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Le aziende svizzere e la spietata carenza di braccia e cervelli

Pizzaiolo in un ristorante
Trovare un pizzaiolo qualificato è spesso una sfida per i ristoranti italiani in Svizzera. Keystone / Anthony Anex

Con più di 100'000 posti vacanti registrati nel primo trimestre del 2022, la penuria di manodopera ha raggiunto nuovi record in Svizzera. Una carenza che potrebbe aggravarsi ulteriormente, minacciando la prosperità del Paese. Come rimediare?

Quali sono i settori più toccati dalla carenza di manodopera?

Le difficoltà ad assumere toccano sia il settore secondario (industria) sia il terziario (servizi), secondo gli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica (UST)Collegamento esterno. I settori dell’alberghiero e della ristorazione sono particolarmente sotto pressione, così come quello dell’alta tecnologia. Ma la penuria tocca anche le cure, i trasporti, l’edilizia e la logistica. Anche le persone in grado di guidare mezzi pesanti sono molto ricercate.

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“La pandemia ha dato un’accelerata alla digitalizzazione dell’economia e allo sviluppo di numerose catene logistiche. Tutti i settori economici sono ormai in competizione per attirare le stesse qualifiche. Se avete competenze nell’informatica o siete conducenti avete l’imbarazzo della scelta nella vostra ricerca di impiego”, sottolinea Stefan Studer dell’associazione Employés Suisses / Angestellte Schweiz.Collegamento esterno

Nel monitoraggioCollegamento esterno effettuato in una quarantina di Paesi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) indica, senza sorprese, che ad essere più richiesti in Svizzera sono gli impieghi che necessitano qualifiche di alto livello. “Sono le competenze legate alle professioni della sanità, delle tecnologie digitali e della ricerca scientifica che mancano di più. Invece, non si osservano carenze nelle competenze legate alla formazione e all’insegnamento oppure ai mestieri fisici e manuali”, sottolinea Glenda Quintini, responsabile del settore dell’impiegabilità e delle competenze presso l’OCSE.

La Svizzera è un caso particolare?

No, tutte le economie sviluppate si trovano confrontate con lo stesso problema. La Germania (più di 2 milioni di posti vacanti) e la Francia (1 milione) registrano carenze record di manodopera. In Italia, nel solo settore delle costruzioni mancano circa 260’000 paia di braccia.

Nel Regno Unito, malgrado un livello di impiego più basso conseguente alla Brexit, le aziende fanno fatica ad assumere personale qualificato. Si dice che almeno mezzo milione di persone abbiano abbandonato il mercato del lavoro a causa delle pessime condizioni e dei salari troppo bassi.

Questo fenomeno conosciuto come la “grande dimissione” è sulle prime pagine delle testate britanniche. Negli Stati Uniti, dove più di 11 milioni di posti di lavoro sono vacanti, si registrano anche 4,5 milioni di persone che hanno lasciato la propria professione nel mese di marzo alla ricerca di nuove opportunità lavorative.

La carenza di manodopera è un fenomeno passeggero?

“Si sta osservando un recupero dopo la pandemia, con una richiesta di manodopera in rialzo in numerosi settori d’attività. Allo stesso tempo, schiere di babyboomer vanno in pensione, lasciando un vuoto difficile da colmare soltanto con i nuovi arrivi sul mercato del lavoro”, indica Giovanni Ferro-Luzzi, professore d’economia presso l’Alta scuola di gestione di Ginevra.

Spesso, i fattori congiunturali e strutturali si uniscono. Nel settore alberghiero e della ristorazione, per esempio, era difficile occupare certi posti d’apprendistato già prima della pandemia. Tuttavia, la crisi sanitaria ha avuto l’effetto di un detonatore. “Alle condizioni difficili legate alle esigenze del mestiere si è aggiunta la precarietà del lavoro dovuta al coronavirus. In questi ultimi due anni, sono molte le persone hanno abbandonato il settore e non torneranno”, afferma Lucas Dubuis, portavoce di Unia, il più grande sindacato del Paese.

Una situazione simile si constata nel settore delle cure e dell’assistenza, in cui le pessime condizioni di lavoro sono finite sotto i riflettori durante la pandemia. “I salariati e le salariate non vedono prospettive a lungo termine in queste professioni a causa dello stress e dei bassi stipendi”, osserva Dubuis.

