Oro ticinese, merce di scambio per abbassare i dazi di Trump e salvare l’export svizzero
Dal Ticino, cuore pulsante della raffinazione mondiale dell'oro, potrebbe partire una delocalizzazione parziale di alcuni processi produttivi verso gli Stati Uniti. È questa una delle proposte avanzate da una delegazione di sei top manager di aziende svizzere durante il recente incontro con Donald Trump per scongiurare i pesanti dazi del 39% che gravano sull'export elvetico.
Una mossa strategica che, secondo l’agenzia Bloomberg, potrebbe portare a un’imminente riduzione dei dazi al 15%, ma che apre un complesso dibattito sul futuro di un settore chiave per l’economia cantonale e nazionale.
Ticino, fucina dell’oro mondiale
Il canton Ticino si è affermato come il centro nevralgico, tanto discreto quanto potente, dell’industria aurifera globale. In questa piccola regione operano tre delle più importanti raffinerie del pianeta, Valcambi a Balerna (la più grande al mondo), Argor-Heraeus a Mendrisio e PAMP a Castel San Pietro. Insieme, queste aziende processano una quota impressionante dell’oro mondiale, stimata tra il 35% e il 50% a seconda delle annate.
Questa concentrazione di know-how e capacità industriale fa del Ticino un anello insostituibile nella catena del valore dei metalli preziosi. Ogni giorno, dietro imponenti misure di sicurezza, tonnellate di oro grezzo proveniente da miniere, banche centrali e riciclo vengono trasformate in lingotti di purissima qualità, pronti per i mercati finanziari, l’industria orologiera e la gioielleria di tutto il mondo. Un’industria che genera un indotto significativo e che, come dimostrano i recenti avvenimenti, possiede un peso specifico enorme negli equilibri commerciali internazionali della Svizzera.
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Il settore negli ultimi mesi è finito al centro di un complesso intrigo internazionale che lega la Casa Bianca, la bilancia commerciale elvetica e la minaccia di dazi punitivi, costringendo i vertici dell’economia rossocrociata a una delicata missione diplomatica a Washington, armati di proposte audaci e doni simbolici.
Un lingotto per scongiurare i dazi
La vicenda ha assunto contorni degni di un thriller politico-economico il 6 novembre 2025, quando una delegazione di sei tra i più influenti capitani d’industria svizzeri è stata ricevuta nello Studio Ovale dal presidente statunitense Donald Trump. L’obiettivo: disinnescare i pesanti dazi del 39% imposti da Washington sui prodotti elvetici a partire dal 7 agosto 2025.
La delegazione ha messo in campo un approccio pragmatico, in pieno “stile Trump”, mescolando affari e diplomazia. Per ammorbidire il presidente, sono stati offerti doni di grande valore simbolico: un orologio Rolex destinato alla biblioteca presidenziale e, soprattutto, un lingotto d’oro con una dedica incisa, offerto dalla MKS PAMP uno dei colossi della raffinazione con sede in Ticino.
Oltre ai doni, sul tavolo sono state messe quattro proposte concrete per ridurre il surplus commerciale svizzero nei confronti degli USA. La più inattesa riguarda proprio il settore aurifero: il trasferimento di alcuni processi di raffinazione dell’oro direttamente sul suolo americano entro i prossimi due anni. Una mossa che, come precisato da Christoph Wild, presidente dell’Associazione Svizzera dei Fabbricanti e Commercianti di Metalli Preziosi (ASFCMP), non significherebbe una delocalizzazione degli stabilimenti ticinesi, ma piuttosto un modo per rendere più efficiente la filiera, evitando il complesso andirivieni di metallo prezioso tra Europa e Stati Uniti.
Ecco le proposte presentate dai sei dirigenti a Donald Trump durante l’incontro del 6 novembre 2025:
Trasferimento di fonderie d’oro negli Stati Uniti – Spostare alcuni processi di raffinazione dell’oro sul suolo statunitense nei prossimi 1-2 anni (non una delocalizzazione completa, ma un trasferimento di specifici processi produttivi).
Investimenti nel settore farmaceutico – Effettuare nuovi investimenti nel settore farmaceutico statunitense. (Proprio ieri, lunedì 10 novembre, Novartis ha inaugurato un nuovo stabilimento di produzione a Carlsbad, California).
Sostegno a progetti infrastrutturali – Promuovere e sostenere progetti infrastrutturali negli USA.
Incremento degli acquisti presso l’industria aeronautica USA – Aumentare gli acquisti di prodotti aeronautici dall’industria statunitense.
