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Test e vaccini ai frontalieri? Prevale il pragmatismo elvetico

Una dose di vaccino anti-Covid.
Keystone / Urs Flueeler

Saranno vaccinati in Svizzera i lavoratori nella sanità residenti oltre confine, che potranno beneficiare anche dei test autodiagnostici gratuiti, nonostante alcuni mugugni.

Il governo svizzero, per bocca del consigliere federale Alain BersetCollegamento esterno, aveva precisato lo scorso 3 febbraio, che la vaccinazione gratuita contro il Covid-19 sarebbe stata estesa anche ai lavoratori frontalieri impiegati nelle strutture sanitarie e privi di copertura assicurativa elvetica.

La Confederazione si è così assunta i costi per 150’000 stranieri non residenti (cifra che comprende anche il personale diplomatico di altri paesi) stimati in 3,5 milioni di franchi. La spesa, era stato osservato dall’esecutivo, è inferiore ai costi amministrativi che deriverebbero dall’emissione di una fattura per ognuno dei beneficiari della vaccinazione.

Immunizzazione limitata ai pendolari della sanità

Naturalmente l’attuazione del piano procederà in funzione dell’evoluzione della campagna di immunizzazione che, alla luce dei noti ritardi nelle consegne da parte delle case farmaceutiche, va a rilento.

“La Svizzera sta adottando una strategia improntata al buon senso e tutti devono procedere il più velocemente possibile con le immunizzazioni senza scatenare guerre”

In Ticino, dove sono attivi 70’000 pendolari italiani, la misura riguarderà circa 4’000 dipendenti della sanità. In proposito Bellinzona ha osservato che le vaccinazioni sono al momento riservate, in ragione della limitata disponibilità dei preparati Pfizer e Moderna acquistati da Berna, agli ultrasessantacinquenni e al personale sanitario delle case anziani e dei reparti Covid negli ospedali.

Una volta messi in sicurezza i soggetti vulnerabili, si prevede di coinvolgere il resto dei medici, degli infermieri e degli ausiliari sanitari, tra cui i lavoratori frontalieri del settore. Per quest’ultima categoria di lavoratori in via di principio continuerà quindi a far stato per l’immunizzazione vaccinale il paese di residenza e, almeno a breve periodo, non sono previste scorciatoie.

La campagna procede in Ticino

Proprio su questa questione il Dipartimento ticinese della sanità e socialità (Dss) ha informatoCollegamento esterno che da venerdì sono aperte le iscrizioni a tutto il personale sanitario. In totale si tratta di circa 12’000 persone (frontalieri compresi) – che non rientrano nei gruppi prioritari cui è già stato inoculato il siero anti-Covid – che saranno vaccinati nelle due modalità previste: nelle strutture ospedaliere in cui viene svolta l’attività o nei centri cantonali, previa prenotazione sull’apposita piattaforma webCollegamento esterno, nei quattro centri ticinesi per i dipendenti degli ambulatori, spiega la portavoce del Dss Chiara Scapozza.

Ma dal Cantone non ci si sbilancia sui possibili allargamenti agli altri lavoratori pendolari italiani, evocati negli scorsi giorni dal leader della Lega Matteo Salvini. “Per ora la campagna vaccinale ricomprende solo i frontalieri in ambito sanitario”, precisa la portavoce cantonale, rimandando alle note direttive di Berna in materia.

Ma anche da parte italiana non si vuole insistere troppo. “La Svizzera sta adottando una strategia improntata al buon senso e tutti devono procedere il più velocemente possibile con le immunizzazioni senza scatenare guerre”, osserva Simone Billi, eletto a Montecitorio nella Circoscrizione Estero (Lega). Le diatribe che stanno emergendo tra associazioni, lavoratori e Stati derivano per lo più dal fatto che “il governo italiano e quello svizzero stanno spingendo con le loro rispettive campagne”.

Vaccini agli iscritti Aire temporaneamente in Italia

Di rilevanza più concreta è invece l’ordine del giorno, continua il deputato alla Camera, che abbiamo appena fatto approvare per assicurare la vaccinazione in Italia degli iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) ultrasettantacinquenni o comunque ritenuti persone vulnerabili che si trovino temporaneamente nel nostro paese e “su questo stiamo sollecitando il governo”. Governo nel quale però da due mesi fa parte anche il Carroccio… “È vero, ora siamo tornati nell’esecutivo, ma non è un governo politico ma di unità nazionale che è stato costituito espressamente per risolvere due questioni, l’emergenza pandemica e la crisi economica”.

Ma per tornare al tema della prevenzione del coronavirus le autorità federali hanno inaugurato lo scorso 7 aprile, in parallelo alle prime aperture, la campagna di test di massa della popolazione che include anche la disponibilità di cinque dispositivi autodiagnostici rapidi al mese che ogni cittadino può ritirare gratuitamente nelle farmacie.

In questo caso non sono previste limitazioni di sorta per l’insieme di lavoratori attivi nella Confederazione. Questo significa che potranno beneficiare del test “fai da te” gratuiti – che nella prima settimana sono andati letteralmente a ruba – anche i pendolari residenti all’estero, cui basterà presentare in farmacia, in assenza di un contratto d’assicurazione malattia svizzera, il permesso di lavoro o la tessera sanitaria (italiana).

“No a test a carico del contribuente svizzero”

Un’eventualità che è stata però subito criticata dalla Lega dei ticinesi il cui parlamentare a Berna Lorenzo Quadri ha presentato una mozione per impedire che le spese venissero a gravare sui contribuenti confederati. Il costo di 60 franchi per i cinque kit diagnostici di cui ha diritto ogni frontaliere si traduce in 20,7 milioni di franchi al mese (4,2 milioni in Ticino) a carico della Confederazione e per questo motivo viene proposto di dedurre questi importi dai ristorni fiscali che i cantoni versano ai paesi di residenza di questi lavoratori.

“La spesa per i test fai da te impatta in modo non rilevante, in ogni modo ci rimettiamo alla buona volontà e al giudizio dei politici svizzeri”

Ma la proposta non sembra suscitare grandi consensi e negli ambienti sanitari viene apertamente osteggiato, come ha affermato su tio.ch il portavoce dell’Ordine dei farmacisti ticinesi Federico Tamò per il quale il virus se ne infischia delle frontiere: “Una volta tanto un provvedimento sensato, se quotidianamente entrano 70’000 persone nel cantone per lavorare è giusto che usufruiscano degli strumenti per poter arginare questa pandemia. Non possiamo e non dobbiamo fare distinzioni, ne va della salute della popolazione residente”, ha concluso.

Ma anche dall’altro lato del confine non si vuole polemizzare: “Si tratta di una spesa (quella per i kit autodiagnostici, ndr) che impatta in modo non rilevante, in ogni modo ci rimettiamo alla buona volontà e al giudizio dei politici svizzeri”, afferma Simone Billi (Lega). “Dobbiamo lavorare insieme per tornare il più presto possibile a una vita normale”.



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