Tre persone con protezioni sanitarie in un ospedale.
L’osservatorio svizzero della salute (Obsan) stima che più del 40% di infermieri e infermiere lascia prematuramente la professione. Keystone / Martial Trezzini

Uno studio pubblicato all’inizio dell’annoCollegamento esterno da Employés Suisses fa pensare che la penuria attuale non sia che un assaggio delle difficoltà che datori e datrici di lavoro nella Confederazione incontreranno per ingaggiare personale in futuro. Entro quattro anni mancheranno 365’000 lavoratori e lavoratrici qualificate (con un diploma professionale o universitario) in Svizzera. Sono previsioni allarmiste che si basano su un semplice calcolo: la differenza tra il numero di persone che va in pensione e quello dei nuovi arrivi sul mercato del lavoro.

Quanto costa questa penuria all’economia elvetica?

Nel suo studio, Employés Suisses ha calcolato che la carenza di personale potrebbe far perdere circa 60 miliardi di franchi all’economia svizzera nel solo 2025. Le difficoltà di assunzione nell’industria sono particolarmente preoccupanti. “È una seria minaccia per la capacità di innovazione del nostro Paese”, ritiene Studer. Un’osservazione condivisa dalle associazioni padronali che temono di perdere un importante vantaggio concorrenziale se la manodopera venisse a mancare in modo prolungato. Non disponendo di grandi quantità di risorse naturali, la Svizzera può infatti contare quasi esclusivamente sulla sua “materia grigia” per assicurarsi la prosperità.

L’immigrazione potrebbe colmare in parte le lacune?

Dagli artigiani e artigiane dalla Germania al frontalierato francese passando da lavoratori e lavoratrici stagionali dall’Italia: nel corso degli ultimi due secoli, l’economia svizzera non sarebbe diventata quella che è senza l’immigrazione. Per colmare il deficit demografico all’orizzonte, la Confederazione non potrà sicuramente permettersi di rinunciare ad importare manodopera dall’estero.

Con i suoi alti salari, la Svizzera è da tempo considerata un eldorado per lavoratori e lavoratrici dal resto del continente. Ma qualcosa sta cambiando. “Le aziende tedesche, francesi e italiane hanno a loro volta difficoltà ad assumere personale qualificato. Non si potrà contare per sempre su questo bacino di manodopera”, ritiene Studer. Gli fa eco Ferro-Luzzi: “La Svizzera resta un Paese attrattivo. Ma le condizioni di lavoro e i salari stanno migliorando un po’ ovunque in Europa e lo scarto tende a ridursi”.

L’effetto della pandemia non va sottovalutato. In Spagna, in Italia o in Francia, il virus ha obbligato la gente a restare a casa e la fuga di cervelli si è interrotta bruscamente, osserva Quintini. “Molte persone si sono rese conto dei vantaggi del lavorare vicino alla famiglia e alle amicizie e non hanno fretta di ripartire. Resta da capire se si tratta di un fenomeno duraturo o passeggero”.

Qual è dunque il rimedio alla carenza di braccia e cervelli?

Un’opzione consisterebbe nell’aprire maggiormente il “rubinetto” dell’immigrazione proveniente da Paesi extra-europei, ma si tratta di un tema politicamente esplosivo. Per i sindacati, la soluzione è chiara: “Esigiamo migliori condizioni di lavoro, in particolare aumenti salariali e un rafforzamento delle possibilità di formazione continua”, rivendica Dubuis. L’OCSE, pur essendo un’istituzione nota per le sue posizioni liberali, suggerisce pressappoco gli stessi rimedi. “Malgrado le difficoltà d’assunzione, molte aziende sono ancora reticenti ad aumentare i salari, a concedere più flessibilità al personale o a ingaggiare candidati e candidate che non hanno per forza tutte le qualifiche richieste per la posizione. Un cambiamento nell’atteggiamento s’impone da parte dei datori e delle datrici di lavoro”, sottolinea Quintini.

Anche la maggiore integrazione nel mercato del lavoro delle donne, delle persone anziane oppure di quelle con disabilità rappresenta una priorità, sia delle associazioni padronali sia dei sindacati. “Il messaggio è ripetuto di continuo da molto tempo negli ambienti politici ed economici. È il momento di passare all’azione”, secondo Studer.

C’è un punto sul quale le specialiste e gli specialisti interpellati da swissinfo.ch sono d’accordo: la formazione continua è uno sviluppo cruciale per i prossimi anni. Al momento, nei paesi dell’OCSE, meno di quattro persone adulte su dieci hanno l’opportunità di frequentare una formazione nel corso della loro attività lavorativa. “La proporzione è inferiore al 20% per gli impieghi meno qualificati, anche nei Paesi nordici, nonostante siano ritenuti progressisti in questo ambito”, spiega Quintini.

Un migliore equilibrio tra le competenze richieste sul mercato del lavoro – in particolare per i nuovi mestieri legati alla transizione ecologica – e i bisogni delle imprese permetterebbe di ridurre in modo importante il deficit di manodopera qualificata.


Zeno Zoccatelli

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