L’obiettivo complessivo di queste proposte è neutralizzare il deficit commerciale USA-Svizzera nei prossimi 5-7 anni e ottenere una riduzione dei dazi dall’attuale 39% al 15% (simile a quello applicato all’UE).
MKS PAMP ha inoltre rassicurato sugli impieghi in Ticino (nel settore sono attive circa 1’500 persone), confermando di avere già un sito produttivo a Oklahoma City (tramite la consociata APMEX) e di voler continuare a investire anche nella sede cantonale.
>>Comunicato di MKS PAMP:
“MKS PAMP GROUP possiede già uno stabilimento produttivo a Oklahoma City, negli Stati Uniti, attraverso la nostra consociata APMEX. Attualmente questo stabilimento produce argento e prevediamo di avviare in futuro anche la fabbricazione di lingotti d’oro coniati. Continuiamo a esplorare opportunità di ulteriore produzione negli Stati Uniti, come abbiamo già menzionato in precedenza. La portata e le dimensioni esatte di tali iniziative saranno determinate dalle opportunità individuate. Continuiamo inoltre a considerare l’espansione della nostra sede in Ticino, in linea con la domanda globale dei nostri prodotti”.
La tempesta dei dazi e il paradosso dell’oro
Per comprendere la delicatezza della missione, è necessario analizzare il contesto. I dazi del 39% sono la risposta di Washington a un surplus commerciale svizzero che nel 2024 ha superato i 38,5 miliardi di dollari. Paradossalmente, a gonfiare a dismisura questa bilancia commerciale è stato proprio l’oro, un settore che non è soggetto a dazi. La paura di future tariffe e le tensioni geopolitiche hanno infatti innescato una corsa all’oro senza precedenti.
I dati sono eloquenti: se nel 2023 le esportazioni di oro svizzero verso gli USA valevano 6,1 miliardi di franchi, nel 2024 sono salite a 11 miliardi. Ma è nei primi otto mesi del 2025 che si è verificata un’impennata eccezionale: quasi 537 tonnellate, per un valore di circa 44 miliardi di franchi, sono state spedite oltreoceano.
Il “Ponte d’oro” ticinese tra Londra e New York
L’impennata delle esportazioni è legata a una particolarità logistica del mercato globale. La paura che l’amministrazione Trump potesse imporre dazi anche sull’oro ha scatenato un massiccio trasferimento di lingotti (per oltre 61 miliardi di dollari) da Londra, principale centro di scambio mondiale, a New York. Tuttavia, i due mercati utilizzano formati diversi: i lingotti da 400 once (circa 12,5 kg) di Londra devono essere fusi e riconiati nei formati da 1 kg richiesti a New York.
Questa differenza ha reso indispensabile una tappa intermedia per fondere e riconiare i lingotti. Un ruolo ricoperto quasi interamente dalle raffinerie ticinesi che si sono trovate a lavorare a pieno regime, 24 ore su 24, per soddisfare la domanda. La proposta avanzata a Trump è proprio quella di fondere l’oro di questo tipo di operazioni direttamente negli Stati Uniti e non più in Ticino.
Un futuro tra opportunità e incertezze
L’incontro di Washington sembra aver sortito l’effetto sperato. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, nei prossimi giorni dovrebbe essere annunciata la nuova aliquota dei dazi imposti ai prodotti svizzeri, che dovrebbe scendere dall’attuale 39% al 15%, un livello più sostenibile e paragonabile a quello applicato all’UE. Un accordo definitivo è atteso entro il World Economic Forum (WEF) di Davos a gennaio 2026.
Tuttavia, le richieste statunitensi non si fermano qui. Gli USA chiedono alla Confederazione un allineamento, almeno parziale, alle future sanzioni imposte da Washington e un maggior controllo sugli investimenti per impedire che tecnologie strategiche finiscano in mani cinesi. Richieste che hanno già sollevato un vespaio nel panorama politico elvetico, con critiche trasversali da parte di tutti i principali partiti, preoccupati per la neutralità e la sovranità economica del Paese.
Le fonderie d’oro del Ticino si trovano così al centro di un delicato equilibrio: da un lato, il loro successo le ha rese una pedina strategica nel negoziato commerciale; dall’altro, la possibile delocalizzazione parziale, seppur limitata, apre nuovi scenari per il futuro di un’industria fondamentale per il cantone e per l’intera Svizzera.
>>Servizio del Quotidiano del 10 novembre 2025:
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