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Non basta più un buon salario per attirare nuovi frontalieri in Ticino

Il confine tra Chiasso e Ponte Chiasso.
Attraversare la frontiera per lavorare in Ticino diventa meno interessante per i lavoratori italiani qualificati. KEYSTONE

Il salario elvetico, seppur più alto rispetto a quello dei Paesi confinanti, non basta da solo per attirare in Svizzera lavoratrici e lavoratori stranieri. Le persone frontaliere dall’Italia non accettano più un lavoro in Ticino immediatamente e spesso rifiutano. Cosa sta succedendo? Le nuove generazioni puntano maggiormente sull'equilibrio tra lavoro e vita privata. 

Il salario resta la carta più importante che la Svizzera e il Canton Ticino possono giocare per attirare nuova manodopera estera, soprattutto quella italiana. Ultimamente però, diventa sempre più difficile reclutare nuovo personale puntando unicamente sulla retribuzione. Lo conferma Annalisa Job, VP Marketing and Communication di Adecco, leader mondiale in mediazione lavorativa: “Lo stipendio più alto non è sempre sufficiente per attirare manodopera qualificata. Oltre a salari competitivi, sono importanti anche benefit come la formazione continua, l’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili per le giovani famiglie, le opportunità di sviluppo della carriera e un ambiente di lavoro stimolante”.  

Nonostante la difficoltà nel reclutare nuove leve sia un dato di fatto, confermato da sindacati e padronato, Annalisa Job non è totalmente negativa sulla situazione del mercato del lavoro ticinese: “il mercato ticinese resta ancora interessante per le persone frontaliere, ma anche per gli altri cittadini e cittadine dell’UE che vogliono stabilirsi in Ticino a lungo termine. La Svizzera diventa particolarmente interessante per le specialiste e gli specialisti qualificati provenienti dall’estero che sono multilingue e che idealmente conoscono anche la Svizzera come Paese”. 

Nuovo accordo fiscale meno vantaggioso

Molte cose sono cambiate soprattutto dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale tra Svizzera e Italia che penalizza i nuovi frontalieri tassati in Italia. Forse proprio per evitare il fisco italiano si assiste a una nuova tendenza fotografata da Annalisa Job: “Ci troviamo davanti al fenomeno di coloro che desiderano lavorare e stabilirsi in Ticino a lungo termine e non più condurre una vita da frontalieri”. 

“Il mercato ticinese resta ancora interessante per i frontalieri, ma anche per gli altri cittadini dell’UE che vogliono stabilirsi in Ticino a lungo termine”.

Annalisa Job, VP Marketing and Communication, Adecco

Una tendenza che è stata rilevata anche dal sindacalista dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese OCST Andrea Puglia che monitora da vicino la realtà del lavoro transfrontaliero: “Diverse lavoratrici e diversi  lavoratori italiani in questi primi mesi dall’entrata in vigore del nuovo accordo, a differenza di quanto accadeva in passato, stanno prendendo in seria considerazione l’ipotesi di venire a vivere stabilmente in Svizzera, con un permesso B”.   

D’altra parte, la tassazione in Italia diventa molto pressante quando il reddito imponibile supera i 50-60’000 franchi, la retribuzione a partire dalla quale diventa interessante  venire a lavorare in Svizzera. A quel punto il o la lavoratrice italiana deve decidere se optare per una vita da frontaliera, con i relativi sacrifici e con un onere fiscale importante, oppure andare a vivere in Svizzera che, nonostante sia oggettivamente più cara, a conti fatti, potrebbe essere una soluzione vantaggiosa: forse un po’ meno soldi in tasca ma migliore qualità di vita, potendo eliminare gli spostamenti giornalieri nel traffico congestionato. 

Come precisa però Daniela Bührig, vicedirettrice dell’Associazioni industrie ticinesi (AITI) “è vero che il reclutamento di manodopera diventa sempre più difficile, dire però che questo sia dovuto al nuovo accordo italo-svizzero sull’imposizione delle persone frontaliere è ancora prematuro. Anche perché siamo in un momento in cui le aziende sono già alle prese con una potenziale, grave carenza di manodopera legata alle dinamiche demografiche”. 

Problema demografico

Sulla carenza di personale qualificato pesano proprio i fattori demografici. Quando i babyboomer saranno tutti in pensione, le stime indicano che potrebbero mancare nei prossimi 5 anni decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori. “Noi già sappiamo – aggiunge Bührig – che le persone pronte a entrare nel mondo del lavoro saranno molte meno rispetto a quelle che andranno in pensione. La stessa cosa sta succedendo in Italia”. 

I dati parlano chiaro. Si va incontro a una mancanza di manodopera. Uno studioCollegamento esterno di Edoardo Slerca, ricercatore della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, pubblicato dall’Ufficio di statistica del Canton Ticino, riferisce che entro i prossimi 9-10 anni 13’500 frontalieri e frontaliere andranno in pensione. Nello stesso arco temporale, altri 10’000 potrebbero uscire volontariamente dal mercato del lavoro ticinese perché, come detto, lavorare in Ticino diventa meno attrattivo e la tassazione concorrente disincentiva molti candidati e candidate dall’Italia. 

Attualmente le aziende ticinesi sono interessate a profili qualificati, in ambito tecnico e con ottime conoscenze linguistiche”.

