di lavoro svolti in Svizzera. 

Problema risolto per Andrea Puglia: “Grazie a questo Accordo sono stati sospesi i vincoli legali che, fuori dalla pandemia, limiterebbero l’utilizzo del telelavoro per i frontalieri e costringerebbero i lavoratori a dichiarare in Italia ai fini fiscali la fetta di reddito maturata durante gli stessi giorni trascorsi in home office”.

L’Accordo amichevole, sottoscritto il 20 giugno con effetto retroattivo al 24 febbraio, è scaduto il 30 giugno 2020. “Tacitamente – spiega ancora Andrea Puglia – questo accordo viene rinnovato fino a quando anche solo in uno dei due Stati permarranno in vigore disposizioni legali particolari di contrasto al Covid-19”. In effetti con la Francia, ad esempio, la Svizzera ha prolungato un’intesaCollegamento esterno simile fino al 31 marzo 2021.

“Crediamo che il telelavoro, se ben regolamentato e controllato –  conclude Andrea Puglia del sindacato Ocst – possa essere uno strumento molto utile per aiutare la conciliazione tra il lavoro e la vita privata anche e soprattutto durante la pandemia. Una buona prassi di responsabilità sociale che porta benefici anche sul piano della mobilità stradale e della tutela dell’ambiente”.


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