Dalla metropoli alla montagna
La scelta forte di un giovane che ha deciso di trovare rifugio sui monti tra Ticino e Italia, in un paese che ha meno di 10 abitanti, collegato al mondo solo da 1'400 antichi gradoni.
Un giovane di 20 anni ha deciso di andare a vivere a Monteviasco. Pare nulla, ed invece è una notizia che ha qualcosa di storico e per diversi motivi. Dal novembre 2018 questo borgo montano in Val Dumentina nel Varesotto, ai confini con l’alto Malcantone – in Svizzera – è infatti isolato dal resto del mondo dapprima a causa di un tragico incidente costato la vita al manutentore della funivia e poi per la difficoltà di trovare cooperative disposte a prendere in mano il servizio di trasporto pubblico.
Oggi Monteviasco è collegato solo attraverso una mulattiera di 1’400 antichi gradoni in sasso: dal primo posteggio a valle dove partiva la cabina gialla dell’impianto a fune, fino alla vetta dove si trova il paese con le caratteristiche case in sasso raggiungibile oggi solo a piedi, ci si impiega circa un’ora di cammino.
Vittorio Olivetto, questo il nome del ventenne che ha lasciato la casa nel sud della provincia di Varese e la metropoli milanese, non è affatto spaventato dal percorso, dalla mancanza temporanea della funivia, ed ha deciso di venire ad abitare in questa landa montana ormai desolata, sono rimaste meno di 10 persone e non sempre fisse per tutta la settimana, contribuendo ad alzare la media di età ed abitanti senza i quali il paese sarebbe abbandonato se non per qualche visita di chi ha le seconde case in montagna.
Il paese negli ultimi 30 anni ha cresciuto un graduale spopolamento: la mancanza della funivia ha solo acuito un fenomeno ormai nazionale italiano e non noto solo a queste latitudini contro il quale sia l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) che l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM) stanno provando a combattere, invitando il Governo ad investire anche nei piccoli Comuni, soprattutto quelli montani.
“Fuggire per ritrovarsi”
In questa cornice è arrivato Vittorio, in cerca di semplicità, di un ritorno alle origini, “della volontà di fuggire per poi ritrovarsi”, allontanandosi da un mondo alle prese con la guerra, la pandemia, con l’incapacità dell’uomo – ragiona – di trovare in questo momento soluzioni adeguate a tutti, non solo a giovani della sua generazione. Specifica che non si tratta di una decisione “ascetica”, anzi, è il suo modo di combattere soprattutto contro la tendenza alla grande fuga e quindi invita tutti, anche i suoi coetanei, a provare esperienze simili.
Lui, che ama sentire l’odore delle verghe di nocciolo che lasciano l’acqua dove si ammorbidiscono per essere usate nella costruzione dei cesti: già, perché Vittorio ha deciso di portare avanti un’antica tradizione di questi luoghi imparando l’arte di costruire ed intrecciare cesti per i quali non c’è manuale che tenga ma solo l’insegnamento orale e pratico di alcuni “vecchi” che credevano che l’arte della cesteria, a Monteviasco, non avesse eredi. Hanno trovato invece in lui la volontà di imparare un mestiere davvero scomparso.
La scelta di salire a mille metri di altitudine, di abitare in una casa in sasso in un silenzio quasi “assordante”, è ragionata, voluta. “Qui – spiega il giovane “muntagnin” – si capisce di cosa davvero hai bisogno: un po’ di acqua, il fuoco e qualcosa da mangiare, si torna all’essenziale della vita dell’uomo”. Narra del rapporto con i pochi vicini, che possono essere anche sparsi per questo antico borgo e non proprio nella porta accanto, della volontà di darsi una mano magari aiutandosi in piccoli lavoretti per poi vedere il beneficiario portare forse uova fresche o formaggio, o della pizza.
Una funivia da ripristinare
C’è anche un piccolo cimitero che sembra uscito da un film di Sergio Leone: un po’ in discesa, con croci antiche in legno massello e talune foto ormai sbiadite dal troppo freddo, dal troppo caldo. Non sono molti i parenti dei defunti qui seppelliti a salire in vetta per cambiare fiori, piante, per pulire le lapidi e tenerle in ordine ed anche in questo caso l’opera di due o tre abitanti rimasti è fondamentale per cambiare l’acqua, togliere foglie secche, estirpare erbacce o riaccendere qualche lumino.
Chi è rimasto svolge servizi utili alla comunità. L’auspicio del giovane che ha fatto questa scelta di vita è proseguire la sua vita a Monteviasco fino a quando sarà possibile, visto che ha imparato un mestiere, e magari trovare altri giovani interessati a provare questo genere di vita in attesa che sia ripristinata la funivia.
In vetta ci sono ristoranti, un osservatorio astronomico rinomato visto anche il buio totale la sera, c’è sempre una nuova storia da raccontare lungo i 1’400 gradoni in attesa che la funivia sia ripristinata. Funivia inaugurata nel 1989 dopo appelli per costruirla che sono partiti negli anni ’70 niente meno che alla trasmissione Portobello, condotta da Enzo Tortora.
Indipendentemente dalla ripartenza della cabina gialla o meno per residenti e turisti, Vittorio ha deciso ora che il suo posto è questo, di vivere qui il suo tempo, dove ha imparato il mestiere, oltre ad avere nelle mani quello di liutaio che stava affrontando nella metropoli milanese. Una vita semplice, vera che, dice lui, non cambierebbe con nulla al mondo.
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