Annalisa Job, VP Marketing and Communication, Adecco

In questa situazione decisamente tesa, gli imprenditori locali sono sempre alla ricerca di nuovi profili professionali: “Attualmente le aziende ticinesi – continua Annalisa Job – sono particolarmente interessate a profili qualificati, in ambito tecnico e con ottime conoscenze linguistiche. Settori come l’informatica, la finanza e l’ingegneria sono costantemente alla ricerca di nuovi dipendenti, mentre altri settori come il manifatturiero e l’agricoltura potrebbero avere più difficoltà a trovare personale qualificato”. 

Un’analisi condivisa da Andrea Puglia che aggiunge: “Le aziende ticinesi continuano a cercare queste figure professionali prevalentemente all’estero”. 

Vanno però ancora forte l’edilizia e la metalmeccanica e naturalmente il settore sociosanitario, anche se, soprattutto in quest’ultimo ambito, il salario inizia a non bastare più per attirare le persone formate. 

“È chiaro – spiega Andrea Puglia – che ancora oggi, al netto della nuova tassazione in Italia, da un punto di vista retributivo all’infermiere italiano conviene lavorare in Svizzera. A fine mese può contare su uno stipendio doppio di quello italiano. Però notiamo che diversi infermieri italiani rifiutano il lavoro in Ticino. Questo perché lavorando in Italia non devono fare spostamenti importanti, che sono sempre più massacranti, hanno un orario di lavoro settimanale inferiore e molti più congedi. Hanno inoltre più settimane di ferie e soprattutto hanno protezioni contrattuali molto molto importanti”. 

Concorrenza tra le aziende

Viviamo dunque un momento in cui la carenza di manodopera specializzata porta ad aumentare in modo marcato la concorrenza tra le aziende per accaparrarsi i migliori profili. “Le aziende si contendono i profili migliori, è vero. Tuttavia, nella pratica, – chiarisce Annalisa Job – si tratta in genere di gestire le aspettative e di garantire che si realizzi effettivamente il miglior abbinamento possibile tra azienda e candidato. Raramente un candidato soddisfa al 100% tutti i criteri dell’azienda e viceversa”. 

“Le aziende ticinesi continuano a cercare le nuove figure professionali prevalentemente all’estero”.

Andrea Puglia, Ufficio frontalieri del sindacato OCST

Cosa deve offrire un datore di lavoro per attirare manodopera specializzata nella propria azienda? “Per attirare manodopera in azienda – risponde Annalisa Job – è importante offrire un pacchetto retributivo competitivo, ma anche opportunità di sviluppo professionale, un ambiente di lavoro positivo, flessibilità in termini di orari”. 

Senza dimenticare la possibilità di lavorare a distanza. “Sì, lo smart working è un tema assolutamente attuale – sottolinea Annalisa Job – come pure la flessibilità oraria che renda più conciliabile la vita professionale con quella personale”. 

Accordo sul telelavoro “penalizzante”

La Svizzera ha trovato un’intesa sul telelavoro con l’Italia dove le persone frontaliere possono lavorare da casa fino al 25% del loro tempo di lavoro senza che questo abbia un impatto fiscale. 

Una soluzione decisamente punitiva secondo il sindacalista Andrea Puglia: “Noi abbiamo partecipato a diversi tavoli di lavoro. Ogni volta che si ipotizzava di fare degli accordi con la Svizzera sul telelavoro, la risposta italiana era sempre la stessa: no al telelavoro. L’Italia vuole tenersi stretta la manodopera qualificata. Il ragionamento delle autorità italiane è semplice: se concediamo ai frontalieri e alle frontaliere il telelavoro, saranno ancor più incentivati a lavorare in Svizzera”. 

“Le nuove generazioni chiedono sempre di più il telelavoro. Se l’azienda ticinese non lo può offrire per via dell’accordo italo-svizzero, è ovvio che il Ticino perde di attrattività”.

Daniela Bührig, vicedirettrice di AITI

Soluzione punitiva anche secondo Daniela Bührig di AITI perché sempre più professioni oggi possono essere svolte da remoto. “Le nuove generazioni – ricorda Bührig – chiedono sempre di più questo tipo di lavoro. Se l’azienda ticinese non può offrire il telelavoro diffuso per via dell’accordo italo-svizzero, è ovvio che da un punto di vista di un lavoratore straniero il Ticino perde di attrattività e si rischia di farsi sfuggire molte figure professionali di alto profilo, proprio quelle che tendenzialmente preferiscono avere la possibilità di lavorare da remoto”. 

Vita professionale, vita privata

Per attirare le nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori, occorre conoscere le loro priorità. “Nel 2022 – spiega Andrea Puglia – i colleghi della CISL italiana hanno condotto un sondaggio tra i propri iscritti. Parliamo di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori quindi si tratta di un sondaggio rappresentativo. Alle persone veniva chiesto di indicare loro qual è secondo loro la componente del contratto più importante. Il salario era solo al terzo posto. Al primo posto c’era il welfare, quindi tutto il tema della previdenza sociale, e al secondo posto c’erano le forme di conciliabilità tra lavoro e vita privata”. 

Questo indica che il mercato del lavoro è cambiato come pure chi lavora. “Sì – conclude Annalisa Job – l’equilibrio tra lavoro e vita privata è un fattore estremamente importante nella scelta dell’impiego e del datore di lavoro, soprattutto per le persone giovani ma anche per le famiglie. È in corso un ripensamento”. 

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