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Oggi in Svizzera

Care lettrici e cari lettori,

l'ingresso della Svizzera nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, seppur in qualità di membro non permanente, dovrebbe essere motivo di orgoglio oltre che un riconoscimento della lunga tradizione elvetica in ambito internazionale. Le organizzazioni internazionali che hanno sede nella Confederazione e l'apprezzato ruolo di Berna nell'ambito dei cosiddetti "buoni uffici" sono lì a testimoniarlo.

All'estero, dove probabilmente sono meno intellegibili le varie sfaccettature della politica nazionale, potrà sembrare strana e insolita la manifestazione inscenata questa mattina davanti al Palazzo federale. I rappresentanti del gruppo dell'Unione democratica di centro (destra) hanno infatti organizzato una dimostrazione davanti al Palazzo federale a Berna contro la candidatura elvetica all'Onu.

Le conseguenze di questa scelta, che a loro dire contraddice secoli di neutralità, non sono al momento ponderabili, avvertono i parlamentari Udc. Noi intanto apriamo il nostro resoconto informativo quotidiano proprio da quanto deciso in proposito al Palazzo di Vetro di New York.

Buona lettura.  

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© Keystone / Alessandro Della Valle

A vent’anni dall’adesione all’Onu, la Svizzera fa il suo ingresso nella “camera dei bottoni” dell’organizzazione mondiale. È stata infatti eletta oggi dall’Assemblea generale con 187 voti su 190 validi.

Non ha quindi riservato sorprese la scelta dei delegati dei 193 paesi rappresentati alle Nazioni Unite. Per l’elezione erano necessari i due terzi dei voti e la Svizzera concorreva con Malta per i due seggi in lizza per il blocco dell’Europa Occidentale.

Il mandato inizierà il prossimo 1°gennaio fino al 31 dicembre 2024 ma già da ottobre la delegazione elvetica sarà associata in termini provvisori ai lavori del Consiglio di sicurezza. 

Il governo federale vede così concretizzarsi la sua proposta di candidatura, lanciata nel 2011, per uno dei dieci posti non permanenti dell’organo decisionale per il biennio 2023-2024, che vanno ad aggiungersi ai cinque ricoperti stabilmente da USA, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia.

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© Keystone / Urs Flueeler

È tornata prepotentemente d’attualità la questione dei prezzi dell’energia su cui finora il governo federale si è rifiutato di intervenire, a differenza di quanto avvenuto nei paesi vicini.

PLR (liberali) e Alleanza di centro, con la loro inerzia, “stanno dissanguando il commercio e l’industria e la classe media“, attacca l’Unione democratica di centro (destra) che intende adottare varie iniziative per indurre la politica federale a calmierare gli aumenti di questi mesi.

Il costo della benzina, che in alcune località ha superato i 2,30 franchi al litro, ha osservato in un’intervista al Blick il presidente Udc Marco Chiesa, non riguarda solo gli automobilisti ma tutta la catena delle forniture. I maggiori oneri sui trasporti si riflettono infatti sul prezzo delle merci, ha continuato il consigliere agli Stati ticinese, “e occorre agire subito”.  

Per il momento Berna si è rifiutata di intervenire, giudicando “sopportabile” per le cittadine e i cittadini elvetici gli aumenti dei prezzi del carburante.

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Keystone / Alexandra Wey

Le università elvetiche continuano ad essere tra le più rinomate a livello mondiale ma perdono alcune posizioni. Almeno questa è la recente valutazione di QS Quacquarelli Symonds.

Il Politecnico federale di Zurigo (ETH) resta tra i primi dieci istituti accademici mondiali, ma scende di una posizione, dall’ottava alla nona mentre il Politecnico di Losanna (EPFL) cala dal 14° al 16° posto.

Sono generalmente in perdita di velocità anche le università cantonali: Zurigo scala di 13 posizioni all’83esima piazza, Berna di una al 120° rango, Ginevra di 20 al 125° mentre Basilea ne guadagna due (136° posto). Più staccate Losanna al 203° (era al 176° l’anno scorso), l’Università della Svizzera italiana al 240° (invariata), San Gallo al 501° (459° nel 2021) e Friburgo tra la 571esima e la 580esima piazza.

La classifica stilata dalla società londinese è largamente dominata dalle università statunitensi e britanniche. Al vertice resta, per l’undicesimo anno consecutivo, il Massachusetts Institute of Technology (MIT), seguito dall’università di Cambridge e da quella di Stanford.

nazionale
Keystone / Anthony Anex

Mano libera al governo federale in materia di sanzioni. È quanto prevede la revisione della legge sugli embarghi di cui stanno discutendo le Camere federali.

Con 136 voti contro 53 il Consiglio nazionale ha approvato, con la sola opposizione della destra (Udc), una versione più ampia della riforma rispetto al testo passato alla Camera alta.

Attualmente Berna può adottare misure punitive solo in sinergia con organi internazionali come Onu, UE, Osce e partner economici o nei ristretti limiti tracciati dalla Costituzione (durata di 4 anni e prorogabili solo una volta). Con le nuove norme, che potranno essere rivolte anche contro individui e aziende, l’esecutivo potrà agire autonomamente e tempestivamente, senza dover attendere decisioni altrui.

La Camera bassa si è spinta però oltre, consentendo a Berna di sanzionare anche persone o entità coinvolte in violazioni del diritto internazionale umanitario o dei diritti umani o in qualsiasi altra forma di atrocità. Di tutto questo ne ridiscuteranno prossimamente i senatori.   

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