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Donne in sciopero per la parità in Svizzera

Gruppo di manifestanti donne in una piazza; molte indossano qualcosa di viola; palloncini e bandiere viole
Una manifestazione di piazza a Losanna. © Keystone / Jean-christophe Bott

Si sono tenute venerdì in tutta la Svizzera manifestazioni in favore della parità di genere, sancita dalla Costituzione da quasi quarant'anni ma non ancora raggiunta dal punto di vista salariale né culturale. Mentre le piazze si sono tinte di viola con centinaia di migliaia di partecipanti in tutto il paese, donne che non hanno potuto assentarsi dal lavoro hanno segnato la giornata con piccole azioni.

Alla mobilitazione, proposta dal Congresso delle donne dell’Unione sindacale svizzera e promossa dai sindacati insieme a collettivi e associazioni di tutto il Paese, è stato dato il nome di sciopero.

In realtà, la maggior parte delle manifestanti si asterrà dal lavoro impiegando il proprio tempo libero (giorno di vacanza, congedo o compensazione oraria). Altre hanno deciso di restare del tutto in azienda, ma segnando la giornata con piccole azioni, ad esempio un’assemblea o una pausa, come quella osservata in mattinata anche dalle parlamentari.

Ognuna manifesta a suo modo ma comune è l’obiettivo: una reale parità salariale e la fine delle discriminazioni sul luogo di lavoro e nella vita sociale.

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Come nel 1991

La data scelta non è casuale, è un anniversario. Il 14 giugno del 1991, con lo slogan ‘Se le donne vogliono, tutto si ferma’, 500’000 persone scesero in piazza in tutto il Paese per il primo sciopero delle donne in Svizzera. Erano passato dieci anni dal riconoscimento costituzionaleCollegamento esterno dell’uguaglianzaCollegamento esterno tra i sessi.

Non che da allora non sia cambiato nulla: è stata finalmente introdotta un’assicurazione maternitàCollegamento esterno, sono cadute barriere nel mondo della formazione scolastica e professionale e c’è stata una presa di coscienza sulle disparità salariali. Disparità che, tuttavia, non sono scomparse e restano in buona parte inspiegabili.

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Quasi metà della differenza salariale, il 44,1% – indica l’Ufficio federale di statistica nel suo recente rapporto, non può essere spiegata da fattori quali l’età, la formazione, il grado gerarchico nell’azienda, le dimensioni della stessa o la regione geografica. La conclusione è che “a qualifiche uguali, le donne guadagnano in media il 7,7% in meno degli uomini”.

Altri indicatori (grado di occupazione, ripartizione dei lavori di casa, rendite di previdenza e rappresentanza nelle istituzioni politiche) qui: 

Disuguaglianze di genere: ecco i numeri in Svizzera

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Per tutta la settimana, in vista della mobilitazione, le trasmissioni di informazione della Radiotelevisione svizzera RSICollegamento esterno hanno dedicato ampie pagine alla condizione delle donne nella società e nel mondo del lavoro.

Ne emergono certamente pregiudizi, stereotipi, discriminazioni, ma anche segnali di cambiamento. Vi proponiamo una selezione di servizi.

Oltre a pari opportunità e alla fine delle discriminazioni salariali, le promotrici chiedono un’equa divisione del lavoro non retribuito, come le faccende domestiche e la cura dei familiari. Sostengono inoltre misure per conciliare famiglia e lavoro (a vantaggio anche di compagni e mariti), la lotta alle violenze e agli stereotipi e maggiori diritti per le migranti.

Per le lavoratrici che condividono le rivendicazioni ma non hanno potuto incrociare le braccia, si sono organizzati brevi momenti d’incontro in azienda, assemblee o liste di rivendicazioni. Un ulteriore modo di aderire alla protesta è l’astensione dai consumi: per un giorno, niente acquisti, né appuntamenti dal parrucchiere o dall’estetista.

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Nel servizio i chiarimenti della sindacalista Chiara Landi, responsabile del gruppo donne Unia Ticino e Moesano, e una scheda retrospettiva sulla giornata d’azione “originaria” del 1991, con le voci delle promotrici di allora.

Una parte significativa della disparità salariale tra uomo e donna non può essere spiegata né con la formazione, né con l’anzianità di servizio, il grado d’occupazione o altro: è illegittima.

E se durante la vita attiva si registra una disparità del 18%, le ripercussioni sulle rendite al momento del pensionamento ammontano a più del doppio, anche perché in Svizzera una parte consistente della previdenza è basata sul rendimento da capitale (cfr. Il sistema dei 3 pilastri).

Le donne, peraltro, continuano a lavorare meno. Benché molti giovani esprimano il desiderio di abbassare il proprio grado di occupazione per dividere equamente con la partner i compiti di cura dei figli, in Ticino oltre il 40% delle famiglie adotta un modello ‘neo-tradizionale’ (donna impiegata a tempo parziale, uomo a tempo pieno).

È un problema culturale, ma anche strutturale, come spiega la delegata per le pari opportunità del Cantone, Rachele Santoro.

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Dal primo sciopero delle donne, è stata colmata una lacuna: la Svizzera ha introdotto il congedo maternità per le lavoratrici, che oltre a un’indennità dà diritto a mantenere il proprio impiego e la posizione. Ma quel che è conquistato sulla carta, non sempre si traduce in buone pratiche.

Ci sono storie di donne licenziate o degradate non appena rientrate al lavoro. Qualcuna, persino lasciata a casa prima di riuscire a comunicare al datore di lavoro la gravidanza.

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Sulla carta, le scelte scolastiche e professionali sono del tutto libere, ma di fatto i ragazzi tendono a orientarsi verso professioni tecniche industriali o artigianali e le ragazze verso quelle socio-sanitarie e artistiche. Stereotipi che i servizi di orientamento cercano di correggere, anche perché i condizionamenti culturali tendono a portare le donne verso settori peggio retribuiti.

Il Telegiornale della RSI, oltre a presentare dei casi controcorrente, ha ospitato Lisa Fornara, insegnante di ‘educazione al genere’. Un corso rivolto ai futuri docenti di scuola elementare e dell’infanzia, per aiutarli a sviluppare una didattica inclusiva, che permetta agli alunni di coltivare le loro inclinazioni a prescindere dal genere.

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Qualcosa, comunque, sta cambiando. Ad esempio, nella letteratura. Dove le protagoniste femminili di fiabe e narrativa per ragazzi, non indossano più soltanto gli abiti della principessa o della strega, come conferma nel video sopra la scrittrice e giornalista Vichi De Marchi.

Intanto, a poche ore dall’inizio delle manifestazioni vere e proprie, la RSI conclude la sua serie di servizi con il ritratto di Leyla Manzoni. Ha fatto carriera in un ambiente maschile per definizione (perlomeno in Svizzera, dove la leva è ancora obbligatoria ma soltanto per gli uomini): l’esercito.

Leyla è stata la prima svizzera i grigio-verde impiegata in missione all’estero e non ha dubbi che il segreto del suo successo stia proprio nell’essere donna.

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