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Non cambieranno le tasse per i “vecchi” frontalieri

Veicoli in coda a un valico di frontiera.
Veicoli in coda a un valico di frontiera. Keystone / Jean-Christophe Bott

Roma si impegna con i sindacati a mantenere invariato il carico fiscale per le lavoratrici e i lavoratori transnazionali attivi da anni oltre confine ai quali le autorità elvetiche applicano il nuovo regime tributario.

Non è la quadratura del cerchio ma un piccolo passo in avanti a favore delle lavoratrici e dei lavoratori transnazionali impiegati in Svizzera.

Nell’incontro di mercoledì a Roma i sindacati hanno ricevuto assicurazioni su alcuni aspetti relativi al nuovo regime fiscale che aveva creato più di una fibrillazione all’interno di questa categoria di dipendenti.

Tassazione invariata dei “vecchi” frontalieri

In particolare il ministro dell’economia e delle finanze (MEF) Giancarlo Giorgetti ha fornito conferme riguardo al mantenimento del precedente trattamento tributario per i cosiddetti “vecchi” frontalieri, alla retribuzione convenzionale e al contributo statale ai Comuni della fascia di confine, finanziato da una quota delle imposte alla fonte prelevate dai Cantoni svizzeri (Ticino, Grigioni e Vallese), i cosiddetti ristorni.

L’accordo, indica a chiare lettere una nota diffusa in serata dal MEF, “pone fine a una lunga discussione in materia e prevede, tra l’altro, per i cosiddetti vecchi frontalieri dei comuni entro 20 km il mantenimento del carico fiscale precedentemente in vigore”.

Cambio di regime discriminatorio

La novità è data dal fatto che Roma intende risolvere alcune questioni specifiche che erano emerse con il cambio di regime fiscale per alcune categorie particolari. Il discorso è eminentemente tecnico ma ha conseguenze assai rilevanti per le tasche delle salariate e dei salariati coinvolti.

In sostanza la novità riguarda una specifica categoria di lavoratori e lavoratrici che con l’entrata in vigore del nuovo accordo italo-svizzero vengono considerati “nuovi” frontalieri dalle autorità svizzere, perdendo il trattamento fiscale privilegiato (tassazione esclusiva della Confederazione), nonostante fossero già titolari di un permesso G (frontaliere) rilasciato da uno dei tre cantoni coinvolti (Vallese, Grigioni o Ticino).

L’accordo fiscale italo-svizzero del dicembre 2020 distingue tra “vecchi” e “nuovi” frontalieri. I primi continuano ad essere tassati alla fonte unicamente dalla Confederazione e una quota del prelievo (31,2%) viene riversato, via Roma, ai Comuni della fascia di confine (ristorni). Ai secondi, assunti dopo il 17 luglio 2023, viene applicata una doppia imposizione: i Cantoni trattengono l’80% delle imposte di loro spettanza e l’Agenzia delle entrate tassa a sua volta i loro redditi in base alle aliquote IRPEF ordinarie, dedotta la parte prelevata dalla Svizzera (e una franchigia di 10’000 euro). A queste due categorie si sono poi aggiunti gli ex frontalieri “fuori fascia”, tassati ora in Italia nonostante risiedano entro 20 km dal confine.

Interpretazione estensiva

Per Roma il requisito dei 20 km dal confine, a differenza della Svizzera, deve essere valutato in maniera estensiva per la definizione dello statuto di frontaliere e per evitare discriminazioni ha deciso unilateralmente di mantenere globalmente invariata la tassazione per questo segmento di salariati/e, ovviamente per la parte di sua competenza, provvedendo a ridurre l’aliquota in modo proporzionale alla compensazione voluta.

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Lunga colonna di auto al valico di Chiasso.

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Una modifica in tal senso del testo italo-svizzero richiederebbe infatti la riapertura di trattative e un ulteriore lungo iter di ratifica. 

Nuove misurazioni

C’è poi un secondo aspetto che concerne le lavoratrici e i lavoratori italiani considerati erroneamente “fuori fascia”. La questione è sorta dal fatto che le e i residenti di 72 Comuni italiani – 20 in Lombardia, 15 in Piemonte, 34 nella Valle d’Aosta e 3 nel Trentino-Alto Adige – erano finora collocati giuridicamente oltre la soglia di 20 km dal confine che garantisce il regime fiscale speciale, vale a dire l’esenzione dal fisco italiano, nonostante la distanza sia inferiore.

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Lo ha recentemente certificato l’Istituto geografico militare di Firenze, su precisa richiesta del ministero dell’economia e delle finanze (MEF). Le autorità ticinesi, ad esempio, facendo riferimento alla lista ufficiale concordata tra i due Paesi continua a ritenerli alla stregua dei “nuovi” frontalieri, anche se attivi da anni nel cantone italofono. E non intende, in virtù del quadro legale vigente, iniziare a versare i ristorni in favore di questo Comuni.

Vi sono poi in questioni legate alla definizione della distanza: i 20 km venivano infatti calcolati in alcuni casi funzione del luogo di lavoro e non dalla frontiera, creando così disparità tra dipendenti transfrontalieri. Da parte italiana si rileva in proposito che sono sorte interpretazioni difformi tra gli stessi Cantoni.

Resta la questione della tassa della salute

La questione è ben lungi dall’essere chiarita in tutti i suoi aspetti e comunque le novità andranno ancorate in un disegno di legge che è attualmente all’esame del MEF. Il dato politico, su cui concordano forze sociali, partiti e analisti/e, è costituito dal metodo apprezzato unanimemente che è stato adottato e che coinvolge tutti gli attori interessati.

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Sullo sfondo resta la vicenda, che mantiene ampi margini di incertezza, riguardante la tassa della salute contenuta nell’ultima legge di bilancio, a carico dei “vecchi” frontalieri, con cui il Governo intende incentivare medici e personale sanitario delle regioni di confine a non trasferirsi oltre frontiera. Ma questo è un altro capitolo.

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